III PERIEGESI – Diario Beozia, Focide e Eubea

“Gli oracoli”

5-14 Settembre 2003

I luoghi: Skala Oropou, Santuario di Anfiarao, Tempio di Artemide ad Aulis, Eubea (Lefkandi, Eretria, Calcide, Orei, Capo Artemision, Loutra Edipsou), Termopili, Antro coricio, Ithea, Delfi, Fonte Castalia, Tempio di Atena Pronaos, monastero di Osios Lukas, Medeon, Livadia, Antro di Trofonio, Orchomenos, Santuario di Apollo Ptoo, Cheronea, Tebe, tempio dei Cabiri (Cabirion di Tebe), Tespi, Askra, Valle delle muse (Mte. Elicona), Triodos (Daulis), Rupe della sfinge, Tebe, Santuario di Apollo, Leuttra, Platea, Eleuthere, Eleusi, Atene.

Partecipanti: Anna Maria, Eli, Franco, Maria, Moreno, Nicoletta O., Nora, Plinio, Primo, Riccardo, Rosalba, Ruth, Sara, Teresa

Venerdì 5 settembre.Siamo partiti da Roma la sera (con una tariffa assai più conveniente che di giorno) arrivando ad Atene alle 23 dove ci attendevano gli autisti dell’agenzia che ci hanno affittato i due mezzi grazie alla organizzazione coordinata anche quest’anno da Antonio d’Amico della Diomedea Travel (aggiungo questi particolari nel caso possano interessare qualcuno che leggerà queste note). Pernottamento all’Hotel Alkionis sul mare (grazioso, ma rumoroso) subito fuori Skala Oropou, sorta sull’antica città di Oropos, posta al confine tra Attica e Beozia e a lungo contesa, per la sua posizione strategica, da Atene e Tebe. Una graziosa cittadina sul mare con invitanti ristorantini quasi sul bagnasciuga.

Sabato 6 settembre.In una fresca a luminosa mattinata settembrina, siamo stati in visita al famoso santuario oracolare dell’eroe Anfiarao, uno dei sette eroi argivi partiti per la mitica guerra contro Tebe e noto per la oniromanzia. L’anno scorso eravamo rimasti ad ammirare il sito da fuori a causa di uno sciopero dei custodi. Ma la perseveranza di esserci tornati quest’anno ci ha premiati abbondantemente. Il genius lociè tra i più incantevoli in terra di Grecia. Il santuario si colloca in cima ad una stretta vallata dove il mondo sembra chiuderci in un bacino accogliente, quasi una nicchia fuori dal grande mondo predisposta per un incontro con il mondo-altro, quello del sogno. Oltre ai suggestivi resti del tempio dell’eroe eponimo è suggestivo osservare i resti della stoà adibita a enkoimetèrion,luogo deputato ad accogliere il sogno salutare. Suggestivo anche il piccolo teatro a ridosso di uno dei fianchi della piccola vallata.

Tra le ombre di un fico generoso è stato interessante raccogliere testimonianze di Pausania, di Plutarco, di Eschilo su questo curioso personaggio e delle intricate vicende che ne hanno fatto comunque un eroe-indovino, un canale di comunicazione tra mondo diurno e mondo notturno-infero attraverso l’oniromanzia. Ci hanno accompagnati in queste letture anche i preziosissimi libri di Carlo Brillante e di Giulio Guidorizzi sul sogno in Grecia. Un tema di grande portata che solo un secolo fa Sigmund Freud ha riaperto restituendo al disvelamento onirico la sua potenzialità di percorso autoconoscitivo. Ancora una volta la commistione di cultori di scienze antichistico-umanistiche e psicologiche ha avuto modo di esprimersi in infiniti intrecci e rimandi i cui echi continuano ancora nelle comunicazioni via e-mail tra i periegeti.

