II PERIEGESI – Diario Attica e Beozia

“Dove nascono gli dei”

3-11 Settembre 2002

I luoghi: Atene (acropolis, agorà, musei, etc.), Eleusi, Pireo, Tempio di Apollo Soter a Voulagmeni, Capo Sounio, Thoricos, Brauron, Maratona, Ramnunte, Skala Oropos, Santuario di Anfiarao, Tebe, Rupe della Sfinge, Eleutheria, fortezza attica di Porto Germenò, Atene.

Partecipanti: Franco, Maria Rita, Massimo, Monica, Nicoletta O., Paolo, Plinio, Primo, Riccardo, Rosalba, Sandro, Sara, Teresa

Martedì 3 settembre. Il ritrovo è a Roma, a Fiumicino, di mattina. Dei periegeti del primo viaggio quest’anno mancano alcuni. Ci sono però nuovi viaggiatori che poi diventeranno dei punti di riferimento per gli anni a venire: c’è un’altra Nicoletta (O.), germanista e con lei compare anche Maria Rita. Nicoletta diventerà una presenza quasi costante nei viaggi a seguire. Ci sono anche Franco e Teresa che diventeranno presenze assidue. Abbiamo con noi anche Sandro, che sostituisce il nostro grecista Moreno. Sandro non verrà più nei nostri viaggi, ma resterà sempre in contatto con noi, in particolare per parteciparci delle sue notevoli messe in scena dei tre grandi tragici del quinto secolo.

Siamo in tutto 13: In realtà siamo molti di più: Massimo si è portato dietro i suoi studenti della scuola di specializzazione in archeologia. Un gruppo nutrito, in tutto una trentina di persone, con pochi uomini e molte donne. Subito battezzate come “il gruppo delle fanciulle in fiore”. Effettivamente ce ne sono alcune proprio belle. Sono tutti gentili, ma i due gruppi non si amalgameranno mai. Purtroppo! Forse la differenza d’età, il diverso rapporto con Massimo: per noi amico accompagnatore, per loro maestro. Forse la diversità di abitudini. Ad esempio noi amiamo mangiare con comodo e conversare a tutto campo. Loro spesso si accontentano di panini e conducono la conversazione su temi “altri” rispetto a quelli antichistici. Noi siamo dei dilettanti, loro aspirano ad essere dei professionisti archeologi. Certe nostre scivolate sul mitologico, sull’antropologico, sul letterario, non le amano più di tanto. Forse si sentono anche un po’ snobbati, forse non ci sanno neanche ben inquadrare. Sembriamo turisti, ma di mondo antico ne sappiamo quanto loro, talvolta di più. Facciamo altri lavori, ma siamo interessati alle loro cose forse più di loro. Diciamo che complessivamente i due gruppi convivono senza troppo mischiarsi.

Appena arrivati al Venizelos puntiamo subito su Atene. Un bus di linea ci porta in piazza Syntagma e da lì prendiamo dei taxi che ci portano all’Hotel Plaza vicino a Piazza della Vittoria e al Museo Archeologico Nazionale. Il prezzo è decisamente esoso.

Il nostro albergo è in una posizione un po’ eccentrica rispetto alle nostri sedi consuete sempre volte a stare il più vicino possibile ai luoghi che vogliamo visitare. È in Acharnon, vicino al museo archeologico, ma ancora di più è capace di evocare i luoghi in cui si svolgono “Gli Acarnesi”.

Già nel primo pomeriggio partiamo in metropolitana verso l’acropoli. La guida è di Massimo: guida ferrea e determinata. La prima tappa è alla stazione Acropolis della metropolitana, ancora parzialmente in costruzione, ma già allestita a museo con, ben in evidenza, le “trouvailles” effettuate in loco grazie agli scavi.

Da lì ci dirigiamo verso la collina delle Muse. Abbiamo il lato Sud Ovest dell’Acropoli di fronte e Massimo ci traccia un panorama storico dell’insediamento. Pone l’attenzione in particolare sulla grande scalinata costruita in età giulio claudia, ci parla di Mnesicles e dei Propilei e di tutti i culti che insistevano sul lato Ovest dell’acropoli. Ci indica le mura micenee, il “pelasgicon”…

Mentre ci avviciniamo al monumento a Filopappo comincia a piovere ed è una pioggia battente che non accenna a diminuire. Ognuno cerca riparo come può. Si cerca ancora di riprendere il filo del discorso, di parlare delle mura di Temistocle, delle grandi mura che portavano al Pireo…, ma non va. La compagnia si sgrana, ognuno cerca una sistemazione di fortuna. Qualcuno anche in quella che è detta la “prigione di Socrate”. Molti riparano in albergo e poi da lì si recheranno a cena in un ristorante vicino. Altri mangiano e bevono ad un ristorante all’inizio della via Apostolou Paoulu. Ci ritroviamo tutti (ma a tarda ora) sulla terrazza dell’Hotel Plaza da cui sui gode una magnifica vista sull’acropoli illuminata.

