V PERIEGESI – Diario Argolide
2-11 Settembre 2005
I luoghi: Heraion di Perachora, Tholo, Nauplion, Tirinto, Tomba micenea, Diga micenea, Spiaggia di Karathona, Fortezza Palamede, Fonte di Era (Aghia Moni, Aria), Micene, Nemea, Asine, Epidauro, Archaia Epidauro, Capo Costa, Haleis, Heraion di Argo, Prosymna, Argo, Fortezza bizantina, Casa delle tegole, Cencre, santuario ortodosso, Monastero di Aghios Soter, Villa di Erode Attico, Trezene, Ponte del diavolo, Poros (tempio di Poseidone), Egina (tempio di Afaia), Atene.
Partecipanti: Alberto, Antonella, Carmen, Eli, Franco, Laura Bi., Michele, Monica, Nicoletta O., Nora, Plinio, Primo, Riccardo, Sara, Teresa
Venerdì 2 settembre. Ci si ritrova a Roma, purtroppo con due assenze: all’ultimo momento sia Ruth che Rosalba hanno dato “forfait”. In compenso ci sono due nuove giovani ed aitanti fanciulle: Laura ed Antonella. Si arriva al Venizelos senza problemi. Si prendono le nostre solite auto e si parte.
Prima tappa è l’Heraion di Perachora. La sposa di Zeus era particolarmente venerata in Argolide e uno dei suoi tanti appellativi era “argiva”. La digressione non appare dunque tanto peregrina. Nel viaggio iniziatico che Riccardo sempre riconosce nel nostro vagolare, è un primo tributo al nume tutelare di questa tappa. Perachora poi è luogo pieno di ricordi perché fu proprio qui che iniziò la prima periegesi. Quando si arriva al sacrario è tardi per il bagno di rito ed anche per lo spettacolo del tramonto, ma l’incanto e la magia sono sempre gli stessi.
Si cena poco distante in un ristorante sul mare. In verità si cena letteralmente “sul” mare perché otteniamo che ci venga apparecchiato sul bagnasciuga. Piacere del simposio, “rumorio” del mare, poca luce … in pratica si mangia anche qualche lisca!
Si riparte (tardi) per Tholò dove D’Amico ci ha prenotato un alloggio (Paradise Lost Hotel). Si arriva stanchi. Qualche problema per le camere (ce ne è una in meno!) forse perché un nuovo periegeta (il polifemico Alberto) ne ha già occupata una. Comunque l’alloggio è confortevole e ai massimi dello stile periegetico.
Sabato 3 settembre. Di prima mattina qualcuno fa il primo bagno. Poi si parte per Nauplion per vedere il locale museo archeologico, purtroppo chiuso. Dopo una breve passeggiata per le vie del borgo (quanto basta perché Franco adocchi il ristorante per la serata simposiale) si riparte per Tirinto. Si visitano gli scavi del Palazzo miceneo, le mura, le imponenti fortificazioni. Nella parte “nuova” della cittadella (quartieri settentrionali) sono in corso scavi e la visita non è possibile.
A pochi chilometri c’è una imponente tomba micenea, in mezzo ad un magnifico agrumeto. Si prosegue per la c.d. “diga micenea”, un’opera di idraulica costruita per difendere Tirinto dalle inondazione del torrente locale. È l’occasione per la prima mangiata di fichi, colti da un fico cresciuto proprio sull’argine miceneo. In fin dei conti un modo come un altro per incamerare il “genium loci”.
Si pranza sulla spiaggia di Karathona, giusto dietro Nauplion. Bel mare, acqua trasparente, un “estiatorio” praticamente vista mare. Piacevolissimo simposio con rituale siesta di Plinio et al.
Nel pomeriggio visita della fortezza Palamede, esempio di fortezza veneziana, che avrebbe dovuto essere praticamente inespugnabile, ma che i turchi riuscirono a prendere in poche settimane (ma quando ormai la Serenissima era agli sgoccioli). Dall’alto splendida vista su Nauplion, la prima capitale della Grecia moderna, la pianura dell’Argolide, le paludi verso Lerna, Argo lontana, il promontorio del Parnone. Il tempo si è fatto cangiante e disegna sprazzi di luce sull’ampia distesa del mare.