Abbiamo quindi proseguito seguendo la costa nord tra Attica e Beozia cercando di non mancare Aulis dove sapevamo dell’esistenza di un tempio ad Artemide sul luogo dove il mito racconta della immolazione di Ifigenia. Non è stato facile trovarlo perché assai male indicato, ma la perseveranza, ancora una volta, ci ha ricompensati dei ripetuti tentativi. Il luogo, sito in una piccola valle non lontano dal mare, ha un suo fascino (purtroppo minacciato da una enorme cementeria che incombe mostruosamente sul paesaggio) ed è stato intrigante l’emergere delle diverse prospettive (ed investimenti emozionali) collegati al gesto di Agamennone: segno di vile poterismo e/o prezzo inevitabile per un wanax andron,per un conduttore di popoli? L’analogia con il sacrificio di Isacco non poteva mancare all’appuntamento di un interrogativo destinato, come pochi altri, a rotolare per secoli e millenni nella eterna contrapposizione tra ragion di stato e ragioni del cuore. Tra le pietre ancora composte di quel piccolo tempio il tragico quesito palpitava ancora come una ferita inevitabilmente aperta e pur addolcita da una consuetudine antica con la storia dell’uomo.

Passato il ponte a sud (ce n’è anche uno a nord) che unisce la terraferma all’Eubea(sopra l’Euripo, il breve tratto di mare che Pindaro attraversò in barca lasciandone traccia nei suoi versi della IV° Pitica) siamo approdati in Eubea, “isola dalle molte navi” con intima aspettativa ed emozione. Pur sapendo poco (Massimo, quanto ci sei mancato!) ci era nota l’importanza dell’isola nella fase della prima formazione della cultura greca subito dopo i “secoli bui” del medioevo ellenico. Chi di noi aveva ammirato la splendida coppa di Nestore al museo di Ischia (Pitecussae) ricordava come una delle più antiche iscrizioni in alfabeto greco è appunto quella in dialetto euboico, assai vicino a quello fenicio, indice di una primitiva colonizzazione da parte di popoli marinari che nell’VIII secolo a.C. iniziavano a reinseminare le coste greche dei loro oggetti e del loro linguaggio.

A parte la gradevolezza della costa (dove qualcuno di noi si è regalato un magnifico bagno in attesa del pesce fritto) la visita a Lefkandi è stata abbastanza problematica. La città sorgeva su una collina ancora in corso di scavo con poche emergenze di rilievo: non ci dimentichiamo che fu, di fatto abbandonata, già nell’VIII secolo. Sarebbe stato necessario un approfondimento storico più accurato che abbiamo rimandato a quando, come per il santuario di Anfiarao, ci ritorneremo. Sapendo poco del luogo non si può apprezzare molto dal momento che il sito si presenta attualmente come una collinetta coltivata a frumento e … a cocci che affiorano ancora numerosissimi tra le zolle. Singolarissimo comunque l’heroon.In ultimo siamo arrivati a Eretria, a 14 Km da Lefkandì. In origine forse il porto della stessa che poi ha finito per subentrargli come città più importante. Ricordaimo l’etimo in rapporto con la parola “eρέτης” (vogatore). Ma era tardi, il museo chiuso e abbiamo deciso di restare a cena sul lungomare. Abbiamo cenato a un ristorante sul lungomare, si è mangiato bene, ma abbiamo speso molto. Poi abbiamo traghettato al chiaro di luna verso Skala Oropou. Il mare era calmo. Di fronte a noi l’Attica, con la piana di Maratona. Poi la Beozia, dietro l’Eubea, il pensiero è andato al Foscolo, ai Sepolcri e alla rappresentazione notturna della battaglia di Maratona:

… Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l’Eubea,
vedea per l’ampia oscurità scintille
balenar d’elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d’armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all’orror de’ notturni
silenzi si spandea lungo ne’ campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a’ moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.

Una traversata davvero emozionante!

Domenica 7 settembre.Di buon mattino siamo tornati, in traghetto, a Eretria e ne abbiamo visitato le rovinemadrepatria di famose città coloniali di Occidente, ci ricorda Massimo – con le sue splendide case dagli eleganti mosaici a ciottoli. Incantevole la collocazione orografica, il teatro e i resti del tempio di Apollo Dapnephoros. Abbiamo anche noi colto foglie e bacche di alloro come viatico per il nostro viaggio che ci avrebbe portato a Delfi, scoprendo anche l’odore simile a incenso che le foglie emanano alla combustione. L’alloro della valle di Tempe, da cui sarebbe provenuto l’alloro del primigenio tempio di Apollo, l’abbiamo lasciato ad una futura ricerca (ci siamo andati nel 2008 con l’VIII° Periegesi!).