Mercoledì 4 settembre. Al Plaza la colazione è molto ricca, lo yogurt è ottimo. Intorno a noi il cicaleggio delle “fanciulle in fiore”. Plinio e Franco si sono già riconosciuti e cominciano a duettare: sarà una costante “toscana” di molti viaggi in Grecia e anche in Sicilia.

Oggi e domani saranno giorni dedicati ad Atene. Oggi visiteremo l’acropoli e le sue pendici, poi il Museo Archeologico Nazionale. Domani sarà la volta delle agorà.

Di nuovo ci fermiamo alla stazione della metro Acropolis, ancora per vedere il museo in loco. Veramente bravi questi greci nel saper valorizzare i rinvenimenti antichi nel corso dei lavori della metro. Avremo modo di vederne anche altri esempi, ad esempio alla stazione di Monastiraki dove è stato rinvenuto e valorizzato l’antico percorso dell’Ilisso.

Poi saliamo all’acropoli. Si prendono prima di tutto in esame i culti che insistono sull’area ovest delle pendici. Per l’esattezza:

  • L’aeropago;
  • Il cimitero miceneo;
  • Il culto eroico di Egeo (con la rupe da cui aveva fatto il famoso “catapontismos”) ed Epiblate;
  • Il culto di Afrodite Pandemos, con una traduzione gustosissima di Plinio del termine “pandemos” (lett: “di tutto il popolo” e cioè, in pliniano: “che la dà a tutti”);
  • Il culto della fertilità con gli altari di Demetra Cloe (“la verdeggiante”) e “kourotropos” (“nutrice di fanciulli”);
  • Il culto di Hermes, divinità del passaggio. E non poteva non essere dal momento che, proprio dal lato ovest, insisteva l’acceso più semplice alla sommità;
  • Il culto delle Cariti.

Ci soffermiamo al c.d. “pilastro di Eumene II°” di Pergamo, parliamo della quadriga di Eumene, del riutilizzo da parte di Agrippa. Un breve accenno alla porta Boulé.

Grande attenzione viene portata ai propilei di Mnesicle. Ne ripercorriamo la storia. Pausania alla mano cerchiamo di ricostruire le statue che ornavano i Propilei:

  • La Afrodite Sosandra, lett.: “che salva gli uomini”;
  • La statua di Alenia, cortigiana amata da Aristogìtone, che si fa strappare la lingua piuttosto che rivelare il complotto;
  • Il “diitrefes” il soldato colpito da frecce (Pausania) diremo noi “un San Sebastiano ante litteram”. E chissà se i cristiani non si siano ispirati proprio da qui…;
  • Poi la statua di Athena Lemnia, donata dagli abitanti di Lemno, dai coloni ateniesi di Lemno;
  • E anche la statua di Athena Igea, che in età romana venne assimilata e onorata come Livia, la moglie di Augusto;
  • Ma da qui si doveva vedere la potente statua di Athena Promachos, di Fidia, bronzea, alta oltre 9 metri, che, con il suo cimiero luccicante, era visibile ai naviganti già dal golfo del Pireo.

Si arriva dunque sulla spianata dell’Acropoli. Si cerca di definirne le costruzioni più antiche. “L’ampio palazzo di Eretteo…” in primis. E, di fronte, l’ara e il primo tempio di Athena Polias.

Sul tempio di Athena Polias Massimo terrà una lezione magistrale alla Università di Siena nell’Inverno a venire. Molti di noi ci saranno.

Si parla delle vicissitudini del tempio della Polias, di ciò che resta. In particolare dei frontoni del tempio di Athena Polias (ora al museo dell’Acropoli) fatti in epoca pisistratidea.

Si visita con accuratezza l’altro tempio di Athena, quello dedicato al figlio Eretteo. È l’occasione per una escursione sui primi re mitici di Atene.

Si inizia dal mito della nascita di Erittonio. A Riccardo viene lasciata l’elucidazione dell’episodio mitico dell’amore di Efesto per Athena. Si dilunga in particolari assai sapidi (lo sperma di Efesto, le ginocchia della dea “dagli occhi scintillanti”…) su cui si appunta l’arguzia di Plinio. Grande digressione anche sul kasmages, il mito dello sprofondamento di Erittonio, ma anche di tanti altri eroi greci e comunque antichi. Pensiamo anche allo stesso Romolo. Sul luogo dello sprofondamento di Erittonio sarebbe poi stato costruito proprio l’Eretteo.

