VII PERIEGESI – Diario Macedonia-Tracia-Tessaglia

28 Agosto-6 Settembre 2007

 

I luoghi: Macedonia e Tracia: Salonicco, Gerakini, Olinto, Verghina, Scuola di Aristotele, Pella, Penisola di Cassandra: Potidea, Tempio di Zeus Ammone, Tempio di Poseidone (a Posidi), Polygiros, Amphipolis, Fiume Strimone, Kavala, Filippi, Salonicco.

Tessaglia: Pidna, Leptokarya, Dion, Valle di Tempe,Ampelàkia, Stomio, Monte Olimpo, Larissa, Sesklo, Dimini, Pelio: Volos, Koropi, Miliès, Mylopotamos, Demetrias. Termopili, Atene.

Partecipanti: Alberto, Carmen, Cristina, Daniela, Franco, Giandomenico, Laura, Mesa, Moreno, Nicoletta G., Nicoletta O., Nora, Plinio, Primo, Riccardo, Sara, Teresa

Martedì 28 agosto. Ritrovo all’aeroporto di Salonicco di periegeti provenienti da Roma e di altri già giunti in Grecia e reduci della bella rappresentazione dell’Ifigenia in Aulide al teatro di Salonicco. Mancano all’appello Michele e Monica di cui sentiremo la mancanza. Quest’anno per fortuna disponiamo di due pulmini capienti e comodi, belli nuovi: uno bianco Renault e uno celestino Volkswagen. A Sara perdono subito la valigia, che doveva fare il transito Milano-Roma-Salonicco; lei stoicamente tira avanti senza troppi lamenti e la recupererà mercoledì sera.

Il viaggio verso Gerakini non è breve, e si perde anche la strada. Decidiamo comunque di avvantaggiarsi sul programma delle cose da vedere, visitando subito, prima di arrivare in albergo, il sito di Olinto (Ολυνθος). Della città vediamo una specie di acropoli e una parte piatta, regolarmente divisa in isolati quadrati, con case quadrate, geometricamente pianificata. Nell’area visitabile c’è anche un bel prato verde con sedie comode all’ombra, dove volentieri ci fermiamo per bere qualcosa al piccolo bar. La regione si caratterizza per un caldo umido piuttosto soffocante; bisogna dimenticare il bel clima caldo-secco di Creta. Quando finalmente raggiungiamo l’albergo – Gerakini Beach, sul lido in mezzo alle due penisole, la Cassandra e la Sithonia -, l’aria è afosa, non tira vento e il mare è bello, ma immobile. Ci sistemano in una serie di bungalow sulla spiaggia, tra grossi olivi e pini, su un prato verdissimo tenuto in vita da costanti e abbondanti annaffiature.

La taverna che riusciamo a localizzare la prima sera è semideserta e l’unico uomo in servizio si deve affannare a servire 16 persone (Alberto è rimasto in albergo digiuno per problemi suoi); comunque si riesce a mangiare e neanche tanto male. Sia in viaggio che a cena si parla molto di Orfeo (processo a Orfeo: chi è contro e chi lo difende?) e si legge la storia di Aristeo. Infine si va a letto stanchissimi dopo la giornata di viaggio, che per alcuni di noi era cominciata alle 4 di mattina.

