VIII PERIEGESI – Diario Samotracia-Limnos-Lesbo e Turchia (Troade)

27 Agosto – 7 Settembre 2008

I luoghi: Alexandrupoli, Samotracia: Santuario dei grandi dei, spiaggia di Kipos, cascatelle del Phonias.

Limnos: Myrina, tempio di Artemide, Efestia, santuario dei Cabiri, grotta di Filottete, spiaggia di Ormos Keros, Poliochni.

Lesbo: Mitilene

Turchia (Troade): Ayvalik, Assos, tempio di Apollo Sminteo, Behramkale, Çanakkale, Troia, Besikas, Pergamo.

Lesbo: Mitilene, Mesa, Eresso, Skala Eressou.

Atene

Partecipanti: Alberto, Carmen, Cristina, Franco, Laura, Mesa, Nicoletta O., Nora, Plinio, Primo, Riccardo, Teresa

Mercoledì 27 agosto. Il volo da Atene ci porta ad Alexandrùpoli in Tracia (Αλεξανδρούπολη) dove arriviamo nel pomeriggio. Andiamo all’hotel Erika sul lungomare, e la sera a cena sul porto a mangiare pesce. Alexandrùpoli è una cittadina dell’Egeo settentrionale, vicina alla Turchia, che non viene nemmeno nominata nella guida del Touring! E’ tipico delle nostre periegesi finire in posti lontani dalle rotte battute, in luoghi di provincia dimenticati. Una carta geografica esposta in albergo mostra quanto siamo vicini al confine con la Turchia europea, che secondo i greci sarebbe la provincia di «Tracia orientale» (Ανατολική Θράκη). Il confine segue il corso dell’Ebro, che come dice il poeta è «il più bello dei fiumi».[1]Questa stessa costa tracia era la terra dei Ciconi, dove a Ismaro aveva fatto tappa Ulisse appena ripartito da Troia. Siamo alloggiati davanti al porto, domani partiamo per Samotracia di cui si vede bene il profilo all’orizzonte, e che abbiamo da poco sorvolato con l’aereo.

Giovedì 28 agosto. Il traghetto della mattina per samotracia non c’è più, contrariamente a quanto originariamente previsto; bisogna prendere quello delle 16.00. Perciò al mattino visitiamo il museo etnologico della città, in un grazioso piccolo edificio, e poi tutti a prendere il caffè sul lungomare, comodamente seduti sotto alberi e tettoie ombrose. Dopo una lunga chiacchierata in relax, in cui si parla di temi mitologici e psichiatrici, decidiamo di pranzare al vicino ristorante Mylos (‘mulino’) che dà sulla spiaggia. Purtroppo però non ci daranno né dessert né caffè. A tavola ci raggiunge un amico di Riccardo, tale Manfredi di Venezia, anche lui del gruppo di solidarietà col Tibet; lo accompagna un amico viennese. Si siedono con noi e discutono molto amabilmente con tutti; Nora offre loro il pranzo dalla cassa comune, a nome di tutti noi.

Dalla nave, in avvicinamento a Samotracia, l’isola appare simile a Capraia, solo più grande e bella: è costituita da un unico costone di monti piuttosto alti (la cima raggiunge i 1.600 m.). Il versante nord è tutto verde di boschi fin sulla riva. Per tutta la navigazione si è continuato a vedere in lontananza a sinistra, all’orizzonte, l’ombra della costa turca. Al porto di Kamariotissa affittiamo due piccole Micra gemelle rosso fuoco e andiamo diritti all’hotel Kastro; l’albergo si rivela subito molto bellino, sovrastante il mare, con bei salotti e meravigliosa piscina (che purtroppo non facciamo in tempo a usare: bisognerà tornarci!). Il vento di nord che ci ha accompagnato finora è ancora molto forte. Cena di fortuna nella vicina taverna, dopo esser passati per il vecchio paese di Samothraki in alto.