Si continua con il mito e la genealogia dei re di Atene: le figlie di Eretteo. Il problema della cista con gli oggetti sacri ad Atena diventa il tema di un intenso dibattito. In cosa consistevano, cosa erano, perché venivano nascosti. Il luogo ci dà l’occasione per parlare anche della casa delle Arrefore (da “ta arretà”: le cose nascoste) e della casa delle Ergastine (le giovani ateniesi che vi venivano a tessere il peplo di Atena). Nell’Eretteo viene onorata Athena, ma anche una Athena ctonia, per un certo tempo deve essere insistito anche un culto oracolare di Athena. E poi di Poseidone, della contesa per il possesso dell’Attica. Di una dualità che continua dagli dei ai primi re a cominciare da Eretteo e Bute che si dividono le cariche di re e sacerdote.

Si arriva al Partenone e qui è un vero seminario a cielo aperto. Si comincia con Pisistrato e la istituzione delle panatenaiche, istituite nel 563. Per poi passare a parlare non del Partenone, ma dei Partenoni. Dall’ “Hecatompedon”, al Partenone di Temistocle, alla sua distruzione ad opera dei Persiani. Al Partenone di Cimone, per arrivare infine al Partenone di Pericle: da Callicrate a Ictino. Il 449 e la pace di Callia come data in cui, anche formalmente, si decide di ricostruire l’acropoli e quindi di venire meno al c.d. “giuramento di Platea”. Si cercano le tracce di questo confronto (fra Cimone e Pericle) nei segni del manufatto. Per poi passare alla lettura estetica: la particolarità delle colonne, il fregio del naos, le metope, i due frontoni. A cominciare dal frontone est: la nascita di Athena, il carro del sole e della luna. Nell’ovest la contesa fra Poseidone ed Atena per il possesso dell’Attica, compresa fra i due fiumi: l’Ilisso e l’Eridano. Con la fantasia ricostruiamo poi l’interno del tempio: la cella, la statua crisoelefantina di Atena, la sua difficile gestione e conservazione fin dall’antichità.

Si visita il Museo dell’Acropoli (ancora il vecchio). Il tempo per mangiare qualcosa e poi via a visitare (ormai è pomeriggio) il Museo Archeologico di Atene. Rientriamo in albergo nel tardo pomeriggio. Alcuni cenano lì, altri vanno in centro. Sandro ci porta al Platanos, dove sembra essere già stato con la Scuola. Sarà la prima di tante cene in un ambiente molto greco pur essendo nel cuore turistico della città: siamo proprio dietro l’agora romana, la biblioteca di Adriano e la Torre dei Venti. Ma di questo, lì per lì, non ce ne rendiamo conto, tanto siamo presi dal piacere della convivialità.

Giovedì 5 settembre. Sarà la giornata dedicata alle Agora di Atene: le tante agorà. Massimo è inflessibile: si parte all’ora stabilita, chi è in ritardo si arrangia e ci raggiunge quando vuole. Di nuovo una sosta alla fermata Acropolis della metro.

Questa volta si discute dell’urbanistica ateniese, dello sviluppo della città. Dai primi insediamenti, ancora di epoca micenea sull’acropoli, alla necropoli sul lato ovest, agli insediamenti alle pendici del lato nord est: fra la collina dell’acropoli e l’Ilisso. Qui sarebbe stato il luogo dell’arcaia agorà, qui probabilmente anche il primo teatro e un tempio di Teseo: il primo Theseion. Quindi, praticamente, il cuore della città antica sarebbe stato fra l’attuale via dei Tripodi, la piazza Lisicrate (che sarà sede di tanti nostri convivi, ma molto dopo) e la porta di Adriano. Lo spostamento dell’agorà nella parte ovest sarebbe avvenuto assai tardi, forse addirittura all’inizio del VI° secolo. A dimostrazione di questa tesi Massimo ci conduce a vedere quelli che secondo lui (e anche altri studiosi) sono i sotterranei del Thesion, ora rinvenuti nei sotterranei di un palazzo privato. La visita non è possibile al comune pubblico e riusciamo ad entrare solo grazie ai suoi buoni uffici.