Mercoledì 29 agosto. Tutti a Verghìna (Βεργίνα, antica capitale della Macedonia, che si chiamava originariamente Aigai ‘capre’) a vedere le tombe reali macedoni. Il museo è spettacolare, sistemato sotto un grande tumulo. Entrando, dopo tanta luce abbagliante all’esterno, inizialmente non riusciamo a vedere quasi nulla nel buio improvviso. Ma poi l’occhio si abitua: ci sono varie tombe monumentali a forma di tempietto, tra cui quella di Filippo II il Macedone, padre di Alessandro Magno. I reperti dei corredi funebri sono di qualità spettacolare, spiccano le corone d’oro a forma di ghirlanda, con foglie di mirto, o d’olivo, o di quercia posate su urne d’argento a forma di vaso, o su làrnakes (cassette) d’oro decorate con la stella simbolo del regno di Macedonia. L’armatura reale prevede una faretra d’oro, il grande scudo da parata, l’armatura di Filippo tutta rifilata in oro e con grossi “bottoni” ugualmente d’oro, l’elmo, gli schinieri e la lancia. Il letto di Filippo è decorato con raffinati bassorilievi. Impossibile descrivere tutte le meraviglie, tra cui spiccano le urne di membri femminili della famiglia reale, e quella del figlio di Alessandro ucciso bambino, Alessandro IV. Anche sua madre Roxane fece una misera fine, messa a morte da Cassandro nel 311 a.C.

Nel pomeriggio ci dirigiamo verso la nuova capitale Pella, dov’era nato Alessandro; prima mangiamo sotto una tettoia in una piccola locanda di nome Γεφύρα perché appunto si trova accanto al ponte che fa da diga sul fiume. Ma prima di raggiungere la città siamo attratti dal sito della scuola di Aristotele, presso una fonte con nympheion. Il luogo è magico: ci troviamo un immenso platano secolare che spande la chioma gigantesca su un ruscello di acque freschissime e limpide. Ci meravigliamo che Riccardo non sia subito corso ad abbracciare l’albero; alcuni si bagnano nell’acqua freschissima, quasi fredda. Le rocce sono tagliate verticalmente come in una latomia, con sotto scalini quadrati scavati nella roccia, e grotte e nicchie nella parete di pietra; qui andava a scuola Alessandro. Il luogo bello e fresco ci invita a sedersi, sotto un altro platano, ad ascoltare Nicoletta G. che legge le storie di Adone e brani di Shakespeare.

Dopo parecchi chilometri troviamo finalmente gli scavi di Pella; la città è molto grande, non riusciamo a vederla tutta, ma comunque possiamo ammirare i bellissimi mosaici (IV secolo a.C.), che a differenza di quelli romani non son fatti di tessere colorate, ma di sassolini bianchi, neri e grigi, e rappresentano scene mitiche come il ratto di Elena da parte di Teseo, finemente circondati da molti intrecci vegetali che fanno da cornici ornamentali. È un’arte figurativa matura e bella, da cui copieranno i romani.

È tardi, bisogna tornare a Gerakini subito dopo la visita al museo locale, piccolo ma bellissimo, dove sono esposte ancora altre corone d’oro fatte a forma di serto fronzuto, tesoretti di monete, mosaici con Dioniso sul ghepardo o con Alessandro a caccia di leoni, e statuette di Alessandro da giovane.

La sera ci dividiamo perché nel pulmino VW prevale il partito degli affamati al grido di “cena subito!” anche a costo di non lavarsi né cambiarsi. Gli altri, più puliti e ordinati, passano prima dall’albergo. Su indicazione di Alberto troviamo un ristorante greco, senza menù in cirillico né altre stupide incongruenze, e finalmente mangiamo bene, con pesce fresco e tzatziki.

Giovedì 30 agosto. Gita al mare sulla penisola di Cassandra. Si passa dall’istmo, che ora è tagliato da un canale di acqua di mare color turchese. A Potidea scarse vestigia, ma Primo rievoca i fatti storici da par suo. Ci fermiamo poi a fare un bagno su una spiaggetta presso i resti del tempio di Zeus Ammone. Nicoletta O. e Mesa prendono un ottimo caffè frappé e si buttano in mare; acqua calda e azzurra, su fondo di sabbia chiara. Si gira la bella penisola coperta di pini, fino alla località Posidi (Ποσειδι) dove c’è un tempio di Poseidone che scende proprio fino al mare. Le vestigia non sono eclatanti, ma ci sono fiori azzurri per terra ed è molto piacevole fare un bel bagno nella spiaggia vicina, dove sotto i platani si raccolgono i tavoli di una tavernetta simpatica. Il mare è limpido, leggermente increspato, piacevolissimo. Si mangia all’ombra dei platani, accarezzati dalla brezza di mare, confortati da zucchini fritti e altre robe buone; per terminare caffè e sigaretta. Una delle solite magiche soste della Grecia. Di là dalla strada c’è il negozietto dove comprare quadernini per appunti di viaggio. La foschia del caldo offusca l’orizzonte, non si vede l’Olimpo che dovrebbe essere proprio di fronte.