Splendido il piccolo museo di Eretria con raffinatissimi oggetti protogeometrici, cavallucci-giocattolo (?) con le ruote ed uno splendido gruppo marmoreo del 520 a.C. di Teseo che rapisce una assai poco riluttante Antiope.

Da Eretria ci siamo spostati a Calcide, dove abbiamo anche pranzato. La visita al museo di Calcide non ci ha deluso, con oggetti di varia provenienza, da quella cicladica sino alla romana con interessanti statue di un Antinoo e di un ibrido tra Dioniso ed Apollo. Nel pomeriggio abbiamo attraversato l’impareggiabile paesaggio montuoso dell’Eubea settentrionale, per arrivare (era ormai notte) al nostro alberghetto, questo quieto, ordinato, tranquillo (Hotel Porto Kairis) di Orei sul golfo Maniaco. Orei è una tranquilla cittadina di villeggiatura, con bei ristorantini sul lungomare dove abbiamo abbondantemente brindato a Dioniso!

Lunedì 8 settembre. Di buon mattino, rinfrancati da una bella dormita, ci siamo indirizzati subito verso il Capo Artemision, punta estrema dell’isola, dove abbiamo meditato su letture di Erodoto che descrive la flotta delle mille navi persiane in procinto di invadere la Grecia prima che la tempesta ne distruggesse una buona parte. Anche in questo caso ci è molto mancato Mauro, ma abbiamo cercato di compensare come abbiamo potuto, grazie in particolare alle conoscenze storiografiche di Rosalba e di Primo.

Siamo partiti, in tarda mattinata, da Loutra Edipsou, antico luogo termale con suggestivi anfratti. Ancora oggi è possibile fare il bagno nelle acque calde che sgorgano tra le rocce dove si infrangono le onde. Purtroppo non abbiamo avuto il tempo per beneficiare delle virtù curative così decantate in età antica e … non solo. Giunti sulla terraferma non abbiamo mancato le famose Termopili. A parte il monumento di fattura recente con la statua di un oplita (chissà perché gli scultori antichi erano … di tanta misura più grandi) ci siamo inoltrati nella gola tra il dirupo montagnoso e la collinetta rocciosa tra cui la gola delle Termopili consentiva solo il corpo a corpo tra pochi combattenti persiani e spartani (poi accerchiati grazie al noto tradimento). Anche lì qualche breve lettura al riparo dal rumore assordante della strada statale che in quel tratto passa con un pericoloso rettilineo e … l’emozione per un luogo che significa qualcosa per ciascun uomo che lotta per la difesa della propria patria o comunque della libertà da un invasore.

Abbiamo pranzato tardi in un paesino di montagna al confine fra Focide e Tessaglia, mentre pioveva. C’è stato una certa caduta di slancio, poi ripreso con l’arrivo a Delfie il regalo (la sorpresa orchestrata da Riccardo) della visita, sul far della sera, all’antro coricio in uno dei corni del monte Parnaso, con il suo santuario in grotta dedicato alle ninfe. Trovare il “vasto speco” in serata non è stato facile, ma la suggestione delle rocciose pendici del sacro monte che si ergono come corna a partire dal vasto altipiano giustifica ogni sforzo. Il luogo, poi, è carico di una suggestione unica. Sappiamo come fosse probabilmente il sito oracolare più antico (suffragato dal ritrovamenti di statuette risalenti al 2000 a.C.). Quale poi il collegamento tra il koreikion andron e il primigenio sito oracolare di Gea? E quali riti si svolgevano in questo luogo dove la voce si amplifica naturalmente a dismisura, sino a divenire “altra” e dove istintivamente si intuisce la vocazione di una simile caverna come luogo di incontro tra la dimensione ctonia-infera e quella solare-terrena? Non abbiamo resistito alla tentazione di celebrare il luogo con un rito elementare: raccoglierci in cerchio attorno ad un piccolo fuoco e ascoltare la vibrazione possente di un suono elementare emesso coralmente. Tentativo patetico, d’accordo, ma che non ha mancato di lasciare una sua suggestione. Ahimè, siamo ormai così lontani dal saper celebrare con riti condivisi l’austera solennità di luoghi che ci fanno comunque avvertire la loro potenza evocativa.