Usciti, saliamo fino alla Grotta di Aglauro. Nuova incursione nel mito delle figlie di Cecrope e della sfortunata Aglauro. Riccardo si profonde in tortuose congetture su cosa fossero i famosi “arretà” contenuti nella cista che Atena affida alle figlie del re. Elucubrazioni anche sul significato della genitura di Atene da Efesto ed Atena. Con naturalmente, nuove proiezioni dell’episodio dello sperma di Efesto. A tratti si ha l’impressione di entrare in un cinema a luci rosse.

Ci distoglie da questo conversare l’arrivo alla piazza Diogene e la visita al monumento a Lisicrate. Siamo lungo la via del Tripodi, in cui insistevano i monumenti dedicati ai vincitori degli agoni tragici. Il monumento a Lisicrate è di fine V° secolo e una preziosa testimonianza dell’iniziale uso del capitello c.d. “corinzio”, a foglie di acanto che tanta fortuna avrà nel periodo ellenistico e il cui primo uso documentato lo abbiamo trovato nel tempio di Ictino a Basse. È l’occasione per un caro ricordo della visita al tempio di Apollo Epicourios dell’anno prima.

Ma poi riprendiamo il nostro cammino toccando uno dei luoghi più sacri del mondo antico. Visitiamo infatti il teatro e i templi di Dioniso.

Forse i primi agoni tragici avvennero nell’arcaia agorà, ma ben presto fu qui che si svolsero i sacri riti dedicati a Dioniso. Qui sul lato sud della collina dell’acropoli. Il teatro era assai ampio, ma non imponente come quello di Epidauro. Vide rappresentate le “prime” delle opere di Eschilo, di Sofocle, di Euripide. Vide i loro trionfi e anche quello di altri le cui opere, forse pur pregevoli, non ci sono giunte, incapaci di sopravvivere alle ultime espunzioni dei grammatici alessandrini, alle dimenticanze della nuova religione che pur tanto doveva a Dioniso-Bacco. Ma più ancora alla crisi bizantina del VII° secolo, alle lotte iconoclaste, alla tragedia della IV° Crociata. Mentre siamo a discutere nell’orchestra Sandro ci fa sentire la ricostruzione moderna di un pezzo di musica che cerca di riprodurre l’accompagnamento musicale di uno stasimo antico. I commenti sono stati tutti volti alla sgradevolezza della sensazione musicale. Da qui parte una digressione sulla musica antica, sulla sua tonalità diversa, e quindi su un discorso musicale che male si presta ad essere percepito da orecchie moderne.

Sopra la cavea è ben visibile la Grotta di Trasillo, non visitabile al momento e dedicato al terribile mito di Niobe.

Segue la visita all’edificio che per un certo tempo accolse il serpente dell’Asclepeion, monumento tardo avvenuto durante le fasi finali della guerra del Peloponneso. Sofocle sembra aver tenuto il serpente sacro proprio nella sua abitazione: non era un privilegio da poco.

Proseguiamo col cercare di ricostruire le strutture del santuario di Themis. Massimo è un profluvio di cose, di nozioni, di dati.

Passiamo di fronte al teatro di Erode Attico, con lunga digressione sulla figura dell’illustre ateniese-romano. Massimo fa riferimento agli scavi della sua villa nella Penisola del Parnone che visiteremo nel corso della V° Periegesi.

Siamo ora sul lato nord-ovest dell’acropoli. Si parla delle fonti di acqua dolce che dovevano rifornire la città micenea e che forse furono il motivo principale per cui questo scoglio, destinato a diventare così importante, venne scelto dai primi insediamenti umani. Si parla dell’accesso nord alla città micenea e del palazzo fortezza che ne doveva vigilare l’accesso.

Pranziamo in un ristorante vicino al Museo Kanellopoulos.

Poi si riparte (è ormai pomeriggio) per la visita delle “nuove” agorà. Si parla della Stoà di Attalo, ricostruita ex novo dagli americani, e che ora ospita il Museo dell’Agorà. Poi della Stoà di Mezzo e della Stoà di Zeus. Si percorre la via panatenaica e si inizia la via sacra verso Eleusi, dove andremo domani. Ci soffermiamo di fronte alle povere vestigia dell’altare dei dodici, distrutto dalla metropolitana per il Pireo. Era la prima sosta della sacra Pompè che tante volte Riccardo cercherà di ripercorrere.

Poi visitiamo il tempio di Athena ed Efesto, più noto come Thesion. E il tempio di Apollo Patroon. E il Bouleteurion.

Alla fine della giornata non c’è stata pietra che non sia stata nominata, accarezzata, ricordata, segnata con mille rimandi.

Venerdì 6 settembre. Stamani ci aspetta il pullman e si parte per Eleusi. Durante il viaggio Riccardo legge con molta partecipazione l’Inno omerico a Demetra.