Nel pomeriggio si fa una puntata in collina, a nord del nostro albergo, alla cittadina di Polygyros. Aria più fresca e frizzante, però il museo archeologico del luogo, che ci era stato consigliato, a quest’ora è chiuso. Ripieghiamo su un bar su prato verde, all’ombra dei pini. Riccardo legge a voce alta un libro sui Greci e l’irrazionale, dove un capitolo è dedicato agli sciamani e allo sciamanesimo. In questa parte della Grecia settentrionale curano molto l’erba dei prati, tentando di fare dovunque pratini all’inglese, e in buona parte, a forza di annaffiare, ci riescono.

Venerdì 31 agosto. Giornata dedicata a un lungo e bel viaggio verso est, in gran parte su autostrada nuova, che funge da moderna Via Egnatia. Saliamo prima a Polygyros a visitare il museo archeologico, di mattina aperto. È piccolo ma bello e interessante; contiene molti materiali di Olinto, altre corone d’oro macedoni, iscrizioni e vasi. Si sale poi su, attraverso il paesino di Agios Pròdromos, e si percorre una regione verde e alberata. Entrando in Tracia il paesaggio si fa più disabitato e selvaggio; per fortuna nessuna costruzione, le colline sono naturali e boscose, il mare luccica subito sotto, tutto azzurro.

In vista di Amphipolis si traversa il fiume Strimone o Struma (Στρυμών) su un lungo ponte. Il nome, secondo l’etimologia, dovrebbe significare ‘corrente’, infatti pare sia pieno di gorghi e vortici pericolosi. Primo aveva per fortuna riassunto, per noi laici, tutto l’episodio della presa di Anfipoli narrato da Tucidide all’inizio della Guerra del Peloponneso; lui se la ricorda molto bene, beato lui. Dopo un improrogabile caffè (Alberto però non riesce a farsi portare la sua famosa acqua calda: μόνο??), visitiamo il museino locale pieno di planimetrie della città e spiegazioni. Il sito archeologico in sé non è eclatante, ma è anche colpa nostra che non lo vediamo tutto per bene per paura dei serpenti. La città è in posizione strategica su un’altura piatta che domina la valle dello Strimone e da cui si vede bene il mare. Una bella ragazza ci fa da guida e ci dissuade dal salire sul monte Pangeo, con vero dolore di Riccardo. La prossima volta bisognerà tornare con una jeep 4 x 4. Una foschia costante ci impedisce di vedere bene le cime dei monti e anche le isole, come Taso che dovrebbe essere molto vicina. Dice Daniela che già gli autori antichi consideravano le città di Tracia malsane perché avvolte in una caligine umida e afosa. Certo in confronto ai cieli della restante Grecia sarà così, per noi comunque i cieli di qui sono più che normali. Per loro anche il Mar Nero e l’alto Adriatico erano disgustosi; le foci del Po poi erano addirittura l’entrata del regno dei morti.