Sul far della sera partiamo alla ricerca della fonte di Era, dove la dea ogni anno si bagnava per riprendere la verginità perduta, ad alludere probabilmente ad un rito dei cicli della natura forse di origini antichissime, che si rinnovava ad ogni Primavera. Con un po’ di difficoltà, nei pressi del paesino di Aria, troviamo proprio la fonte, infossata, con sul frontale un pavone scolpito. Una vecchia gentile fa provvista di acqua. La dea dunque non deve essere lontana. Intorno alla sacra fonte c’è un edificio monastico (Haghia Moni) e una cappella ortodossa. Imbrunisce fra le litanie di un officio sacro in un chiostro che conserva una struggente bellezza. Nella chiesetta e tutt’intorno materiale di spoglio, senz’altro bizantino, ma forse anche precedente.
La sera si cena da Vassili, uno dei ristoranti più quotati di Nauplion. Non delude, né il ristorante, né il contesto, né la compagnia di un buon vinello della zona che Franco non ha mancato di scovare nella carta.
Domenica 4 settembre. È il giorno dedicato a Micene “… dalla bella corona”, che viene tutta passata in rassegna: la porta dei leoni, il circolo A e B, il palazzo con il megaron, le mura. Clitennestra, che giustamente si sente a casa sua, porta Carmen, che viene da un paese lontano, a fare il giro delle mura. Con Franco scendiamo fino all’atro fondo della fonte del lato nord. Ci fanno compagnia delle francesi molto gentili. È poi la volta della tomba di Egisto e del museo, poi della tomba di Menelao e di Clitennestra, infine del sepolcro di Atreo. Apparentemente non ci perdiamo nulla, ma tutt’intorno veniamo a sapere di importanti vestigia della civiltà micenea, che non abbiamo il tempo di visitare.
Alberto deve partire e lo accompagniamo alla corriera. Dopo un’ipotesi di pranzo in un estiatorio che sembra una porcilaia si decide di mangiare un gelato e poi di corsa a Nemea. È Domenica e i siti archeologici sono chiusi. Come molte altre volte è successo saltiamo le recinzioni e vediamo quello che si può. Riccardo coglie l’occasione per fare una corsa nello stadio, la sede dei famosissimi giochi nemei. Non riporta nessun trofeo, e come aedo, trova solo me che scrivo queste misere note. Altri danno l’assalto al fico di turno.
Ritornando verso l’albergo ci fermiamo a visitare Asine, la sua acropoli, di cui restano, in un paesaggio veramente suggestivo, solo miseri lacerti. Si cena proprio lì in un ristorante sul mare, che guarda il golfo in cui probabilmente si radunò la flotta degli eroi che vennero a giurare fedeltà ad Agamennone, prima della partenza per Troia. Non si sta male, ma c’è un vento del nord (una Borea un po’ ingentilita) che fa sentire freddo e ci rimanda a letto prima del solito. Che però è sempre molto tardi. Almeno per chi scrive.
Lunedì 5 settembre. È il giorno di Epidauro. La prima sosta è ad un ponte miceneo che ha resistito all’insidia del tempo e ancora svolge con onore la sua funzione.
Poi si arriva al miracolo di Epidauro, al suo teatro dall’acustica perfetta. (Chi scrive pensa che non possiamo evitare, prima o poi, di assistere a qualche rappresentazione. Almeno a tutta la trilogia… e ad un opera comica ). Non c’è modo di visitare il tempio di Apollo, in cima alla prospiciente collina, ma è molto interessante la visita del museoe degli scavi dell’Asclepion, dove si assiste ad un restauro veramente radicale. Sembra che stiano ritirando su le mura del santuario ed è tutto un fervore di carpentieri, muratori, gru…
È una bella giornata, si è fatto anche caldo e ci dirigiamo al porto di Epidauro per un bagno e il pranzo. Entrambi si rivelano veramente piacevoli. Subito dopo, con una breve passeggiata, raggiungiamo il teatro di Palaios Epidauros, ai piedi della collina che dovrebbe avere in cima le vestigia del tempio di Apollo (si vede che da buon padre di Asclepio proprio non lo voleva perdere d’occhio).