Visita accurata del santuario con la guida di Massimo. Poi si visita il museo. Dissertazione sulla ceramica greca di fronte all’Hydria con Polifemo e Odisseo.

Si pranza sul mare, di fronte a Salamina. Plinio cita a lungo lo scritto di Cesare Brandi sulla Grecia. Ora è la volta dell’articolo su “Le ciminiere di Eleusi”.

Nel pomeriggio si torna ad Atene di buon’ora. Si cena ancora al Platanos.

Sabato 7 settembre. Anche stamattina ci aspetta il pullman. Ci dirigiamo verso il Pireo. Visitiamo in primis il museo archeologico che non ha niente che invidiare ad altri musei di Atene. Ricchissimo di materiale ceramico, di tombe, anche ricostruite. Segue poi il giro dell’Aktà, il grande promontorio che divide i due approdi del Pireo. È l’occasione per una dottissima riflessione condotta da Massimo sui porti di Atene, sulle scelte di Temistocle, sullo sviluppo del nuovo porto, sulla strada che lo collegava ad Atene. Si osserva la collina di Mounichia dove sorgeva un palazzo di Ippia ed un tempio di Artemide. Divinità molto cara ai Pisistratidi che erano originari di Brauron.

Si prosegue per il tempio di Apollo Soter a Voulagmeni. Il tempio è stato inglobato in un grande albergo. Per visitarlo dobbiamo chiedere il permesso che ci viene gentilmente concesso. Triste spettacolo di un tempio antico, così importante ridotto a miseri lacerti e poi inglobato e marginalizzato all’interno di una struttura turistica che lo vive come una seccatura (“Ah lo potessimo livellare…”).

Si percorre tutta la costa che porta a Sounion. Massimo vorrebbe farci vedere anche le cave del Laurion , ma il nostro autista è veramente un problema (non conosce le strade, non si sa orientare…) ed è un pericolo (non si fa consigliare, parla solo greco…). Dopo vari tentativi infruttuosi ci consoliamo con una buona taverna sul mare. Assai costosa, cosa che crea qualche malumore fra le fanciulle in fiore.

Si prosegue per Sounion. Visitiamo il tempio di Athena e di Frontis, si cercano le vestigia del porto antico. Infine siamo al tempio di Poseidone dove aspettiamo il tramonto.

Ripartiamo per Thoricos dove ci aspetta un albergo assai modesto con luci flebili. La notte il tempo cambia ed arriva un temporale di fine estate che rovescia fiumi di acqua sulla costa.

Domenica 8 settembre. Al mattino fa fresco, ma l’aria si è fatta diafana dopo la notte di temporali. Modesta colazione, in un albergo modesto. Andiamo a visitare in primo luogo l’acropoli di Thoricos, poi le tombe micenee. Poi il teatro di Thoricos con il sacello con colonne in antis che si affaccia sullo stesso. Naturalmente dedicato a Dioniso. Secondo il mito Demetra sarebbe approdata qui, provenendo da Creta. Forse riferimento a un primo insediamento di epoca addirittura minoica, da parte dei cretesi interessati alle vicine cave argentifere del Laurion. È l’occasione per una dottissima dissertazione sulle origini del teatro, i rapporti con Creta, il mito di Dioniso. Massimo tiene lezione, ma anche Sandro dà importanti contributi.

Si riparte a mattino avanzato per Brauron, dove visitiamo il santuario di Artemide Brauronia. Qui venivano “a fare le orsette” le giovani fanciulle della migliore società ateniese. Il luogo è tipicamente artemideo: una palude selvaggia, formata dall’Erasinos il torrente che qui si impaluda prima di gettarsi nel mare. Ci sono i suggestivi resti del santuario, la stoà, l’estiatorium e … un grande fico dei cui frutti Franco farà razzia. Sarà l’inizio di una attitudine che verrà sovente ripetuta anche negli anni a seguire. Molto apprezzata anche perché l’ora si è fatta tarda e non abbiamo ancora mangiato. Anche le fanciulle in fiore si mostrano interessate alla raccolta di Franco. È l’occasione per una valutazione accurata. Le passiamo in rassegna una ad una, man mano che si avvicinano ai fichi. Ne segue un confronto, una discussione “somatoestesica” molto accanita fra me Franco e Plinio. Anche questo avrà molte altre ripetizioni negli anni a seguire.

Massimo macina informazioni e impegni di viaggio in modo inflessibile. Dopo un breve relax si riparte alla volta di Maratona. Il gruppo vuol mangiare. Riccardo cerca la solita “taverna sul mare, con le tovaglie a quadri…”. Pranziamo gradevolmente sul mare di Maratona. È il ristorante Limenaki in cui ritorneremo anche nel 2010, in Inverno con un drappello di periegeti scelti, in pieno Gennaio.