La sistemazione in serata all’Hotel Kalafati nella suggestiva baia di Ithea sul golfo di Corinto. Splendido lo specchio d’acqua dove si specchiano le luci dei ristoranti a sera. Qualcuno ne ha approfittato per un bagno al chiarore di luna. La cena è stata lussuosa, ma il pesce si è fatto molto attendere. Da qui l’occasione per Plinio e Franco di dettare sulla famosa “pesca del Giunti”. Ma ci sono state anche digressioni sulle macine del Mulin dell’Era, etc etc…

Martedì 9 settembre. Visita al santuario di Delfi. Evito ogni commento. Aveva piovuto tutta la notte e la luce del nuovo giorno ci ha accolti con una luminosità veramente apollinea. Ci siamo goduti l’inno omerico ad Apollo all’ombra di un piccolo albero appena sopra il teatro di Dioniso. Ci eravamo preparati con letture del testo della Delcourt, di Pausania, Del Corno, Vernant, Brandi … ma già quei rocchi di colonne doriche che si stagliano sul pendio tra le due vallate dicono più di ogni scritto. Abbiamo tessuto intricati filamenti tra onfalos e Pithon, tra i 5 o i 7 saggi, tra epsilon e struttura del messaggio oracolare, tra il due e l’uno, tra emanazioni inebrianti e proprietà dell’alloro, tra trance sciamanico e logosapollineo, tra Dioniso ed Apollo (la cui co-esistenza sottolinea bene Plutarco assai prima di Nietzsche), tra pizie e sacerdoti delfici (prezioso sempre il nostro Plutarco che quest’anno ci ha accompagnato spesso assieme a Pausania). Ma lasciamo il districarsi e il riannodarsi di questi fili ai mesi ed ai millenni futuri! Il museo di Delfi era in fase di restauro per cui erano solo visibili lo splendido auriga ed il toro dalle corna dorate. Abbiamo deciso che ci torneremo. Non abbiamo mancato, ovviamente, di abbeverarci alla fonte Castalia (ma la Pizia ne beveva una diversa!) e a rendere omaggio ad Atena Pronaos.

Mercoledì 10 settembre. Visita allo splendido monastero di Osios Lukas, ricco di mosaici bizantini e proseguimento per l’antica polis di Medeon affacciata sulla sponda nord del golfo di Corinto. Luogo, anch’esso, non facile da identificare ma impagabile per la collocazione e per le mura megalitiche bianchissime che giungono sino al mare. Nei pressi anche una necropoli sulle pendici della collina antistante con le tipiche pietre piatte in forma rettangolare. Nei pressi anche una suggestiva cava di bauxite con le tipiche polveri color ruggine.

Alla sera giungiamo alla suggestiva località di Livadia, antica Lebadea, sede di uno dei più famosi antri oracolari, dedicati all’eroe locale Trofonio. Restiamo letteralmente incantati dal corso del ruscello costellato da enormi platani sotto le cui fronde si annidano irresistibili ristoranti tipici. Ceniamo presso uno di questi: fa quasi freddo!