Si riparte per Capo Costa… e perché no? per Hydra, Spetse e anche più in là… Riusciamo ad arrivare all’imbrunire dopo avere attraversato tutta la penisola dell’Argolide. Nella smania di andare di andare più in là, veniamo fermati dal mare … e dal prezzo del traghetto-taxi. Si ritorna indietro fermandosi agli scavi di Haleis, che riusciamo a leggere a malapena: scarse le guide, scarsi i cartelli, molta la stanchezza. Il ritorno, per tutta la penisola dell’Argolide, è travagliato. Si arriva tardi a Tholò, ma ci rinfranchiamo al Ristorante Panorama, gradevole e sul mare.
Martedì 6 settembre. Nonostante le ore piccole, molti si alzano presto per fare il bagno di fronte all’isola dove si dice che un tempo ci fosse una casa di piacere. Alcuni per fare un … “saluto al sole”.
La prima tappa è all’ Heraion di Argo. Qui i capi argivi si radunarono per il giuramento e l’elezione di Agamennnone come re dei re. Non ci sono più tracce della statua crisoelefantina della dea scolpita da Policleto il vecchio. La dea aveva in mano una melagrana ad indicare i molti riferimenti ctoni (o comunque a sapienze iniziatiche, il frutto veniva spesso scolpito sulle tombe degli iniziati delle sette orfico-pitagoriche). Si intravede il luogo della antica Prosymna, città micenea (in cima all’altura) su cui insiste l’Heraion. Legato a riti segreti sembra essere stato anche il fiume Eleutherios. E forse anche all’affrancamento degli schiavi. Fuori dai circuiti turistici, le rovine del tempio sono veramente suggestive. Parlando dell’ Heraion di Argo, Erodoto fa raccontare a Solone un fatto accaduto in tempi antichissimi al santuario di Argo:
“Cleobi e Bitoneerano di Stirpe Argiva e godevano di sufficienti mezzi di vivere e in più, di una vigoria fisica a tutta prova, poichè ambedue, allo stesso modo, erano stati vincitori di pubbliche gare e si racconta di essi anche questo episodio: celebrando gli Argivi la festa di Era, la loro madre, Sacerdotessa di Hera, doveva assolutamente farsi portare su un carro al tempio. Ma i buoi, che erano in campagna, non tornavano in tempo; allora i giovani, che non potevano più oltre attendere, si misero essi stessi sotto il giogo e tirarono il carro, sul quale veniva trasportata la loro madre e dopo averlo trainato per 45 stadi, giunsero al santuario. Compiuta che ebbero questa prodezza, ammirati da tutta la folla radunata, tocco’ a essi la miglior fine della vita; e nel loro caso la divinità fece chiaramente comprendere che è meglio per l’uomo esser morto, piuttosto che godere la vita. Gli Argivi, infatti, affollatisi intorno, complimentavano i due giovani per la loro forza, mentre le donne d’Argo si congratulavano con la loro madre perchè aveva dei figli siffatti. Tanto che essa, piena di gioia per la loro impresa e per le lodi che sentiva intorno, stando ritta davanti alla statua divina, prego’ la dea che ai suoi figli Cleobi e Bitone, che I’avevano grandemente onorata, concedesse cio’ che un uomo puo’ ottenere di meglio. In seguito a questa preghiera, terminato il sacrificio e il sacro banchetto, i due giovani, che s’erano addormentati nel santuario stesso, non si rialzarono più ma in questo modo morirono. Gli Argivi, fatte fare due statue a loro immagine, le consacrarono nel tempio di Delfi, come quelle di uomini che s’erano mostrati eccellenti.”
Si allude forse a sacrifici umani?
Ci eravamo persi il museo di Nemeae Riccardo (ma siamo tutti con lui!) sente che non lo possiamo mancare. E, infatti, vale proprio la pena, anche perché, oltre al Museo, ci sono gli interessantissimi scavi di quello che era uno dei templi più importanti della grecità.