Venerdì 29 agosto. La mattina nella bellissima Samotracia andiamo a visitare la città antica (Paleòpoli / Παλαιόπολη) e il santuario dei grandi dèi, dove Filippo il Macedone incontrò Olimpiade, giunta nell’isola dal nativo Epiro per partecipare ai misteri, e decise di sposarla. Il luogo è incantevole, tutto adagiato sulle pendici boscose del monte Fengari (Φεγγάρι). Questo versante nord dell’isola è tutto verde di boschi: querce da sughero, lecci, olivi e oleandri qua e là. Le rovine del santuario sono imponenti e molto estese; dopo la rotonda appaiono le colonne doriche del tempio, di marmo bianco, accarezzate dal primo sole. Sullo sfondo la montagna e davanti il mare. Vediamo anche il sito esatto dove stava la famosa Nike che ora è al Louvre. Una sua copia si trova nel museino locale. Bella, silenziosa e solitaria, Samotracia da questa parte ricorda vagamente la Corsica coi suoi monti e la sua vegetazione verdeggiante. Le giriamo intorno, sull’unica strada che corre lungo costa, ma che s’interrompe a sud-est a Kipos (Κήπος). Percorriamo tutto il litorale nord per andare alla spiaggia di Kipos, dove la strada finisce contro le rocce della costa sud. La spiaggia è bellissima e deserta; l’acqua del mare meravigliosa e calda. Di fronte a noi si vede all’orizzonte la lunga groppa dell’isola di Imbro. Dopo le belle nuotate andiamo a fare uno spuntino sotto la tettoia di una baracca, seduti alla brezza di mare.

Nel pomeriggio non rinunciamo a vedere le famose acque con cascatelle del Phonias che scendono dai picchi del monte; si tratta di una passeggiata di mezz’ora nella natura incontaminata, risalendo il torrente lungo un sentiero che corre tutto all’ombra di enormi platani, che crescono tra i sassi sulle correnti d’acqua fresche e limpide. Sono più grandi di quelli della valle di Tempe. Infine arriviamo al laghetto chiuso tra le rocce a picco, formato da una bella cascata che precipita dall’alto. Cristina e Laura con Primo, Alberto e Riccardo si tuffano nella sua acqua freddina e vivificante. Nora, Teresa e Nicoletta restano ad ammirare. Ma bisogna tornare per raggiungere gli altri in albergo, e andare subito al porto per le operazioni di riconsegna delle auto e imbarco sul traghetto delle 19.00 per Lemno (Limnos / Λήμνος). L’arrivo sulla seconda isola avviene verso le 21.30, ormai è buio. Entrando nel porto di Myrina a Lemno ci colpisce la vista mozzafiato dello straordinario muro medievale, tutto illuminato contro il cielo notturno, che s’inerpica sulle rocce del monte sovrastante l’abitato, seguendone i movimenti come una cresta di pietra, imitando le rupi e adattandosi al loro pendio scosceso.

Scendiamo infine all’albergo Sevdali in una stradina interna del paese di Myrina. Sventato il pericolo di dover ripartire la mattina alle 5 (capricci dei traghetti!) ci addormentiamo dopo discussioni logistiche. Abbiamo infine deciso di restare sull’isola un giorno.

Sabato 30 agosto. Ci possiamo dunque alzare con calma, e facciamo colazione al caffè nella vicina piazzetta, perché in albergo non ci danno nulla. Noleggiamo tre macchine (di cui una Polo); l’uomo che ce le pulisce prima della consegna esclama continuamente sotto il sole «Panaghìa, Παναγία! Madonna mia!» Visitiamo prima di tutto il museo archeologico locale, sistemato nella ex palazzina del pascià turco. Vediamo belle sirene arcaiche di terracotta, e molti materiali dell’età preistorica e protostorica (età del bronzo), micenea e sub-micenea. La famosa stele di Lemno, scritta in etrusco, non è qui. Gli etruschi venivano di qui, come qualcuno crede, o avevano messo qui un loro avamposto commerciale

Con difficoltà raggiungiamo il tempio di Artemide, appena fuori dell’abitato di Myrina. Restano solo dei lacerti inglobati in un villaggio turistico, verso il mare anche una corona di villette a schiera! In questo luogo, secondo il mito sarebbe avvenuta la strage degli uomini da parte di Ipsipile e delle donne di Lesbo. Concordiamo che albergo e costruzioni annesse sono un vero e proprio sacrilegio.