Giovedì 11 settembre. Ma la vera meraviglia è tornare in un mattino di chiarissima luce a contemplare le ancor più chiare acque delle due fonti gemelle-ed-opposte: Lete e Mnemosine che sgorgano a poca distanza l’una dall’altra per dare origine al limpidissimo torrente ricco di acque sonanti anche ai primi di settembre dopo una torrida estate. Il pullulare di queste sorgenti che sono incontestabilmente “vive” (e senza dubbio abitate da una divinità acquatica) introduce con dolcezza la mente – come legittimamente ritenevano gli orfici – in una dimensione dimentica del mondo circostante dove pure sembrano affiorare stati d’animo antichi-e-nuovi insieme. Viene da chiedersi (e qualcuno si arrischia di farlo) come dosare dimenticanza e rimembranza per immergersi nella magia di quel particolare stato di coscienza. Su Trofonio, il mitico architetto e costruttore di luoghi dedicati al rito, ci conduce Sara che, seduta sul ponticello tra le fonti, ci educe sulle singolarità di una pratica originale simile a quella proposta recentemente nelle cosiddette celle di deprivazione sensoriale. Grazie ad uno schema fornitoci da Ruth (quest’anno avevamo una periegeta di Berlino) e tratto da un interessante testo su “Griechisches Orakel” apprendiamo che l’interrogante veniva condotto, dopo un paio di giorni di digiuno, all’interno di un pozzo da cui veniva fatto entrare in una cavità ancora più ristretta a cui accedeva attraverso i piedi. Dopo una notte di totale isolamento nel quale veniva invocato un disvelamento salvifico, l’interrogante veniva accompagnato da due ministri che si curavano di prendere nota per iscritto del vissuto. Una specie di nekyia,di piccola discesa agli inferi che, mutatis mutandis, ha analogie non casuali con il descensus ad inferosdi cui si fa carico anche la ricerca psicoanalitica del cosiddetto “profondo”. La tentazione di riprodurre un pozzo trofonico in Toscana è grande. Cercheremo di resistervi!

Ringraziamo Domenico Conci per averci messo sulle tracce di questo luogo.

Proseguiamo, non senza fatica nel lasciare Lebadea, per Orchomenos per la visita delle rovine dell’importante antica città Beotica con il suo teatro e il famoso “tesoro dei Mini”, maestosa tomba micenea di forma circolare dalle pietre megalitiche. Di qui procediamo verso il santuario di Apollo Ptoos, da cui provengono i famosi kuroi arcaici conservati al museo di Tebe. Anche questo sito non è facile a trovarsi, arrampicato com’è sul monte omonimo. Ma in un giro che ha per tema conduttore i siti oracolari, non poteva mancare quello che venne definito in epoca arcaica l’oracolo più veritiero (anche, quindi, in rapporto a Delfi stessa). Maestosi terrazzamenti, indici della fortuna avuta dal luogo, si susseguono sulle pendici del monte in una cornice suggestiva dove regnano arbusti e capre al pascolo con i loro ipnotici scampanii. In stato di quasi-siccità si presenta la sorgente da dove fluiva l’acqua dotata di potere vaticinante. Sintomo di una voce del dio irreversibilmente disseccata? Restiamo con l’interrogativo, ma la suggestione di pensare ai tempi nei quali l’acqua di una fonte veniva percepita come veicolo di un messaggio divino, certo non può lasciarci indifferenti.

Di lì la lunga strada che ci ha portato a Tebe passando per Cheronea. Sugli scalini del piccolo teatro scavato nella roccia che si racconta fosse la pietra scambiata da Cronos in sostituzione di Zeus abbiamo contemplato la piana dove è tramontata la gloriosa era della polis schiacciata dalla vittoria macedone. Memori dell’importanza del luogo anche come città natale di Plutarco abbiamo letto passi delle sue vite (di Lisandro, mi pare). Si è a lungo parlato anche della battaglia di Cheronea dove la falange tebana con i suoi trecento immortali fu annientata dalla cavalleria macedone. Con lei morì per sempre l’età delle poleis, della cui vita restò solo un’ombra, poi definitivamente annientata dall’arrivo dei romani…

Giungiamo quindi a Tebe … (è quasi sera!) ora modesta città neppure capitale della Beozia e che non è più riuscita veramente a risorgere dopo essere stata rasa al suolo da Alessandro dopo, appunto, la battaglia di Cheronea.

 

Venerdì 12 settembre. Al mattino torniamo al museo dove già eravamo stati l’anno scorso, con Massimo come dottissima guida. Quest’anno, orfani di tanta guida, ci siamo tuttavia rifatti. Siamo infatti riusciti a contattare personalmente Aravantinos, eforo della Beozia, che per inciso parla perfettamente italiano. Anche se per breve tempo, ci ha accolti e gentilmente affidati alle cure di un suo collaboratore che ci ha portati ad un luogo difficile da raggiungere: il tempio dei Cabiri. È il Cabirion di Tebe, che ci dà la suggestione per una prossima Periegesi a Samotracia, sede principale del culto dei grandi dei (ci andremo nella VIII° Periegesi!).Si tratta di un sito ad una quindicina di km da Tebe dove si svolgevano i riti misterici di origine orientale e le cui tracce sono ancora osservabili nelle statuette e nei vasi del museo di Tebe. Bello il teatro dove avvenivano le sacre rappresentazioni ed il contesto generale in una piccola valle appartata dalla grande piana attualmente coltivata a cotone.

