I PERIEGESI – Diario Arcadia-Acaia-Elide

“Dove nascono gli dei”

4-14 settembre 2001

I luoghi: Heraion di Perachora, Corinto antica, Acrocorinto, Egeira, Klitoria, Altopiano di Loussos, grotte dello “Spylaion ton Limnon”, Mamousia, Eliki, Aegion (Platano di Pausania), Patrasso, Dime, Araxos (Teichos), Olimpia, Andritzena, Tempio di Apollo Epicureo a Basse, Karitena, Gortyna, Megalopoli, Licosoura, Tripoli di Arcadia, Tegea, Mantinea, Orchomeno, Stynphale, Atene

Partecipanti: Massimo, Mauro, Michele, Monica, Moreno, Nicoletta G., Paolo, Plinio, Primo, Riccardo, Rosalba, Sara

Martedì 4 settembre. Il ritrovo è a Fiumicino. Siamo in 11, il dodicesimo (Massimo) ci raggiungerà poi. Solo alcuni già si conoscono. Riccardo ha portato due sue allieve (Sara e Monica), ci sono anche i due traduttori di Pausania (Mauro, presente per tutto il viaggio e Massimo, che, come ho già detto, ci raggiungerà poi). Mauro ha con sé anche il figlio Michele. Primo conosce soltanto Nicoletta G. Plinio deve avere già conosciuto sia Riccardo che Moreno. C’è anche Paolo, autista impeccabile, professore a un liceo. Poi la cara Rosalba, grecista.

Arrivati al Venizelos ci aspettano gli incaricati della “Diomedea Travels” (l’agenzia che organizzerà i nostri viaggi fino al subentro di Nora, alla VI Periegesi). Ci danno due Fiat, abbastanza scarcagnate. Ci dovremo infatti fermare per un problema al motore della prima auto e poi scopriremo, dopo un foratura, che all’altra manca persino il crick.

Nel meriggio di settembre, ancora assai caldo, percorriamo il lato nord del golfo Saronico e cominciamo a fare reciproca conoscenza. Primo e gli altri seguono la dottissima conversazione fra Mauro e Moreno. Sembrerebbe di essere capitati in un ambiente accademico e non in quell’ambiente di “dilettanti” (letteralmente: “che provano piacere”, “che si dilettano”) del mondo antico come poteva essere il desiderio di alcuni.

La prima tappa è l’Heraion di Perachora.

Il luogo è di intensa magia. Siamo vicini al tramonto. Dal promontorio in cui sorgono le varie strutture templari si vede tutto il golfo di Corinto e l’istmo. La magica insenatura con il tempio di Hera fa da contraltare (quasi un dialogo da lontano: fra sordi?) con il tempio di Afrodite che si intravede là in cima all’Acrocorinto, sull’altra sponda della insenatura. Le due dee erano proprio su “rive opposte”!

Si ricorda il riferimento al tempio che viene fatto nella Medea di Euripide.

Si leggono alcuni brani di Pausania. Riccardo si concede una immersione nel “genium loci” che, con una concretizzazione del pensiero, consiste in un lungo bagno nelle acque sacre alla dea. Non ha il costume e fa il bagno in mutande: si capisce che l’ambiente non sarà pedante. O almeno non solo!

L’Heraion di Perachora diventerà un luogo sacro anche per i nostri viaggi: ci torneremo come prima tappa della V periegesi (2005) e poi ancora della IX periegesi (2009). E forse non è finita lì!

Aspettiamo il tramonto, poi ritorniamo indietro verso l’istmo. A Loutraki è il nostro Albergo (Hotel Pappas) dove siamo aspettati per una cena accettabile. È il primo simposio: si parla di tutto, ma sopra tutto di Pausania, di Corinto, di Massimo che dovrebbe arrivare il giorno dopo. Si fa tardi. La notte è bellissima: di fronte a noi il mare. Su tutto l’Acrocorinto con il sacello di Afrodite illuminato. Dietro di noi l’Heraion, a sinistra l’istmo sacro a Poseidone. Gli dei ci stanno venendo incontro…

Mercoledì 5 settembre. Si parte con un po’ di difficoltà: c’è chi si attarda a letto, chi a far colazione, chi a conversare. E anche chi si attarda e basta! Subito c’è un problema all’auto che viene prontamente risolto. Si attraversa l’istmo pensando al muro persiano, alle truppe peloponnesiache schierate intorno al tempio di Poseidone che aspettano la fiumana asiatica che ha travolto Leonida alle Termopili e che ha già distrutto Atene.

Ma passiamo oltre, non senza un po’ di rammarico. I luoghi saranno meta della IX Periegesi nel settembre del 2009.

Arriviamo a Corinto antica. Qui ci sono solo le rovine di quella che fu una delle più floride città dell’Ellade, faro assoluto di civiltà prima del sorgere della stella di Atene. La sua ceramica dominava tutti i mercati del mediterraneo e i suoi marinai erano dovunque. Da qui partì anche Archia per fondare Siracusa. E sempre Corinto accese la miccia di quella deflagrazione foriera di disgrazie che va sotto il nome, in verità improprio, di “Guerra del Peloponneso”. Improprio perché non fu guerra del Peloponneso, ma guerra mondiale che coinvolse tutto il mondo greco, ben oltre la Grecia: fu coinvolto l’impero persiano, la Sicilia, la Propontide e la Tracia; Cipro e l’Epiro…

Corinto insieme con Tebe può essere considerata la testimonianza della fine dell’indipendenza greca. Entrambe le città vennero infatti rase al suo e depredate. Tebe da Alessandro Magno nel 336 a sancire la resa e la subalternità delle poleis greche alla monarchia macedone. Corinto fu distrutta da Mummio nel 146 a sancire l’atto definitivo della “Graecia capta”, simbolo, con le sue rovine, di una Grecia che aveva perso definitivamente l’indipendenza e che dovrà aspettare quasi due millenni per riaverla, sia pur nella forma di un piccolo, anche se amatissimo, stato moderno. La città fu dunque distrutta dalle legioni romane, gli abitanti deportati, i marmi depredati. Corinto non risorse più. Fu sì ricostruita, ombra dell’altra, ma addirittura in un altro luogo, quello dove anche sorge la Corinto moderna.