Poi visitiamo il tumulo degli ateniesi e dei platesi. Segue la visita all’interessantissimo museo locale con moltissimi reperti anche di origine neolitica: una vera e propria “chicca”. Nelle vicinanze una villa di Erode Attico, i cui ruderi ci proponiamo di visitare un’altra volta.

Si discute della battaglia di Maratona, del suo valore. Plinio parla di Eschilo e del fratello Cinegiro che qui troverà la morte. Sandro tende a ridurre l’importanza storica della battaglia, suggerendo l’idea che si sia trattato di poco più che una scaramuccia. Massimo taglia la testa al toro obbligando a ripartire alla volta di Ramnunte. Il nostro autista è una vera frana: non sa dove sia, non sa leggere la cartina. Mi rendo conto di orientarmi meglio io di lui e cerco di guidarlo: non è cosa facile. Ma con un po’ di peripezie arriviamo alla mèta.

In un paesaggio di grande suggestione visitiamo il tempio di Themi (arcaico) e di Nemesis. (classico). In lontananza verso il mare vediamo ciò che resta di una città micenea. Massimo ci avverte che vi sono in corso interessantissimi scavi, ma al momento non aperti al pubblico.

Si sta facendo sera. Ripartiamo alla volta di Skala Oropos, il porto dell’Europos. Dove ci aspetta l’Hotel Alkionis. Arrivarci non è facile, il nostro autista ci fa fare una grossa divagazione sulle montagne della Beozia. Massimo ci fornisce dati storici su questa zona a lungo contesa fra Atene e Tebe.

L’Hotel Alkionis è di fronte al mare, di là si vede l’Eubea. È un albergo sgangheratissimo che fa rimpiangere quello di Thoricos. Ce ne lamenteremo; l’agenzia, che preso atto con rincrescimento del problema, ci farà iniziare il viaggio seguente (la III Periegesi) proprio da questo stesso albergo. Si cena ad una trattoria su mare. Alla fine della cena attacca a piovere.

Lunedì 9 settembre. Il mattino ha l’aria fresca e una luce accecante. L’ambiente della colazione è misero, illuminato dalla luce del mare e dal turbinio delle fanciulle in fiore.

Ci dirigiamo al Santuario di Anfiarao che è nell’entroterra non molto distante da Skala Oropos. È lunedì e lo troviamo chiuso. Le reti alte, forse anche la presenza di un custode ci impediscono di fare quello che è nostro solito. Cerchiamo di farci un’idea del sito dall’alto. Si parla del santuario e del mito di Anfiarao, dei sette contro Tebe. Delle parole di Eschilo che lo dipinge fra le truppe che vanno all’assalto di Tebe. Parole alte e toccanti: mentre tutti gli altri hanno scudi dalle decorazioni elaborate che cercano di suggerire idee sulla loro grandezza e nobiltà, Anfiarao lo ha levigato perché “… per lui è più importante essere che apparire” (Plinio).

“…. Reggeva uno scudo di bronzo
tondo e senza alcuna insegna:
perché non vuole sembrare prode, ma esserlo…”

… (Eschilo: “I sette contro Tebe)

Si discute molto di Anfiarao, dei suoi rapporti con Tidèo, di come ne provocasse indirettamente la morte. Di come venga descritto da Eschilo. Meglio: di come venga scolpito nella sua invettiva contro Tideo e Polinice che l’avevano, complice la moglie Erifile, costretto a una guerra che non voleva e di cui, da buon profeta sapeva il triste esito.

Del sesto eroe ora dirò: tutto saggezza,
profeta di sommo valore, Anfiarào,
è schierato alle porte Omolèe.
Scaglia aspre ingiurie contro Tideo: lo chiama
omicida, sconvolgitore della città,
maestro supremo di sciagure in Argo,
araldo delle Erinni, sacerdote
dello sterminio, autore del malvagio consiglio
che mosse Adrasto. Alzando gli occhi al cielo,
biasima anche Polinice, tuo fratello,
smembrando in due parti il suo nome;
e tali parole gli escono dalle labbra:
«Oh che bella impresa, gradita agli Dei
e bella da udire, e da narrare ai posteri:
mettere a sacco la città natale,
e gli dei della Patria, e sopra di lei scagliare
un’orda straniera! E chi potrà
inaridire con buon diritto la fonte
della madre? La terra patria
presa a forza con le lance, come
speri di averla poi amica? Io queste zolle
ingrasserò: andrò nascosto sotto la terra ostile
io, il profeta. Ora si combatta:
io spero che il mio destino non sia senza onore».