Sempre con i buoni uffici dell’eforo della Beozia, abbiamo la fortuna di visitare Tespi, santuario delle Muse ed il suo museo tuttora in allestimento. Ancora sparsi al suolo – e senza possibilità di fotografare – si possono osservare numerosi monoliti di forma itifallica di varia grandezza. Non stupisce se, seguendo Pausania, colleghiamo questo dato alla menzione relativa al culto di Eros che, in particolare, veniva celebrato in questo luogo. Non lontano troviamo Askra, patria di Esiodo, dove ci fermiamo per pranzare a pochi metri dalla statua del poeta. L’emozione è grande, non solo per l’ottimo capretto arrosto, ma soprattutto per la valle delle Muse sul monte Elicona dove la reggente del museo di Tespi ha la gentilezza di condurci (sempre grazie ai buoni offici dell’eforo di Beozia). Il percorso per arrivarci è lungo una strada sterrata che lascia alle spalle abitazioni anche di contadini. Nella sacra valle delle Muse, se dio vuole, c’è il divieto assoluto di costruire. Il luogo, in effetti, conserva un incanto indimenticabile. Di lontano (non abbiamo potuto avvicinarci) si può osservare un anfiteatro coperto di erba che … fiorisce quasi naturalmente sulle pendici di una valletta interna dell’Elicona. Non bisogna essere particolarmente visionari per scorgere carole di fanciulle in fiore intrecciare serti e danzare al suono del vento o dello zufolo di un pastore errante. Esiodo era uno tra questi e … quale miglior luogo per trarre le ispirazioni necessarie a raccontare delle origini del cosmo e delle genealogie degli dei?

Non sazi di suggestioni, non vogliamo tornare a Tebe prima di ripassare per Cheronea a rivedere il gigantesco leone marmoreo in ricordo del plotone tebano (anche in questo caso: “eran 300 giovani e forti…”) sacrificatosi nella disperata battaglia contro le falangi macedoni sotto la guida dello stesso Alessandro e, su legittima insistenza di Plinio, per cercare il mitico “triodos” e il (sacro!) suolo dove avvenne l’uccisione di Laio. Ci avviciniamo quindi nuovamente a Delfi cercando di mettere insieme informazioni sporadiche su Daulis, cui Sofocle allude con riferimento alla “pietra spaccata” dove avvenne il fatale incontro. A dire il vero non si tratta, almeno per quanto è sembrato, di un “triodos”, di una biforcazione (tra una strada che doveva portare a Tebe ed una a Corinto). Qualcuno tuttavia ci ha studiato a lungo, dal momento che inaspettatamente (ma solo in parte) ci imbattiamo ai margini della strada in un cippo con la citazione di Sofocle. Firmato: i partecipanti ad un congresso di psicoanalisi del 1996. Il momento è di intensa emozione collettiva, testimoniata da molte foto. A poca distanza dal cippo, Riccardo ritrova una pietra scura (di color rosso sangue rappreso) che senza ombra di dubbio è quella usata dal nostro Edipo per dare attuazione al vaticinio di Apollo. È stato sacrilego, ma non ha resistito alla tentazione di portarla con sé. L’ignoranza dei doganieri in aeroporto ci ha permesso addirittura di farla franca. Sul tema è disponibile un interessante testo di Plinio per chi non lo avesse ricevuto.

Riprendiamo la strada per Tebe che ormai è notte. Sulla strada incontriamo di nuovo (già ci eravamo qui intrattenuti l’anno prima in compagnia delle “fanciulle in fiore” della corte di Massimo) la rupe della sfinge. Riccardo non resiste al tentativo di rinnovare la sfida edipica e, preso dal dio, non si accorge di un filo spinato che gli arresta la corsa. Incurante del dolore, del sangue, del telefonino perduto… si precipita ad accendere un fuoco nell’amara spelonca. Ma la Sfinge non si manifesta e il quesito drammatico è solo se tornare o meno nel nostro appartato ristorante di Tebe.