Noi visitiamo la città antica, almeno quello che resta! Siamo nell’agorà con i resti del grandioso tempio dorico di Apollo che fortemente ricorda il tempio della colonia siracusana. Qui Mauro ci legge Pausania e lo commenta. Cerchiamo di orientarci fra le rovine. Si cerca la fonte Clessidra. Si individua il punto in cui passava il “diolchos”, la strada che univa il golfo Saronico e quello di Corinto e che permetteva il trasbordo anche di piccole imbarcazioni fra i due porti di Corinto antica: quello di Cencre (lo visiteremo nel 2009 con la IX° Periegesi) e quello di Leche sul golfo di Corinto. È un giorno di bel sole e non sembra settembre.

Pranziamo in un ristorante vicino all’agorà. Riccardo ed altri (non paghi, né stanchi) vanno a visitare il museo archeologico.

Dopo pranzo ci rechiamo sull’Acrocorinto con lo specifico e prioritario scopo di rendere omaggio alla dea (ad Afrodite!) che ha il suo sacello nel punto più alto, con la città e il golfo ai suoi piedi. Sembra che le sue sacerdotesse si recassero lì solo talvolta e che esercitassero il “pio mestiere” in città e sopra tutto al porto di Leche. Sull’Acrocorinto è un guazzabuglio di costruzioni dove resti antichi (qui era l’acropoli di Corinto) si mischiano a imponenti fortificazioni medioevali e turche, in un guazzabuglio di epoche e di stili che quasi stordisce. Su tutto un panorama mozzafiato che spazia verso il golfo con dietro il Citerone, l’Elicona, il Parnaso. Ma anche verso l’istmo e il golfo Saronico e la stretta strada che univa il Peloponneso al resto della Grecia. Di lì era passato Leonida con i suoi spartiati quasi certo che andava a morire. Ce lo immaginiamo come chi si prepara ad una gara ginnica: l’ultima e la più importante, una gara dove la morte fa parte del gioco. E non è nemmeno la parte più importante. Semonide di Ceo ne farà la scultura con gli splendidi versi che è bello ricordare in questa tarda Estate di tanti anni dopo:

 

« Dei morti alle Termopili
gloriosa la sorte, bella la fine,
la tomba un’ara, invece di pianti resti il ricordo

e il compianto sia lode.
Un tal sudario né ruggine
né il tempo, che tutto divora, oscurerà.
Questo sacello d’eroi valorosi,

la gloria dell’Ellade lo adottò come sua casa.

Ne fa fede anche Leonida,
il re di Sparta, che ha lasciato di virtù grande
ornamento e imperitura gloria. »

(la traduzione è di Primo)

La salita verso il tempio di Afrodite è ardua, anche per il clima reso torrido da un vento che velocemente gira allo scirocco. Mentre dal sacello di Afrodite Primo guarda la piana e pensa alle centinaia di schiave che lavoravano per la dea, irrompono due giovani francesi che gli si rivolgono chiedendogli informazioni varie nella loro lingua. Ridono e parlano, Primo capisce in parte … che siano due pie donne votate alla dea? All’arrivo di altri del gruppo se ne vanno in uno sciamìo di voci e il vento si rinforza. Si annuncia la fine dell’Estate.

Nel tardo pomeriggio ripartiamo per l’Acaia. La prima tappa è per visitare le rovine di Egeira. Visitiamo lo splendido teatro con vista mozzafiato sul golfo e saliamo fino all’acropoli micenea. È tardi; il sito è chiuso, diamo così il via ad una serie infinita di effrazioni superando le reti di recinzione. Alcuni si rifiutano, la visita è affrettata. Ci proponiamo di tornare.

Sta imbrunendo e ci dirigiamo verso Nicholeika ove è il nostro albergo dal nome altisonante di “Poseidon Beach”, dove resteremo due notti. Nell’attesa della cena ci riuniamo per discutere dell’Acaia e di Pausania proprio sulla spiaggia. Riccardo si immerge di nuovo nel “genium loci”.

Albergo modesto e cena pure. Durante la notte il tempo cambia e piove, la temperatura scende.

Giovedì 6 settembre. Partiamo non troppo presto dirigendoci all’interno del Peloponneso per fare una puntata fino nel cuore dell’Arcadia. La via di penetrazione è fornita dal corso del Biriacos. Visitiamo dunque una prima volta il cuore dell’Arcadia. Fra alcuni giorni vi entreremo provenendo dall’Elide e risalendo l’Alfeo. Ora però risaliamo il corso del Biriacos un fiume che dopo essersi scavato un vero e proprio canyon nelle montagne si getta nel golfo di Corinto. Il paesaggio è molto aspro e suggestivo. Intravediamo anche una ferrovia a scartamento ridotto che si inoltra nel canyon per risalire fino a Klitoria (la chiave). Dopo un lungo viaggio arriviamo nell’altopiano di Loussos dove ci sono i templi di Apollo e Artemide Hemera. Anche qui diamo lettura a vari brani di Pausania soffermandoci in particolare sulla follia delle figlie di Preto. È l’occasione (la prima di tante) per Riccardo per parlarci dell’importanza di accettare Dioniso, della maledizione connessa con il rifiuto di fare quello che il dio chiede. Che poi è molto semplice a dirsi: semplicemente abbandonarsi a lui. Per le figlie di Preto, che hanno l’ardire di rifiutarlo, non c’è però il destino ingrato di Penteo; per loro c’è una salvazione che avviene proprio per intercessione di Artemide grazie ai buoni uffici del grande Melampo, un prete, indovino e guaritore che piace subito; quantomeno agli psichiatri del gruppo. Siamo infatti una delle categorie più rappresentate del gruppo (siamo in tre) superata solo dagli insegnati di discipline classiche (sono in cinque).