La strada per Kavàla-Filippi corre lungo il mare, con bellissimo panorama. Molte viti di uva sultanina lungo il percorso. Perdiamo il Pangeo ma guadagniamo Filippi che si rivela una città bella e interessantissima. Dall’alto della moderna Egnatia si vede il bel porticciolo di Kavàla, da cui partono i traghetti per Taso, che però non si vede, come non si vede il monte Athos, che coi suoi 2.000 metri dovrebbe essere stato in vista già molto prima. Ma la foschia da calura avvolge tutto. Filippi è una grande città romana, con imponenti monumenti, un magnifico teatro ben conservato addossato alla collina rocciosa. L’acustica è ottima, e dal centro dell’orchestra Riccardo e Sara leggono a voce alta un dialogo di Pavese. Il teatro è ancora usato per rappresentazioni classiche, messe in scena dal teatro nazionale greco (Εθνικο θεατρο). Entriamo poi nella città dove ancora si ergono in elevato colonne e capitelli, soprattutto quelle delle belle basiliche bizantine; una grande, del VI secolo d.C., ha colonne di pietra verde e bianchi capitelli “ravennati” finemente lavorati a racemi e trafori. Il fòro, poi l’ottagono coi suoi mosaici e le sue absidi, e – last but not least – la Via Egnatia, che qui corre parallela esattamente accanto alla strada moderna, solo due metri più in basso. È lastricata con grandi pietre levigate dal traffico antico, che ci fanno sentire il continuo passaggio di legioni e di mercanti, di carri e mercanzie che puntavano verso Costantinopoli; l’arteria provenendo da Apollonia sullo Ionio (odierna Albania) praticamente univa Roma a Bisanzio, le due capitali. Qui a Filippi, a parte il ricordo shakespeariano di Bruto e Ottaviano, si sente di essere in uno dei centri di quell’impero che ha diffuso una civiltà omogenea su tutte le rive del Mediterraneo. Anzi qui è quasi nato l’impero, quando Ottaviano vinse nel 42 a.C. Anche se Riccardo preferisce il fascino delle città greche e sogna di Orfeo sulla montagna, ogni tanto visitare anche una grande, monumentale città romana fa piacere.

Siamo vicini a Costantinopoli, e si sente l’eco della storia bizantina e cristiana. Qui fu compiuto il primo battesimo avvenuto sul suolo del continente europeo; qui infatti San Paolo in persona battezzò una certa Lidia, mercantessa di Filippi. San Paolo fu qui imprigionato dai magistrati della città perché provocava disordini e tafferugli, ma un miracoloso terremoto lo liberò dai ceppi. Come al solito la tradizione della lingua e civiltà greca si mostra ancora una volta nella sua colossale, schiacciante importanza, stratificata dal neolitico al miceneo, all’età classica di Platone e Tucidide, a quella macedone ed ellenistica di Aristotele e Alessandro, fino all’inclusione nel dominio occidentale di Roma, per terminare col testo greco del Vangelo. Terminare non è esatto perché poi ci saranno Giustiniano e Procopio di Cesarea, i Paleologhi e San Cirillo e Metodio. Da qui (proprio qui: sono di Salonicco i due fratelli evangelizzatori) si diffonderà la cultura cristiana ortodossa ai popoli slavi e alle chiese metropolite di Serbia e di Moscovia.

Siamo di nuovo divisi per cena: il partito degli affamati si ferma a Agios Prodromos a mangiare cose di montagna dove prevale la carne e manca del tutto il pesce.

Sabato 1 settembre. Salonicco. Lasciamo i nostri fedeli mezzi a quattro ruote in aeroporto e prendiamo il bus n° 78 per la città. Salonicco è grande, ordinata e pulita, bella e piuttosto ricca, ben servita da bus e un’infinità di taxi. Qui alcuni di noi si sono goduti a teatro l’Ifigenia, e i cartelloni ora reclamizzano l’Aidadi Verdi e i balletti del teatro Kirov di Leningrado. Avvistiamo la Torre Bianca sul porto, e visitiamo due musei uno più bello dell’altro: quello archeologico e quello bizantino. Il primo è stracolmo di roba stupefacente; quello bizantino è nuovo e molto ben messo, ma non ci sono tutti quei gioielli e orecchini in mostra al Museo Bizantino di Atene. Ci rifocilliamo in eleganti caffè e pasticcerie sul lungomare e proseguiamo per la Rotonda e l’arco di Galerio. Lì vicino c’è anche la chiesetta bizantina di S. Panteleimon. Ci tocca poi fare una gran corsa per arrivare alla fermata dell’autobus sul lungomare (ahi non aver dato subito retta a Giando!), mentre comincia un forte temporale. Fulmini all’orizzonte in mare, tuoni e lampi dietro la statua equestre di Alessandro, che si staglia bronzea contro il cielo tempestoso del porto (quella di suo padre Filippo invece è a piedi, armato, su un’aiola dei giardini). Un rovescio d’acqua, ma il bus 78 arriva e ci porta via. Riprendiamo i pulmini e giriamo per la tangenziale verso sud-ovest e la Tessaglia; il cielo torna sereno. Cerchiamo inutilmente Pidna: vediamo i luoghi, ma non c’è niente di visitabile. Primo comunque rievoca con grande efficacia la battaglia e la durezza della conquista romana (146 a.C.). Arriviamo infine a Leptokarya, hotel Olympian Bay.