 

Sabato 13 settembre. Lasciamo a malincuore Tebe e la rocca Cadmea (l’albergo Meletiou è il più conosciuto ma lo ricordiamo senza rimpianti). Prima però ci fermiamo al santuario di Apollo, sulla collina da cui Tiresia compiva le sue infallibili ornitomanzie. Ci dirigiamo nei luoghi di Leuttra, inizio della fine di Sparta e di Platea,luoghi resi celebri dalle note battaglie sulle quali non ci dilunghiamo in queste righe (…almeno per ora). Visita anche antiche rovine della città di Platea, menzionata da Omero.

Su tutto domina, suggestivo, il Citerone.Luogo di intrecci infiniti, come ci ricorda anche Hillman ne Le variazioni su Edipoma che soprattutto Pausania ricorda almeno per due motivi:

1) essere sede di un antichissimo oracolo delle Ninfe (che la follia amorosa, che Moreno ci ricorda accanto alle altre menzionate da Platone (non sia poi la più antica e la “madre” di tutte le altre?)

2) e regno di quel Citerone che per Zeus costruì l’idolo di una finta sposa per far ingelosire e richiamare Era che per … i “soliti” motivi si era adirata e allontanata dall’inquieto consorte.

Passiamo la fortezza di Eleuthere, dove ci siamo già fermati nella seconda periegesi. Ricordiamo che da qui viene indicata una delle vie di penetrazione di Dioniso verso l’attica (Dionisos Eleutheros): non dimentichiamoci che era pur sempre un tebano! Poi scendiamo verso il golfo Saronico. Di lontano scorgiamo “il tremolar della marina” e … ci accoglie ancora la sacra Eleusi. Abbiamo la fortuna di arrivarci dal monte e non da Atene e ci infiliamo direttamente nel sito che molti di noi conoscevano per la visita dell’anno passato (o ancor prima per altri). Piccolo ma sempre nuovo il prezioso museo sulla collina che sovrasta il Telesterion. Ad assaporare testi di Omero, di Colli ed altri, insieme ad ottimi gamberi ed abbondante birra fresca, ci ritroviamo al già noto locale sul mare dalle tende azzurre dove qualcuno riesce anche a prendere un po’ di sole e a farsi un bagno. A metà pomeriggio, ebbri di sole, di sale e di chiacchiere (oltre che di birra) imbocchiamo la via sacra per Atene. La percorriamo all’incontrario e qualcuno (indovinate chi?), almeno per un tratto, a piedi nella speranza di intercettare ancora i canti degli antichi iniziati oltre il fragore assordante di auto e camion sulla strada più inquinata del pianeta.

La sera, posati i bagagli all’Hotel Thission, si va tutti alla Plaka e al nostro ristorante “Platanos” in Mnesicles Odos. Tutto buono, ma attenzione: mai ordinare rezina. È la peggiore dell’Ellade! Bello inoltre ritrovarsi nel dopo-cena davanti al Thission, il mitico alberghetto di fronte alla agorà, subito dietro la rupe dell’Areopago, con Oreste che si aggira finalmente assolto da Dio e dagli uomini e magari anche Paolo di Tapso che scorato si consola per tanta irridente miscredenza. Più su, l’acropoli illuminata e sopra ancora la pallida luna … Proprio lì c’è il Partenone, che quasi puoi toccarlo.

Domenica 14 settembre. La mattina dopo … programma libero. Ma quasi tutti ci ritroviamo tra le rocce nude e rosate, tra le membra di Atena e ripercorriamo con animo che rischia la devozione le varie stratificazioni del suo culto. Ci accompagnano gli appunti della bella lezione tenuta da Massimo su invito di Mauro (numi tutelari del nostro viaggio anche se ahimè, quest’anno assenti) l’anno scorso. Grazie!

Grazie in particolare a Rosalba e a Moreno per la raffinata cultura antichistica di cui ci hanno resi partecipi senza riserve.