Ci soffermiamo a lungo sul mito delle Pretidi. Si parte dall’11° epinicio di Bacchilide per toccare il tema, molto caro a Mauro M, dei miti di fondazione, in particolare parliamo di quello di Tirinto e di Metaponto. La discussione si accende però sulle Pretidi , le tre figlie di Preto e Antea, che si chiamavano Lisippa, Ifinoee Ifianassa. Le tre donne avevano peccato di vanità contro Hera (si erano dette più belle di lei) e di empietà nei confronti di Dioniso (non avevano accettato il suo culto). Così erano state colpite dalla maledizione divina: Hera le aveva trasformate in vacche e Dioniso le aveva rese folli. Così vagavano allo stato selvaggio sulle montagne, assalendo come belve gli sfortunati viandanti. Il veggente Melampo (il primo psichiatra?), venuto a conoscenza della cosa si offrì di curare le tre fanciulle in cambio di un terzo del regno di Licia che apparteneva a Preto, padre delle fanciulle. Ma ottenuta la grazia il re si rifiutò di pagare il prezzo pattuito. Melampo se ne andò stizzito, ma, in breve, non solo le pretidi, ma tutte le donne dell’Argolide vennero colpite da pazzia. Vagavano per le campagne dopo aver ucciso i propri figli. In massa abbandonavano le loro case per unirsi alle tre Pretidi, di nuovo indemoniate. Preto fu costretto a richiamare indietro Melampo. Inoltre acconsentì a cedere un terzo del suo regno, ma Melampo aumentò le sue richieste chiedendo in aggiunta un altro terzo del regno di Licia per suo fratello Biante. Preto si arrese e Melampo consigliò di sacrificare ad Elio venti buoi rossi e di pronunciare durante il sacrificio alcune parole segrete. Dopo il sacrificio Melampo, suo fratello Biante e un gruppo scelto di guerrieri partono in missione sulle montagne e scacciano le donne invasate spingendole a immergersi in un pozzo sacro in cui sarebbero guarite dalla pazzia (forse proprio il lago della caverna che visiteremo di lì a poco). Tra le donne però non rinvennero le tre figlie di Preto che erano riuscite a sfuggire alla caccia e a rifugiarsi proprio dove siamo noi, a Lusi in Arcadia, in una grotta sovrastante il fiume Stige. Lì furono ritrovate da Melampo e suo fratello Biante i quali scoprirono che una delle tre sorelle, Ifinoe, era morta durante la fuga. Dopo aver riportato in patria le due sorelle superstiti ricevettero da re Preto il compenso pattuito. In seguito Melampo sposò Lisippa mentre Biante sposò l’altra sorella Ifianassa, dopo che entrambe le fanciulle avevano riguadagnato il senno immergendosi nelle acque del fiume Stige.

La storia è appassionante e ognuno ha interpretazioni e correzioni ed evoluzioni da proporre fino a che i morsi della fame non ci fanno ripartire.

Ci dirigiamo dunque verso le grotte dello “Spylaion ton Limnon” (grotta dei laghi) legate anch’esse alla leggenda di Melampo e della guarigione delle figlie di Preto. Qui ci ristoriamo e ci permettiamo un’escursione naturalistica all’interno dell’antro che vale senz’altro la pena non essersi negata. Le grotte sono una vera e propria immensa spelonca, a tratti amplissima. Ricorda un po’ le grotte di Frasassi nelle Marche. Ci sono molte stalattiti e stalagmiti a formare architetture di grande fantasiosità. Nei mesi invernali tutte le grotte sono invase dalle acque del fiume che poi si va a gettare nell’Alfeo. In queste acque si sarebbe anche immersa per purificarsi Demetra dopo la violenza da parte di Poseidone. Quella violenza da cui sarebbero nati sia il cavallo Arione, tanto caro a D’Annunzio, che la Despina (la signora ctonia) adorata a Licosoura.

Ripercorriamo poi a ritroso la bella strada lungo il Biriacos e ritorniamo stanchi al nostro hotel e alla nostra parca cena. In albergo è arrivato, nel frattempo Massimo, di cui facciamo conoscenza.

Venerdì 7 settembre. La prima tappa è a Mamousia, l’antica Cirene, su un altipiano alto sul golfo di Corinto. Della città antica restano povere cose, ma il panorama è grandioso. Il sito archeologico è ancora in gran parte da scavare; si individuano le vestigia di un teatro e altre emergenze, ma di epoca più tarda (veneziana, turca…). Abbiamo davanti il Parnaso e l’Elicona e a lato il Panachaion. Il paesaggio è di grande luminosità, le piogge recenti hanno ripulito l’aria che ora è tersa e fresca. Ha rinfrescato e si ha la sensazione di un Autunno incipiente. Una sensazione un po’ strana che non si avrà più nei successivi viaggi periegetici.

Massimo ha organizzato un incontro con un’archeologa greca che sta scavando nella zona di Eliki. La città antica sarebbe stata sommersa da un maremoto in epoca molto antica e l’archeologa pensa di poter ritrovare le vestigia di una specie di Pompei del c.d. “Medioevo ellenico”. Ci porta a visitare la strada costiera da lei riportata alla luce. Il sindaco del paese, crede fermamente nei progetti dell’archeologa, ci accompagna e ci fa da guida con la sua macchina. Quando la nostra si fora si prodiga nel darci una mano. Sull’antica Eliki ci sono molte ipotesi, ma poche evidenze. Però abbiamo assistito ad una ricerca archeologica in fieri e la cosa ci fa piacere.

Il tema delle conversazioni intanto sta scivolando sempre più su Aegion la capitale dell’Acaia dell’epoca omerica. Sembra che qui sia avvenuta la riunione federale dove si decise la guerra di Troia per cui non possiamo evitare di visitarla.