Domenica 2 settembre. Dalla nostra spiaggia “olimpica” effettivamente si vede diritto dietro a noi il grande monte, bello tronco-conico, verde e molto alto, vicino al mare più meno come sono le Apuane al Forte dei Marmi. La mattinata è dedicata alla gita a Dion, il santuario di Zeus ai piedi dell’Olimpo, dove Alessandro andò a sacrificare prima di partire per la conquista della Persia. È bellissima, adagiata in pianura, tra il verde e i boschi. Molti begli alberi ombreggiano i vari siti archeologici; il tempio di Iside è nell’acqua, il teatro e la cittadina si dipanano in un lento e tranquillo percorso. Al museoconservano pezzi rari di grande interesse, tra cui le statue dei figli di Asclepio. Mangiamo tranquilli in questa campagna, alla taverna Artemide.

Il pomeriggio ci porta verso sud, nella valle di Tempe, stretta tra l’Olimpo e il monte Ossa. Qui scorre il bellissimo fiume Peneo, padre di Dafne. Ma di allori non c’è traccia, ci sono invece magnifici enormi platani secolari sulle rive del fiume, che scorre rapido e verde, pieno di acque. Eppure è qui che Dafne si radicò per terra, trasformandosi in alloro. La piccola valle è incantata; per sbaglio saliamo su fino ad Ampelàkia, ma è un felice errore che ci fa scoprire nuovi luoghi e più ampi panorami. Tornando al mare ci fermiamo a Stomio sulla spiaggia. Ritornati in albergo, studiamo il tempo atmosferico e guardiamo le previsioni in TV: chi vuole salire domattina a piedi sull’Olimpo?

Lunedì 3 settembre. Nella nottata tra domenica e lunedì un temporale violento ha imperversato sull’Olimpo, come previsto dalla meteo greca. Tuoni e fulmini arrossano la montagna, che effettivamente merita la sua fama. Essendo un’alta cima isolata, attrae le nubi che qui s’impigliano, e i temporali sembra che si sprigionino proprio di lì. Ecco come nascono i miti e le leggende, e la faccenda di Zeus “adunatore di nembi”. Stavamo pensando di rinunciare all’ascensus ad Olympum, ma la mattina si annuncia col sole, e le tracce dell’acquazzone stanno già tutte asciugando.

Sette partono per l’impresa infilandosi gli scarponi, Nicoletta O., Primo, Cristina, Riccardo, Teresa, Alberto, e si aggrega anche Laura coi mocassini ai piedi. Percorso veloce di avvicinamento in macchina, poi posteggiamo dove finisce la strada e inizia il sentiero (quota 1.100). La lunga salita tra i boschi di pini, ginepri e i cespugli di bosso dura 3 ore e mezzo circa (per Cristina meno, che arriva per prima). Al rifugio “A” siamo a 2.100 m. sul livello del mare, una bella pettata. Non esistendo seggiovie, ci sono dei muli che vanno su e giù per il rifugio, e uno spiazzo per l’elicottero. Per arrivare in cima bisognerebbe avere a disposizione due giorni e dormire una notte al rifugio, perché di lì manca ancora un dislivello di almeno 800 m. da salire (e ridiscendere). In alto le nebbie si sono infittite, non riusciamo a vedere molto panorama, tranne tra le folate l’altipiano delle Muse. La montagna è bellissima, ma del tutto diversa dalle nostre Alpi, perché a questa latitudine ci sono ancora boschi a 2000 m., mentre da noi a quest’altezza cessano definitivamente gli alberi, ci sono gli ultimissimi larici, e poi c’è solo il pascolo e i nudi sassi.