Poi subito, di corsa, ad Argo a visitare il locale museo che inesorabilmente chiude alle due. Arriviamo appena in tempo. All’ingresso una peccanosissima scultura che immortala Leda con il suo cigno. Le riflessioni sull’eroticità della statua rivelano doti estetiche e scoptofile in molti. Vani i tentativi di rubare una foto (guardona!). I guardiani vogliono tenersi tutto per se. Si pranza sulla piazza di Argo. Poi molti dormono sulle panchine. Si riparte per la visita della Fortezza bizantina sopra Argo, con i suoi resti di mura megalitiche. La visita si trasforma in un piacevolissimo agone poetico, mosso dal vento … e dal vento dei ricordi. Stranamente si ritorna in albergo ad un’ora decente. Si cena ad un ristorante sul mare di Tholò facendoci sistemare i tavoli proprio sul bagnasciuga.
Mercoledì 7 settembre. La prima visita è alla c.d. “Casa delle tegole”, una delle prime testimonianze palaziali del continente greco, con struttura a corridoio.
Da qui ci dirigiamo alla Piramide di Cencre. Ci fermiamo poi in sosta ad un santuario ortodosso che insiste sui luoghi (una grotta ed un bosco sacro) dedicato a Pan. Che del resto fu incontrato da Filippide non proprio tanto lontano da qui, quando era di ritorno dalla famosa ambasceria a Sparta.
Ci dirigiamo dunque verso sud, lungo la costa orientale del Parnone. Pranziamo ad Astros Paralia, dopo un bagno tonificante. Poi ci dirigiamo al Monastero di Aghios Soter e da qui agli scavi della Villa di Erode Attico. Scavi ancora in corso, ma che, a dire dall’esterno, devono essere di grande interesse. Il posto poi è di grande bellezza.
Anche stavolta Riccardo vorrebbe proseguire verso sud (verso Cithera?) il folle volo, ma il gruppo impone il ritorno. A cena D’Amico ci porta in un ristorante veramente modesto che però è il più caro di tutto il viaggio (siamo nella palude di Mili).
Giovedì 8 settembre. Ci dirigiamo verso Trezene antica e con un po’ di difficoltà (ci aiuta un simpatico artigiano- artista- venditore – guida, una di quelle figure che si trovano solo in Grecia) riusciamo a visitare il santuario di Ippolito, quello di Afrodite Katascopia (con sovrastrutture cristiane). Da qui Fedra scrutava, pervasa di desiderio, Ippolito che si allenava nello stadio, che è lì, poco sotto, in avvallamento del terreno. Le riflessione sono tutte su Teseo, Ippolito e sopra tutto Fedra.
Il mito di Ippolito è dramma dell’ingiustizia divina. Molto caro all’iconografia tombale per la morte, ingiusta ed immatura del personaggio. Ippolito è figlio di Teseo. La matrigna Fedra se ne innamora. Non consentendo lui all’incesto, la donna lo mette in cattiva luce agli occhi del padre che prega Poseidone per la giusta punizione. Così, mentre Ippolito corre col suo carro lungo la spiaggia, il Dio compare sotto forma di Toro, spaventa il cavallo che travolge ed uccide il cavaliere. Anche Ippolito sarebbe stato restituito a vita dalle cure di Asclepio. Ma come non cogliere in Ippolito un parallelismo con il Mito di Atteone che ancor meglio sottolinea l’impossibilità per l’uomo di sottrarsi al richiamo delle passioni e delle leggi della natura.
Atteone è un giovane e bellissimo cacciatore che adora Artemide, ma non considera la dea dell’amore. Afrodite (ma anche Cibele…) se ne innamora, lo tenta fino a costringerlo nel bosco a Lei sacro. Ma Atteone si schernisce e si sottrae al richiamo amoroso. Allora la Dea gli scatena contro le forze della natura e Atteone finisce sbranato e dilaniato dai cinghiali.
Splendido poema di Shakespeare, che cito (ma non a memoria, purtroppo…):
da “Venere e Adone”
“… io sarò il tuo parco e tu sarai il mio cervo;
bruca ove vuoi, in parco o in collina,
mordimi i labbri, e fosse il colle secco,
scendi ove stanno le soavi fonti.
Qui dentro v’ è sollievo sufficiente,
dolci altipiani e grati fondi erbosi,
tondi, erti colli, macchie oscure e fitte
…
Sii dunque il cervo giacchè io sono il tuo parco”
Da richiamare per assonanza anche la biblica tentazione di Giuseppe.