Qua e la nella città nuova, costruita sull’antica, emergono evidenze del passato: il museo archeologico è chiuso (è pomeriggio inoltrato), visitiamo la fonte di Artemide e poi ripariamo sotto il platano di Pausania, su un mare un po’ agitato a sorbirci un caffè greco. La gente locale asserisce che il platano in questione avrebbe fatto ombra anche alla nostra guida ideale. Sarà anche una trovata cattura turisti, ma il platano è molto grande e vecchio e alla sua ombra si sta molto bene.

Da qui ripartiamo per Patrasso dove ci aspetta l’Hotel “Delfini”, Ceniamo in un ristorante verso Rion dal nome accattivante: “Calypso”. La ninfa che aveva trattenuto per sette anni Odisseo non ci delude e mangiamo molto bene.

Sabato 8 settembre. Il nostro albergo è proprio centrale. Saliamo a piedi la collina su cui si è sviluppata Patre per dirigerci verso l’Odeon e l’acropoli, poi trasformata in fortezza veneziana. Qui anche il museo archeologico.

La camminata a piedi è l’occasione per ripercorre la storia della città. Dalla fortezza si gode un bel panorama: l’aria è terza, rarefatta da una brezza gradevole che soffia da nord. Si vede bene la costa dell’Elide e le paludi di Missoloungi dove andremo nel corso della IX° Perigesi (2009).

Dopo la breve visita di Patre torniamo indietro verso Aegion per visitare il museoche il giorno prima avevamo trovato chiuso. È piccolo, ma molto ben curato. La visita e la deviazione di percorso valgono la pena. Ci sono molti reperti sia della vicina Mamousia e degli scavi nella stessa Egio.

Poi ripartiamo per Dime. L’area degli scavi è chiusa (l’ora è tarda) proseguiamo verso il mare fino al promontorio di Araxos e qui scorgiamo la cittadella micenea di Teichos che la leggenda vuole essere stata fondata da Eracle. Ci sono cartelli di divieto d’accesso, ma li ignoriamo secondo uno stile che diventerà una costante anche nei viaggi a venire. In breve arriva un “agrotikos” che coraggiosamente e minacciosamente ci avvicina e ci apostrofa nella sua lingua. Ci dice che la visita non è possibile, che è proibito. Massimo riesce a convincerlo con molta difficoltà. Lui prima si irrigidisce sempre più, poi all’improvviso si scioglie e ci accompagna con grande cortesia. Veniamo a sapere che il viraggio timico è arrivato quando si è reso conto che siamo italiani e non tedeschi come aveva creduto in un primo tempo. Solo allora si è sciolto. Si lascia andare anche a battute sui nostri connazionali e sulle truppe di occupazione. Ci dice che lì, vicino all’aeroporto militare che ancora esiste, c’erano sia italiani che tedeschi. I tedeschi stavano sempre per conto proprio, non parlavano con i locali e se loro (lui allora era un bambino) si avvicinavano erano calci nel culo. Gli italiani invece li andavano a cercare, offrivano sigarette e chiedevano di essere presentati alle sorelle …, ma anche alle madri e alle zie.

La fortezza micenea è proprio grandiosa e gli scavi sono veramente in corso, ancora a livello di assaggi preliminari. Ci sono imponenti porte scee e pensiamo che anche a Troia dovevano essere fatte più o meno così: le visiteremo nell’VIII periegesi (2008). Il villico si rivela simpatico e incorruttibile: non accetta neanche la mancia che Massimo gli offre.

Rinfrancati per il successo delle nostre virtù nazionali ripartiamo per Olimpia dove ci aspetta l’hotel “Olimpic Village” dove resteremo una notte. La cena è in Hotel e si trasforma subito in un simposio in grande stile. Moreno legge e traduce la IX° Olimpica di Pindaro.

Piove di nuovo e la notte fa anche fresco. Siamo tutti emozionati: domani visiteremo uno dei luoghi più sacri dell’Ellade.

Domenica 9 settembre.È tornata una bella giornata, un po’ fresca. Visitiamo gli scavi di Olimpia con una guida d’eccezione: Massimo è veramente superlativo.

Ci fa un’introduzione storica partendo dall’Altis: l’altura sacra e il sacro recinto che ha testimonianze cultuali che risalgono addirittura al neolitico. L’antecedente del culto olimpico è però da far risalire al periodo miceneo. Il rimando è costante al mito e alle evidenze archeologiche. E dunque si parla di Tantalo, di Pelope, del banchetto antropofago, di Ippodamia e Enomao, della folle corsa dei carri, di Crisippo, di Laio e poi di Atreo, di Tieste e così via.

Enomao, il primo signore di Olimpia secondo il mito, si era invaghito della figlia Ippodamia, che ne aveva rifiutato le offerte amorose. Irato il padre aveva fatto buon viso a cattiva sorte e l’aveva promessa in sposa a chi lo avesse battuto nella corsa dei cavalli (vero primo abbozzo di gara “olimpica”). Ma i suoi erano cavalli fatati. Tutti i pretendenti, oltre a perdere la gara, “perdevano la testa” (che veniva tagliata come prezzo della loro sconfitta): le loro teste venivano appese alle porte del palazzo. Come non pensare alla Turandot pucciniana! Erano già 12 i pretendenti battuti, quando si presentò a richiedere la mano di Ippodamia, Pelope , un giovane principe che veniva dalla Lidia. Anche lui aveva storie intrigate di famiglia. Ma Pelope aveva anche varie carte nella manica. Era figlio di Tantalo che aveva cercato di proporre agli dei un pasto antropofago imbandendo loro proprio le carni del figlio. Ma gli dei inorriditi si erano accorti del macabro pasto e avevano prontamente abbandonato la mensa, senza contaminarsi. Solo Demetra aveva mangiato parte della sua pietanza che corrispondeva alla scapola di Pelope. Gli dei avevano ricomposto tutte le membra del giovinetto e gli avevano ridato vita. Tutto era tornato a posto, ma non la spalla che era stata sostituita con un manufatto d’argento. Oggi avremmo usato una protesi di titanio. Pelope aveva dunque una particolare vicinanza con gli dei: era stato anche loro cibo! Ma non basta, crescendo era diventato anche amante di Poseidone, dio del mare, dei terremoti e dei cavalli. Ottiene dunque a sua volta cavalli fatati dal dio. Inoltre corrompe, con l’aiuto della stessa Ippodamia, l’auriga del padre. La ricompensa pattuita sarebbe stata la metà della posta in palio: mezzo regno e la prima notte con Ippodamia.