Ritorniamo giù in poco più di due ore, stanchissimi e distrutti. Dolori ai muscoli ancora per i prossimi due giorni. Al bar ci beviamo aranciate e ci stendiamo sulle panche. Sul nostro pulmino del ritorno ci facciamo risate pazze con Alberto che ci fa divertire. Arrivati all’Olympian Bay ci buttiamo diritti in mare, e tra le onde guardiamo il monte davanti a noi, col sole che sta calando proprio dietro le sue creste rocciose. Speriamo che le onde dell’Egeo massaggino a dovere i muscoli sforzati e i polpacci doloranti; gran ristoro dell’acqua di mare.

Martedì 4 settembre. Lasciamo Leptokarya andando verso Larissa. In questa città alcuni si dirigono verso il teatro greco; altri (Plinio e Carmen, le due Nicolette, Sara, Nora, Mesa e Giando) vanno a sedersi a un bel caffè nella zona pedonale in centro. Beviamo e leggiamo i giornali italiani. Il bar si segnala per l’arredamento insolito e divertente delle toilettes. Siamo in mezzo alla Tessaglia; è un gran caldo, ma cerchiamo comunque l’antica Fere, e ne troviamo finalmente l’acropoli accanto a una chiesa ortodossa dedicata alla dormitio Virginis,con annesso cimitero. Tra le tombe una signora dondola un incensiere; molti degli inumati si chiamano Athanasios, nome che contraddice la realtà del loro essere in braccio alla morte. Pochi resti delle mura della città di Admeto. Partiamo alla volta di Sesklò; il villaggio neolitico è accanto a quello moderno, villaggio agricolo tra vigne e frutteti, in questo periodo dedito alla raccolta delle mandorle. Non ci sono ristoranti, ma alfine si trova una locanda disposta a darci qualcosa da mangiare: insalate, pastitso, patate, acciughe fritte, tzatziki, e alla fine si mangia anche troppo, con finale di uva (stafili) e caffè (Nescafé caldo a bidoni). Alberto chiama “servitore” il cameriere, e lui chiama Alberto “Salvatore”. A fine pasto Nicoletta G. ci legge un suo poetico articolo sulla fortuna del mito di Dafne.

Si visita il villaggio neolitico del VII millennio a.C. sotto un solo cocente. Nicoletta O. recita una poesia estemporanea, con metrica da Corriere dei Piccoli. Siamo sul più antico insediamento agricolo del continente europeo. Il biglietto vale anche per il sito di Dimini, più grande e con vestigia anche di età micenea. Infatti subito s’incontra una tomba a tholos sulla strada, e poi un vasto insediamento miceneo, che purtroppo è chiuso ai visitatori per scavi in corso (se ci fosse stato un archeologo con noi forse ci avrebbero fatto entrare). Pare sia da identificare con l’antica Iolko (XIII sec. a.C.), la città di Pelia e degli Argonauti. Qui una grande tomba a tholos s’insinua sotto l’altura, direttamente accanto all’abitato neolitico, con un bel dromose gigantesche lastre di pietra per architrave all’entrata: pare un piccolo Tesoro d’Atreo (ma scoperchiato) e fa una certa impressione. Era la tomba di qualche re di Iolko (di Pelia?). Il mare all’epoca non era molto lontano, e anche oggi si vede bene da qui la vicina Volos col suo bel golfo.