Secondo il mito infatti Anfiarao provocò la morte di Tideo, alleato nell’esercito ma suo nemico, perché lo aveva condannato alla rovina. Si dice, infatti, che grazie alla sua arte profetica Anfiarao sapesse che la spedizione dei Sette sarebbe finita in un disastro. Così respinse l’offerta del cognato Adrasto di partecipare alla spedizione; ma in altri tempi aveva giurato che qualora fosse stato in disaccordo con Adrasto, sua moglie Erifile avrebbe fatto da arbitro inappellabile. E Tideo convinse Polinice a corrompere Erifile con la Collana di Armonia.

Così Anfiarao fu costretto ad andare in guerra. Quando la rovina dei Sette apparve inevitabile, Anfiarao vide che Tideo era stato colpito a morte da Melanippo; ma Atena, che proteggeva Tideo come avrebbe protetto Diomede, di lui figlio, accorse: portava all’eroe una pozione che lo avrebbe salvato. Anfiarao non potè sopportare che Tideo vivesse, e si lanciò su Melanippo: lo decapitò e lanciò il cranio a Tideo. Questi ne divorò il cervello, e Atena si disgustò, abbandonando Tideo alla morte.

Ma il profeta non scampò alla sua sorte: Periclimeno, figlio di Poseidone lo inseguì implacabile. Anfiarao invocò Zeus ed Apollo: la terra si aprì davanti al suo carro.

Da allora Anfiarao fu l’immagine che appariva in sogno a chi lo invocava nell’oraclo di Oropos; oforse già fin da quel tempo si trova là dove Dante lo incontrò: all’Inferno, nella Quarta Bolgia dell’Ottavo Cerchio. Tra gli indovini.

Su Anfiarao, profeta e veggente, Riccardo si ripropone con complesse letture esegetiche e mitologiche. Che vengono pesantemente rintuzzate da Massimo. Bisogna dire che lo reprime proprio impedendogli di lanciarsi nei suoi complessi, intrigati, intelligenti, fantasiosi, a volte sgangherate ipotesi sul mondo antico. Ma si rifarà negli anni a venire.

Si riparte alla volta di Tebe dove arriviamo ancora in tempo per visitare il museo archeologico con una raccolta impressionante di Larnaka micenei (urne di terracotta dipinte usati come bare). Importante materiale proveniente dal Santuario di Apollo Ptoo e da quello dei Cabiri: li visiteremo entrambi al prossimo anno. Ora andiamo alla ricerca di un ristorante, ma sopra tutto Riccardo impone una visita alla Rupe della Sfinge. Lì dove sedeva la fanciulla terribile ora c’è un ristorante chiuso. Riusciamo comunque ad entrare. Nonostante l’incuria e l’abbandono il luogo trasmette un che di sacrale capace di evocare molto dell’immanifesto che è continuamente all’orizzonte del nostro viaggio. Un immanifesto che Riccardo non cessa mai di indicare, di evocare, di suggerire.

Ripartiamo per la fortezza di Eleutherìa. È molto tardi, c’è molta fame. Cercando un ristorantino “bellino con i tavoli sul mare” … abbiamo finito per far passare il tempo. Finiamo in una locanda trucida per camionisti al passo di Eleutheria. C’è chi si contenta di un panino, chi di un’insalata. Alcuni mangiano, di tutto punto, tutto quello che viene da una fumosa ed un untuosissima griglia sistemata proprio sulla strada. Fa tutto molto “trash on the road”. Mi ricorda Orazio (V° Satira) e la sua “lurida popina”.

Anche per digerire (o per dimenticar la fame, per qualcuno) visitiamo la fortezza del IV secolo di Eleuthere. Nello splendore della loro civiltà i greci sono all’avanguardia anche nell’arte della guerra. Hanno inventato la falange, l’hanno sfruttata in tutte le sue potenzialità. È con essa che hanno combattuto al guerra del Peloponneso e questa ha messo in evidenza molte fragilità. Ad esempio per gli ateniesi la inadeguatezza della scelta periclea di trasformare Atene in un isola (con le lunghe mura) abbandonando il territorio. Da qui la determinazione di presidiare l’Attica che informerà di sé tutta la politica ateniese dopo la sconfitta. Nascono così le fortezze attiche. Una è questa. Volta a presidiare il passo che porta a Tebe. Diventato sempre più importante con il crescere della potenza tebana. Si costruiscono mura dunque. E ambienti dove poter alloggiare truppe e provviste per difendere ed offendere. La fortezza di Eleuthere diventerà così un luogo dove far stazionare truppe di primo impatto contro un eventuale aggressione, ma anche dove far trascorre un periodo ai giovani ateniesi appena arruolati, prima di essere immessi nella falange. Un periodo di servizio militare diremo noi (loro lo chiamavano “Efebia”) in cui apprendevano l’arte della guerra cominciando dal compiere azioni non canoniche in territorio nemico: azioni di sabotaggio in particolare. Un mezzo eccezionale per esercitare, punzecchiare il nemico, far scaricare l’aggressività giovanile.