Naturalmente Pelope non mantiene le promesse. L’auriga si ribella e viene ucciso. Prima di morire però lancia una maledizione terribile che incomberà su tutta la casata di Pelope e su chiunque con questa fosse venuto in contatto (Da Atreo a Tieste, da Crisippo a Laio, a Edipo e giù fino a Oreste).

Riccardo è molto preso dalla vicenda di Crisippo che è il primo figlio di Pelope ed Ippodamia. Crisippo, ancora fanciullo verrà violentato da Laio, in quel tempo ospite di Pelope. Il ragazzo poi si uccide e su Laio ricade la maledizione che poi darà luogo a tutto il ciclo tebano.

Poi si passa alla visita del santuario.

Si comincia dall’Heroon di Pelope (Pelopion) il luogo del culto eroico, cesura tangibile fra mondo greco e miceneo. È poi la volta del tempio arcaico di Hera, che fino alla costruzione del tempio di Zeus, era dedicato alla coppia divina.

Si passa poi alle maestose rovine del tempio di Zeus. Piange il cuore pensare alle colonne atterrate, non dai terremoti, come comunemente viene detto, ma dalla deliberata volontà degli imperatori bizantini che volevano così impedire che si continuasse a tributare onori agli dei della religione che ormai con disprezzo, veniva detta “pagana” (da pagus = villaggio). Una religione che ormai sopravviveva ancora nei villaggi, ma che doveva ancora far paura se ci fu bisogno di atti così cruenti. Già Teodosio così detto “il grande” aveva portato a Costantinpoli la statua crisoelefantina di Fidia. Quella statua che il nostro Pausania descrive con dovizia di particolari e che lo colpisce per la sua imponenza suggerendogli l’osservazione, ingenua e tenera, che, se si fosse alzata, avrebbe d’un sol colpo fatto crollare soffitto e tempio tutto. Fidia aveva soggiornato a lungo a Olimpia e ancora si conservano i resti di un edificio che ne aveva dovuto costituire il laboratorio. Lì vicino è l’ampio spazio del Ginnasio. Dall’altro lato del tempio di Zeus c’è la lunga file dei c.d. “Tesori”, splendide stanze di servizio per lo stoccaggio degli “ex voto” e comunque dei tributi che ogni città della Grecia dedicava al Dio e di cui, rivendicava la custodia. Più in là ancora c’è lo stadio, e accanto, quasi cassato dalle piene dell’Alfeo, si intravedono i resti dell’Ippodromo.

Si parla delle Olimpiadi, della loro storia, dell’importanza, della particolarità delle corse dei carri. E ancora dell’editto di Teodosio, dell’abbandono, delle invasioni slave, dell’incuria. Poi della riscoperta e degli scavi ancora in corso.

La facondia di Massimo innervosisce una guida greca che non tollera invasioni in quello che considera una sua prerogativa. Ne segue uno scontro durissimo che innervosisce tutti. Intervengono anche le guardie della polizia turistica che sanno mantenere una medietà. Lì per lì si era anche pensato di “spezzare le reni alla Grecia”!

Nel pomeriggio visitiamo il museo di Olimpia, Massimo, dopo lo scontro, ha perso un po’ del suo smalto, ma è sempre fecondo e ancor più: sa sempre trovare il modo di far rinascere l’interesse anche in chi è stanco.

Nel tardo pomeriggio prendiamo la via dell’Arcadia risalendo il corso dell’Alfeo. Ci dirigiamo ad Andritzena. Sulla via ci fermiamo a lungo sul ponte sull’Alfeo per parlare del mito di Alfeo e Aretusa e ancora per leggere le pagine che gli dedica Pausania.

Arriviamo ad Andritzena sul far della sera. Siamo nel cuore dell’Arcadia, abbiamo risalito l’Alfeo che incontreremo più volte nel nostro cammino anche nei prossimi giorni. Andritzena è un paesino di montagna che fa dimenticar la Grecia tutta mare e sole. C’è una natura verdissima e aspra, ha una sua bellezza un po’ ruvida. L’albergo Teoxenia sembra portato lì, pari pari, dagli anni 50. E forse da allora non è mai stato ben pulito. Senz’altro non è stato spolverato. Le luci sono basse e fioche, qualche lampadina si è fulminata anni addietro e da allora non è stata sostituita. Fa anche freddo e le coperte hanno la polvere dei decenni. Il ristorante che ci è stato riservato è però assai moderno e piacevole, i piatti sono di montagna, ma molto appetitosi. Riusciamo anche a trovare un vino che si fa bere. La conversazione verte sull’Arcadia come culla della grecità. Si fa anche un’incursione nel medioevo parlando delle invasioni slave e degli insediamenti di queste popolazioni in Arcadia. È probabile (lo dice il nome) che anche Andritzena sia uno di questi.

La notte è assai fredda e non c’è neanche il problema di dover spengere le luci.

Lunedì 10 settembre. Al mattino fa freddo, c’è anche nebbia, sembra quasi un inizio di Inverno. La prima tappa è verso il tempio di Apollo Epicureo a Basse. Saliamo in montagna, molto in alto fino a un punto dove la vegetazione scema. Su un altopiano si staglia la grande tenda che è stata stesa a proteggere il tempio di Apollo. Intorno tutte le varie strutture di servizio del tempio, solo parzialmente scavate. Un piccolo museo per custodire i reperti archeologici provenienti dagli scavi. Il tempio è ancora in piedi, il luogo insolito e lontano dai centri, ha forse evitato le opere di spoglio cui sono stati soggetti molte costruzioni dell’antichità, sia durante il medioevo che dopo.