Arriviamo nella graziosa cittadina di Volos sul lungomare, ma il museo archeologico è già chiuso. Ammirando la riva e le onde, decidiamo di andare a fare il bagno direttamente a destinazione: hotel Saily Beach, località Koropì (Κορωπή) sulla sponda interna (ovest) della penisola del Pelio. Tranquillo alberghetto con balconi di legno, vicino alla spiaggia: il giardino è comodo per le belle pergole coi grappoli penzolanti e la piscina blu; ci sono anche nespoli, platani, limoni, viti, rose, melograni, fichi, gerani, ibiscus, gardenie, rampicanti, corbezzoli, un tiglio, fiori e cespugli di ogni genere. Facciamo finalmente il bagno in un bel mare calmo, di fronte al sole che tramonta nell’acqua del golfo. Davanti a noi i monti dell’Eubea.

Mercoledì 5 settembre. Giornata di godimento e esplorazione del Pelio, nella regione di Magnesia, dove stava Chirone (dov’è il centauro?). Partiamo dopo una tranquilla colazione sotto il pergolato. Ma prima passiamo da Volos a vedere il bellissimo museo archeologico, dove sono esposti i sorprendenti materiali neolitici provenienti da Dimini e Sesklò (notevoli le donnine dolcemente panciute di terracotta, e vasetti rotondi a globo). Poi ci sono i reperti micenei (tutti pensano a Giasone e agli argonauti, a Pelia e Nestore), e corredi funerari delle Dark Ages, che non sono però tanto buie (l’Eubea è vicina). Ci sono anche oggetti di bronzo di tipo danubiano arrivati fin qui. E molte cose di età classica e post-classica, legate all’espansione del regno macedone; molte steli di tipo macedone col nastro dipinto, molti materiali ellenistici provenienti dalla vicina Demetrias. Cristina ha tradotto per noi due epitaffi:

Se mai tu Radamante o tu Minosse/ avete giudicato virtuosa un’altra donna,/ allora tale giudicate/ anche la figlia di Aristomaco./ Conducetela alle isole dei Beati/ poiché era devota e giusta./ Tylisos, città di Creta,/ l’aveva cresciuta /e la sua terra ora la cinge./ Il tuo destino, o Archidiche,/ ti ha annoverato tra gli immortali.

Le Parche recisero/ il doloroso filo/ per Hediste tessuto,/ quando ella,/ fresca di nozze, /affrontò le pene del parto./ Misera, poiché non poté /abbracciare il suo piccolo/ né inumidirgli le labbra col suo seno./ Appena quello vide la luce del sole,/ la Sorte si abbatté su entrambi/ e trascinò madre e figlio all’Ade.

 

Il museo è stranamente privo di vetrine protettive, si potrebbero toccare, rubare o danneggiare inavvertitamente gli oggetti esposti, come i bei boccaletti sferici del neolitico.

Si sale per una strada bellissima fino in alto sul Pelio boscoso; tutti citano i versi del Monti: Quando Giason dal Pelio / mise nel mar gli abeti/ e primo [Primo?] corse a fendere/ co’ remi il seno a Teti:/ su l’alta poppa intrepido/ col fior del sangue acheo/ vide la Grecia ascendere/ il giovinetto Orfeo [Orfeo!].