Si prosegue poi per l’Acropoli di Trezene per arrivare in un luogo suggestivo su cui insisteva un santuario delle Muse (il posto non poteva essere più appropriato). Ci imbattiamo nel così detto “ponte del diavolo”: due enormi massi naturalmente giustapposti sotto cui scorre un fiume, limpido e ricco di acque. Più a valle una pozza naturale che diventa l’occasione per denudamenti ninfeschi (e interventi satireschi!).
Il solito sasso di Oreste (ma su quante pietre aveva deposto la sua follia? Quasi quanti i luoghi che in Toscana ricordano il contatto con le nobili terga di Dante!).
Cerchiamo infruttuosamente un posto per fare il bagno e mangiare. Delusi traghettiamo da Galata verso Poros. Qui troviamo l’uno e l’altro. Ma ormai la fame è passata e anche il mare si è increspato e tutto si riduce a poca cosa: un panino ed un tuffo.
Si riparte per il tempio di Poseidone, nell’altura più alta dell’isola. Il santuario era anche detto Kalaureios (del buon vento), sede di una importante ed antichissima anfizionia. Il luogo, pur nella modestia delle vestigia, è di grande suggestione. Rimandi a capo Tenaro e al mito dello scambio fra Apollo e Poseidone con Delfi.
Ci sistemiamo al Golden View Hotel, in un posto incantevole. Si cena su una terrazza sul mare. Una parte del gruppo tira a far le ore piccole al porto altri tornano in albergo.
Venerdì 9 settembre. Con alcune defezioni il gruppo si dirige in traghetto all’Isola di Egina per visitare il tempio di Afaia. Chi scrive non c’era, ma si consola raccontando il mito della ninfa cara a Zeus e dai posteri fatati. Per amare la ninfa Egina (Ovidio, “Metamorfosi”) Zeus si trasforma in una nube che avvolge tutta l’isola di Egina e così la nasconde (Afaia). Dall’ amore nascerà Eaco, padre di Peleo (uno degli Argonauti) e nonno, pertanto, di Achille. Eaco da “Aitos =aquila”.
La sera si cena (bene) in un ristorante sul porto di Poros. In compagnia delle ninfe periegetiche Riccardo ritorna sul colle di Poseidone e si dice lo abbia invocato con versi sciolti di sua produzione.
Sabato 10 settembre. Si parte da Poros alla volta di Atene. Si passa davanti a Egina e poi a Salamina. Si pensa a Euripide e alla grotta dove sarebbe nato. Poi si taglia lo stretto della celebre battaglia il 23 Settembre del 480. Secondo una leggenda la battaglia di Salamina accomuna le vite dei tre grandi poeti tragici greci:
Eschilo, poeta-soldato per eccellenza, vi prese parte (come a Maratona e a Platea);
Il giovane Sofocle partecipa, in qualità di corifeo, alle celebrazioni della vittoria;
Euripide nacque il giorno stesso della battaglia.
Si arriva al Pireo e poi all’Hotel Thysion. Nel pomeriggio visitiamo l’Acropoli. La sera siamo a cena al Platanos che fa parte della ritualità periegetica. Ma un’altra ritualità viene conservata: anche stavolta Riccardo percorre la via sacra verso Eleusi! Sembra abbia fatto ritorno nelle ore più cupe della notte.
Domenica 11 settembre. Alcuni periegeti partono di buon mattino. Chi resta si reca, purtroppo con il tempo contato, a vedere di nuovo il Museo archelogico. Pranzo di fronte all’acropoli. Poi dei simpatici tassisti ci portano all’aeroporto. Ci lasciamo a Roma con la promessa di una prossima periegesi a Creta. Più che Pausania questa volta è Omero che ci guida:
Creta (dalla trad di Ippolito Pindemonte, ed 1822)
Odissea XIX, 173 e seg.
… Bella e feconda sovra il negro mar
Giace una terra che s’appella Creta
Dalle salse onde d’ogni parte attinta
Gli abitanti v’abbondano, e novanta
Contiene cittadi, e la favella è mista
Poiché vi son gli achei, sonvi i nativi
Magnani cretesi ed i Cidoni
E i Dori in tre divisi e i buoni Pelasgi…