Si discute molto sull’occasione che portò alla costruzione di un tale tempio, di tale importanza e bellezza e in una tale sede. Furono gli abitanti di Figalia che lo costruirono come ex voto ad Apollo che li aveva assistiti e “soccorsi” nella impari lotta con gli spartani. Per progettarlo fu chiamato il grande Ictino, l’architetto che già aveva progettato il Partenone e il Telesterion di Eleusi. Il tempio, dorico nella peristasi esterna, ha internamente otto colonne ioniche e tre colonne corinzie (tra le più antiche di tale ordine) addossate alle pareti della cella, sui quattro lati interni della quale correva il noto fregio (425-420 a. C.) con drammatiche scene di centauromachia e di amazzonomachia (Londra, British Museum) e per il quale sono stati fatti i nomi di Peonio o di Callimaco. Le rovine del tempio vennero notate da viaggiatori francesi e tedeschi nella seconda metà del XVIII secolo, ma gli scavi archeologici non iniziarono prima del 1836, da parte di un gruppo russo diretto da Carlo Brullo. Parte dei ritrovamenti è oggi conservato al Museo Puškin di Mosca e al British Museum. A partire dal 1902 vennero condotti scavi sistematici da parte della prima società archeologica di Atene.

Il culto di Apollo nell’area di Basse appare documentato almeno dal VII° secolo a.C. Inizialmente fu venerato come dio guerriero, fatto confermato dalle armi che costituiscono la maggior parte dei reperti archeologici, probabilmente poiché venne in aiuto degli abitanti di Figalia (e quindi επίκουρος = assistente, soccorritore di giovani) nella battaglia contro gli spartani per la riconquista della loro città nel 659 a.C. Negli anni del periodo classico, però, il carattere guerriero del dio si trasformò in un dio terapeuta; Apollo acquisì il soprannome επικούρειοςperché aveva impedito la diffusione della epidemia che aveva colpito la Grecia negli anni della guerra del Peloponneso.

Sarebbe bello visitare anche le rovine dell’antica Figalia (la cinta muraria e avanzi riferibili ai templi di Artemide e Dioniso), ma noi non facciamo in tempo a fare la visita che rimandiamo ad un’altra volta. Plinio asserì, per la prima volta, come “in Grecia si torni sempre”.

Torniamo indietro, attraversiamo nuovamente l’Alfeo.

Il tempo ha girato al bello, la pioggia recente ha fatto fiorire tanti fiori che sono ovunque lungo la strada che passa fra due muraglie di ginestre anch’esse fiorite. Un vero tripudio di colori. Pranziamo a Karitena, delizioso paesino alpestre su una montagna scoscesa a piombo sull’Alfeo, in cima una fortezza franca che alcuni volenterosi scalano. Poi rinfrancati dal buon cibo ripartiamo per Gortyna, presso le sorgenti del fiume Gortinio (latino Gortynius) o Lousios (latino Lusia), un affluente del fiume Alfeo.

La leggendaattribuisce la sua fondazione a Gortis, figlio di Stinfali. Pausania la descrive come un piccolo villaggio che però sarebbe stato, in passato, una grande città. Parte dei suoi abitanti furono trasferiti a Megalopoli, quando questa città fu fondata da Epaminonda nel 371 a. C.  Anche ai tempi di Pausania era famosa per il suo tempio di Asclepio, in marmo pentelico, che ancora conservava, nonstante le depredazioni romane, le statue di Asclepio e Igea fatte daScopas.

Visitiamo dunque le rovine dell’Asclepeion, che aveva piscine per idroterapia. L’acqua era tratta dal vicino Lusio, affluente dell’Alfeo. La vegetazione è lussureggiante, le acque del fiume tranquille e fresche. Riccardo si concede un’immersione nel genium loci. Si cerca con difficoltà di salire fino all’acropoli, ma gli scavi sono stati abbandonatoi alla vegetazione, nessuno ha provveduto a tagliere l’erba e la salita diventa una vera impresa. A Riccardo che ritorna dalla immersione viene tributata “coram populo” una corona di edera e vite, punto di arrivo di una metamorfosi dionisiaca che si accentua, di giorno in giorno, di simposio in simposio.

Nella stretta valle del Lusio sono sorti molti monasteri, probabilemte per il ristoro dell’anima e non più del corpo come nell’antico Asclepeion. Sarebbe bello salirvi per vie erte ed esposte come fanno tanti stranieri del nord. Ma si sta facendo tardi e rimandiamo tutto ad un altro viaggio.

Rientriamo a Andritzena al nostro albergo che dopo il tripudio di colori della giornata appare ancora più triste. In compenso il clima è migliorato e la sera è gradevole al punto di poter mangiare all’aperto. Si mangia bene al ristorante Baskosos.

Martedì 11 settembre. Partiamo con i bagagli al seguito alla volta di Megalopoli. Non c’è nostalgia per l’albergo che lasciamo, anche se Massimo, che ne è stato spesso ospite anche in passato, cerca di recuperarlo dicendo che anche esso è un vero cimelio degli anni 50.

Le rovine di Megalopoli sono nella parte nord-ovest dell’abitato moderno. La città sorge in un grande pianoro, su cui doveva insistere una zona umida dai cui depositi fossili si sarebbero originati i depositi di lignite, decritti in tempi antichi ed ancora presenti. Le rovine comprendono l’antico teatro che poteva contenere fino a 20.000 persone e si innalzava probabilmente fino a 30 m di altezza. Altri punti di riferimento comprendono la Thersileon con 67 colonne e un tempio.