E infatti Teti frequentava queste rive, tanto che sposò Peleo. Le pendici del lato interno della penisola degradano in dolci colline piene di oliveti e cipressi che sembra di essere in Toscana. L’altro versante invece è ripido, roccioso e coperto di castagni. Non ci sono abeti, e del resto la nave Argo era fatta col legno delle querce sacre di Dodona. In alto ci fermiamo nella cittadina di Miliès, con chiesa fittamente affrescata e piena di icone, biblioteca salvata dai turchi e splendido panorama. Mille curve che i due pulmini affrontano impavidi, guidati da Primo e da Alberto. La vista del mare aperto dall’alto è stupenda. Lungo la costa orientale della penisola era passata la flotta persiana nella sua rotta verso l’Eubea e l’Artemisio, e proprio sotto il Pelio la colse una tempesta che fece naufragare diverse navi disperdendo i loro tesori. Scendiamo giù per le ripide curve fino all’incantevole spiaggia di Mylopotamos (comune di Tzangarada. L’acqua è cristallina, color turchese, e uno scoglio quadrato sta davanti alla spiaggia; una seconda spiaggetta è collegata alla prima attraverso un arco naturale di roccia. Sulla riva dolcemente battuta da piccole onde sono sparsi tanti candidi sassolini di marmo. Teti è di casa. Riccardo non resiste alle tentazioni, si arrampica sullo scoglio insieme ai ragazzini più spericolati e si tuffa dall’alto tra le nostre urla di ammirazione e di paura. La Carmen Pliniana si gode visibilmente il mare e la spiaggia. Troviamo anche pizza, gelati e yogurt me melial piccolo bar tenuto da un certo Konstantinos.

Per non godere troppo torniamo via dopo le quattro e mezzo. Dall’alto delle giogaie del Pelio ammiriamo ancora una volta tutto il golfo di Volos scintillante di sole, identifichiamo i monti dell’Eubea e la punta della nostra penisola. Cena in albergo con orate arrosto.

Giovedì 6 settembre. Bisogna partire per Atene; ma prima di lasciare il nostro bel golfo ci fermiamo alla città ellenistica di Demetrias, con teatro e acquedotto romani. È situata sul promontorio di dove era partita la nave Argo, infatti sulla punta c’era l’insediamento preistorico e accanto la piccola rada riparata dai venti, che doveva servire come porto di Iolko e dell’antica Pagasai. Esattamente da qui erano partiti gli Argonauti e siamo contenti di avere trovato il luogo preciso; ora stanno anche ricostruendo una moderna replica della nave, che verrà varata con un equipaggio di rematori richiamati da tutto il mondo, per provare a ripercorrere la rotta di viaggio verso il Bosforo e la Colchide.

Corriamo a prendere l’autostrada perché Sara deve partire per Milano nel primo pomeriggio. Il paesaggio è sempre bellissimo, ci accompagna la vista del mare blu che scorre eterno e davanti ai nostri occhi si dispiegano i monti e le coste dell’Eubea. Passata Microthive si punta su Lamia, sul fiume Spercheo. Là nell’interno c’è Ftia, un villaggio vicino si chiama Achillea. Poi una cortina di monti apparentemente impenetrabili ci chiude il passaggio verso sud, e infatti siamo alle Termopili. Ci guarda il moderno monumento a Leonida. Qualcuno sale alla collinetta col cippo. Affamati e assetati ci fermiamo al primo bar sulla strada, che si rivela repellente; ma almeno prendiamo un caffè caldo, un pacco di crakers al formaggio e un gelato confezionato. A stomaco pieno, sentendoci meglio, partiamo a razzo per Atene. Attraverso la Beozia vediamo le tipiche colline sassose della Grecia, il lago Copaide, non saremmo lontani da Gla ma non ci si può pensare, e si passa infine in vista di Tebe. Non è più afoso come al nord, la giornata è tersa, piena di quella luce che caratterizza il cielo della Grecia. Gran traffico all’entrata di Atene, poi imbocchiamo la via giusta per l’aerodromio.

E siamo al dunque! Bisogna salutare gli amici che restano qui ancora per qualche giorno: Primo e Laura, Riccardo e Nora, Plinio e Carmen, Franco, Alberto e Nicoletta G. Riccardo partirà da Atene per la solita “pompè” verso Eleusi. Invece il gruppo che va a Roma (Nicoletta O., Teresa, Cristina, Giandomenico, Moreno, Mesa, Daniela) si accinge al viaggio vagando per i negozi e i ristoranti dell’aeroporto. Al prossimo incontro! Alla prossima Periegesi!