Naturalmente insieme con l’arte della costruzione di fortezze compare anche la “poliorcetica” che è l’arte nell’espugnarle. Un’arte che avrà con Demetrio Poliorcete, figlio di Antigono (uno dei diadochi di Alessandro Magno) il suo primo punto d’arrivo. Tutto verrà però di lì a breve superato di slancio da Roma.

La visita alla fortezza, lasciata peraltro in completo abbandono, è interessantissima. Massimo ci parla delle fortezze dell’Attiva, di quelle dell’isola di Kea che ci invita a visitare. Di quelle di Ergostena che visiteremo domani.

La fortezza a dominio del passo è un po’ più in alto. Occorre un po’ di arrampicata. Poi c’è da avventurarsi fra le mura, i sassi, le sassaie. Mi ritrovo accanto Teresa, agilissima e velocissima. Ammirata per i suoi settant’anni portati con leggerezza. Una delle fanciulle in fiore (Chiara) ci dà belle informazioni sulle soglie, sulle porte, sulle divinità che le presiedono. Non mi ricordo molto di quello che dice …, ma è molto interessante…

Riuniti nel pullman si riparte per Porto Germenò, l’antica Ergostena. Altra fortezza attica a presidio della costa nord della Megaride e del Golfo di Corinto. Arriviamo a sera. L’albergo è un po’ meglio del solito e ha anche una bella piscina. Che invita ad un bagno tonificante. Solo che l’acqua è talmente carica di sostanze contro l’inquinamento biologico, che è fortemente tossica. Molti ne escono con pelle e mucose assai irritate.

Per cena scendiamo a piedi fino al mare e ceniamo in un bel ristorante dove si mangia anche bene. Il ritorno a piedi è bellissimo: la strada è buia e silenziosa, l’aria piena degli odori del Mediterraneo, intorno lo sciame cicaleggiante delle fanciulle in fiore… È qui Plinio propone a Massimo lo scambio scellerato: tutte le nostre donne in cambio di una sola delle sue fanciulle.

Martedì 10 settembre. Al mattino andiamo a piedi a visitare la fortezza attica di Porto Germenò. L’ambiente è di potente bellezza: le rovine antiche che degradano verso il mare. Anzi che si gettano in mare (la costa è interessata ad un fenomeno di bradisismo che ha fatto abbassare nel mare la linea antica di costa. Il mare è di intensa bellezza. Con una spiaggia lunga e di rena sottile. Su tutto troneggia il Citerone a Nord con le sue ninfe, le baccanti, Edipo appeso, le greggi del re di Corinto e di Tebe…

Il bagno è un’esperienza collettiva. Solo Franco e Plinio si ritirano sotto un ligustro e fanno gli animali di terra. Ma intanto continuano nell’opera di catalogazione… ora anche con più dati obbiettivi…

Dopo pranzo riprendiamo la via di Atene passando per Eleutere, poi scendendo ad Eleusi. Qui Riccardo vuole scendere per ripercorrere (a ritroso) la Ierà Odos. Arriviamo ad Atene in tempo per visitare il Museo del Keramicos. Massimo non si risparmia ed è prodigo di notizie sul quartiere del Ceramico. La sua storia, le sue strade e le sue necropoli. La sua porta (il Dipilon). Riccardo parte a piedi verso Eleusi per la sua pompè.

Nel tardo pomeriggio rientriamo all’Hotel Plaza. Il tempo di scaricare i bagagli e si riparte per il centro. Per molti il ritrovo è al Platanos che d’ora in poi diventerà una consuetudine di ogni nostro passaggio per Atene. Abbiamo imparato il nome di un cameriere (Dimitrios), così lo chiamiamo come se fossimo vecchi amici. Lui non ci riconosce, ma è gratificato dalla familiarità e ci trova sempre un bel posto sotto i platani e ci serve velocemente. Si mangia bene, si spende poco e siamo in un angolo appartato della Plaka, che, da lì, è facilmente raggiungibile.

Mercoledì 11 settembre. Ritorno via Roma Fiumicino