Erodoto riporta l’antica credenza che l’area di Megalopoli fosse stato il campo di battaglia della Titanomachia. Da qui si parte in una discussione storico mitologica che ci fa andare indietro fino alla notte dei tempi. La lignite, di cui è ricco il sottosuolo, è infatti incline a prendere fuoco in Estate. Gli incendi possono covare sotto la cenere e bruciare la terra per settimane. Si pensava che questi fuochi fossero la testimonianza dei fulmini con cui Zeus aveva ucciso i Titani, inoltre la presenza di fossili di ossa preistoriche di elefanti e rinoceronti venivano lette come le ossa dei “titani”. Erodoto ci informa che queste erano state esposte in vari luoghi della zona circostante almeno a partire dal V secolo a.C.

La città di Megalopoli fu fondata nel 371 a.C. dal tebano generale Epaminonda, nel tentativo di formare un contrappeso politico a Sparta attraverso un processo di sinecismo che coinvolse circa 40 insediamenti circumvicini. Da qui il termine di “μεγάλη πόλις” (grande città).

Megalopoli divenne la sede della Lega arcadica nel 370 a.C. che, nel III secolo a.C., confluì nella Lega achea. La città, costruita senza risparmi, ebbe vita assai breve. Tramontata la potenza tebana molti degli abitanti ritornarono nei villaggi d’origine. L’area archeologica è comunque amplissima e noi la percorriamo cercando di raccogliere fra i cocci, sparsi ovunque, qualche vestigia del passato splendore.

Ci dirigiamo dunque verso Licosouraper visitare il tempio delle Despine. Ma ci sorprende la fame. Il tempo è passato senza che ne avessimo percezione, tutti intenti a riandare alla titanomachia e a Epaminonda. Cerchiamo dunque il solito “ristorantino” tipico, ma non c’è proprio niente. Dopo molte ricerche approdiamo ad un “estiatorio” rurale. È gestito da due vecchini, non c’è il bagno, ma solo una latrina in mezzo al campo, che però si rivela pulita. Non hanno niente se non scatolette di sgombri, un po’ di pane, pomodori. Non ci sono forchette per tutti, né piatti. Insomma ci si arrangia. Anche qui, quando si rendono conto che siamo italiani e non tedeschi, l’atmosfera si scioglie e ci portano anche del vino e della birra. Secondo Plinio quel vino (è una retzina) ha bisogno di “essere bevuto in quattro”: uno beve e gli altri quattro lo tengono fermo. Insomma mangiamo alla bell’e meglio. Poi si riparte per l’area sacra di Lycosura. Ma è tardi, l’area degli scavi e il museo sono chiusi. Saltiamo la recinzione e visitiamo il sito. Massimo ci racconta di quando per una cosa simile, anni addietro ha rischiato l’arresto e qualche notte di prigione. Detto questo però è il primo a passare oltre.

E siamo dunque finalmente nell’area delle “despine”, dee ctonie misteriche arcadiche (Δέσποινα), poi soprammesse al culto di Demetra e Kore. Le Despine arcadiche sono due, una madre e una figlia che poi venne considerata la figlia di Poseidone Hippiose Demetra. Il frutto dunque, insieme col cavallo Arione, dello stupro da parte di Poseidone di Demetra mentre questa vagava alla ricerca della figlia rapita. Non dunque come Kore figlia di Zeus e Demetra, ma di Poseidone. Era detta la Signora e il suo vero nome non poteva essere rivelato a nessuno ad eccezione di quelli iniziati ai misteri di Lycosura.Pausania, basandosi su osservazioni personali, sui testi disponibili e la consultazione con le persone del luogo, riferisce che Lycosura sarebbe stata fondata da Licaone, figlio di Pelasgo e che sarebbe stata la città più antica del mondo.

Nel 368 / 7 a.C., quando molte città della regione furono unificate nella città di Megalopolis attraverso la persuasione o la forza, i cittadini di Lycosura, Trapezus, Lycaea e Tricoloni avevano rifiutato di trasferirsi. I cittadini di Trapezus furono massacrati o cacciati in esilio dagli Arcadi, ma i cittadini di Lycosura furono risparmiati grazie alla venerazione per il Santuario di Despoina, dove avevano cercato asilo.

Il culto ctonio è testimoniato dalla presenta del botros accanto al santuario. Siamo in uno dei luoghi più antichi e più misteriosi del mondo greco. Siamo anche ai piedi del Monte Liceo. La città sarebbe stata fondata da Licaone: il tema del lupo appare dovunque. Nel gruppo si parla del monte liceo e dei sacrifici umani, dedicati a Zeus Liceo che si sarebbe effettuati sulla cima della montagna anche in età classica. Vorremo tutti salire in cima al monte Liceo, ma Massimo dice di dover tornare ad Atene in serata. A malincuore facciamo rotta verso Tripoli di Arcadia e lasciamo la nostra guida alla stazione degli autobus.

Siamo tutti un po’ contrariati, ma siamo colpiti da una atmosfera strana un po’ in tutta la cittadina. Non c’è traffico, non c’è gente e tutti si accalcano nei bar. Non abbiamo mangiato e ci avviciniamo anche noi sperando in qualcosa di edibile. La televisione trasmette in diretta dalla CNN e sembra un film di fantascienza. Una delle Twin Towers di New York sta bruciando quando arriva un aereo che si schianta contro la seconda torre. Il commentatore CNN è scatenato e quello greco gli si soprammette. Non si capisce niente, ma si ha la agghiacciante percezione di una tragedia in diretta. Ci dirigiamo in Albergo (Hotel Arcadia) e qui riusciamo a collegarci almeno con la CNN senza sovrapposizioni elladiche. I misteri di Licosura, i sacrifici umani sul monte liceo, l’attacco terroristico, le notizie che ci arrivano dall’Italia con il blocco di tutti i voli creano un’atmosfera surreale con un senso quasi di derealizzazione. E le immagini continuano con il collasso delle torri, i morti, il fumo e il rogo immane, gli attacchi al Pentagono, gli aerei abbattuti, i Phantom che incrociano sui cieli di New York in formazione da battaglia…

Veramente un 11 settembre particolare. Cominciano le associazioni. La battaglia di Teutoburgo, 8-11 settembre dell’VIII d.C: tre legioni romane più molte truppe ausiliarie vengono annientate da Arminio con un’immane sterminio. La storia del mondo verrà cambiata. Augusto ritirerà le legioni dalla Germania che si stava organizzando in colonia fino all’Elba e si prepara a difendere il limes renano. Ma poi ancora : l’11 settembre 1678 il re polacco Sobietsky arriva a liberare Vienna dall’assedio turco…

I passato e il presente si intersecano in una serie di rimandi che frastorna. La sera al ristorante “Chalet” di Tripolis non è come le altre. Fra un rimando storico, una notizia dell’ultim’ora e una portata di agnello, decidiamo di compattare i prossimi due giorni e partire per Atene non la sera del sabato come previsto, ma al mattino. È un po’ un modo per essere più vicini a casa, che così lontani (nel tempo e nello spazio) sentiamo in pericolo.

Mercoledì 12 settembre. Al mattino visitiamo il museo archeologico di Tripolis. Ci andiamo a piedi perché è a due passi dal nostro albergo che si è rivelato sobrio, ma questa volta decoroso. Il museo è piccolo, ma ricco e ben curato. Documenta assai bene tutto il percorso dell’Arcadia antica dal neolitico al periodo romano. Ci sono reperti che arrivano da tutta l’Arcadia, da Orcomeno a Megalopoli a Cinuria.

Poi partiamo per Tegéa per visitare in particolar il tempio di Athena Alèa e il locale museo archeologico. A Tègea hanno scavato da sempre gli italiani facendo riemergere reperti che testimoniano la strenua lotta che la città arcade sostenne per cercare di difendere la sua libertà dall’invadenza spartana cui dovette, ciò nonostante soccombere per quasi due secoli: dal 560 circa fino all’umiliazione spartana da parte di Epaminonda. Il tempio di Athena Alea fu testimone di questa lotta. Il tempio antico fu distrutto proprio nel 494 e poi magnificamente ricostruito con il concorso del grande Scopas di Paros che scolpì il frontone con una caccia al cinghiale calidonio. Pausania ci informa che la città fu fondata da Tegeate uno dei figli di Licaone che aveva sposato Maira, una delle figlie di Atlante, citata anche da Omero nell’Odissea.

Visitiamo anche il piccolo museo di Tegea per poi subito ripartire per Mantinea, sede della grande battaglia che segnò la fine della egemonia tebana e in cui perse la vita Epaminonda. Cerchiamo di seguire in loco le fasi della battaglia dall’alto di una collinetta che domina tutta la piana.

Proseguiamo per Orchomeno, visitiamo gli scavi, il teatro, molto ben conservato e i resti della città antica risalendo fino alla Acropoli. Le rovine sono rivestite di fiori e di verde rinate con le piogge recenti. Ci attardiamo alquanto in un contesto di grande suggestione.

Poi ripartiamo per Stynphale e la Palude Stinfalia. La zona è intensamente coltivata a viti ed è in corso la vendemmia. Ci imbattiamo in una grande festa popolare che rallenta molto il nostro viaggio e non ci permette di visitare ciò che resta di Stynphale. Ci proponiamo di ritornare in un altro viaggio. Nel frattempo godiamo in una contesto naturale di grande bellezza dato in particolare dal lago, di cui facciamo il periplo, e dalla montagne aspre che lo circondano. Rientriamo a Tripoli a notte fonda. Ceniamo al ristorante Klimataria

Giovedì 13 settembre. Di mattino ripartiamo per Atene. Il viaggio è scorrevole. Rivediamo l’Acrocorinto con la sensazione che sia passata una vita da quando l’abbiamo visitato. In realtà solo una settimana fa. Decidiamo di pranzare direttamente sulle pendici dell’Acropoli. Qui facciamo la conoscenza del Sig. D’Amico che ha assicurato l’assistenza logistica del viaggio.

Il pomeriggio viene dedicato alla visita dell’acropoli. È un fuori programma ed ognuno lo fa a modo proprio. Alcuni si dirigonoverso la Plaka, altri nell’Agorà. Ci ritroviamo al tramonto sull’Aeropago pensando a Oreste e anche a San Paolo che qui tenne il famoso discorso agli ateniesi.

Alloggiamo all’Hotel “President” sulla Kifisia Avenue. È stato un bell’albergo, ma ora è da risistemare. Ceniamo lì, ma non tutti. Riccardo parte da solo per la “pompé”verso Eleusi che diventerà poi un mito. Vuole ripercorrere la via sacra che da Atene portava i misti a Eleusi per l’iniziazione ai sacri misteri di cui poi non si poteva parlare (il termine “mistoi” deriva dal verbo “muo” che significa “tenere la bocca chiusa”, “tacere”). Tornando a Riccardo tutti si domandano perché la debba percorrere di notte. Comunque mentre lui percorre nel buio la sua avventura il gruppo si attarda a conversare. Plinio si procura alcune bottiglie di buon vino e le offre al gruppo. Rimaniamo a conversare fino a tardi. È ormai notte tarda quando riappare Riccardo dicendo di essersi smarrirlo: l’iniziazione è rimandata…

Venerdì14 settembre. Partiamo di buon mattino con un volo diretto dal Venezilos per Roma dove arriviamo in tarda mattinata. Ognuno ritorna a casa propria: Primo a Firenze, Riccardo, Moreno, Paolo, Plinio e Monica a Siena, Mauro e Michele a Pisa; Sara a Milano, Rosalba a Napoli, Nicoletta G. a Bologna. Massimo è già rientrato a Roma. Come si può notare proveniamo da varie parti d’Italia e i senesi sono i più: la geografia umana cambierà nelle periegesi che seguiranno, ma lo spirito e lo stile rimarranno sempre gli stessi.

A Roma ci lasciamo con la consapevolezza che è iniziata una grande avventura che ci accompagnerà a lungo. Riccardo amerà direche abbiamo percorso la prima tappa di un viaggio iniziatico.