Partiamo infine verso nord-est dell’isola per visitare gli scavi di Efestia, riportati alla luce dagli italiani. In un paesaggio brullo e assolato c’è un bel teatro ellenistico su un’altura in riva al mare. Poi passiamo al vicino santuario dei Cabiri, disposto su un promontorio sassoso color ruggine che contrasta col mare di un blu intenso. Accanto alla casina della custode si staglia contro l’azzurro un grande fico verde, rotondo e folto. Scendiamo per la scalinata fino al mare, dove si apre un antro stretto e profondo tra le rocce della scogliera; è la grotta di Filottete, dove entra l’acqua smeraldina e limpidissima dell’Egeo. Riccardo ovviamente ci si tuffa all’istante, seguito da Nicoletta. L’acqua fresca e bella è un toccasana per chi è accaldato.

Tornati su ci rendiamo conto che sono già le 15.00 e ci precipitiamo ancora digiuni alla spiaggia di Ormos Kéros sulla costa est dell’isola, abbastanza rinomata e frequentata. Raggiungiamo così questo posto paradisiaco, dove ci rifocilliamo e ci sistemiamo in riva al mare; l’acqua è calda e azzurra, il fondo limpido e senza sassi: una sabbia fine e chiara che non intorbida l’acqua cristallina. Si fa un bagno bellissimo con Cristina, Riccardo, Mesa, Teresa, Primo, Laura, Nora e Alberto. Sulla via del ritorno cerchiamo il sito archeologico di Poliochni (Πολιόχνη) dove c’è un insediamento che risale almeno al 1800 a.C, contemporaneo a Troia II. Ma alle 18.00 era già chiuso, e ci limitiamo a cogliere fichi girando intorno alla rete (illegalmente varcata solo da Primo e Laura); siamo praticamente in riva al mare, sul luogo di attracco per l’antico abitato. Lemno era una retrovia per la costa anatolica, uno scalo di traffici.

La cena sul porto di Myrina questa volta è ottima: io, Plinio, Carmen e Mesa ordiniamo un’enorme orata alla griglia, che si rivela freschissima e squisita.

Domenica 31 agosto. Si parte col traghetto delle 10 dal porto di Myrina, lasciando Lemno su una grossa nave fornita di cabine e tanti ponti; viene da Salonicco e dopo aver toccato Lemno ferma a Lesbo, a Chio e fa ritorno su Atene. Il vento oggi è fortissimo, il mare infatti è increspato benché non mosso, spazzato dal vento di nord-est che soffia dalla vicina Anatolia, senza riuscire a sollevare grosse onde. Comunque gli spruzzi arrivano fino sul deck dell’8° ponte. Allontanandoci, è bello vedere l’isola dal mare, con i suoi scogli e promontori che piano piano rimpiccioliscono. Si entra poi nello stretto tra il continente asiatico e Lesbo, ed è emozionante la vista della costa alta della Turchia mentre passiamo proprio sotto il promontorio del tempio di Apollo Sminteo. Oggi lo spazio aereo è percorso dai jet militari turchi, ma un tempo queste terre erano tutt’uno. Saffo sapeva tutto delle storie e tradizioni della terra di fronte alla sua isola, dove si parlava lo stesso dialetto eolico. E’ anche la costa di Crisa e Cilla, percorsa dal sacerdote Crise dell’Iliadee prima ancora da Andromaca, che veniva da Tebe Ipoplacia.

Bellissimo l’arrivo a Mitilene (Lesbo) (Mytilini/ Mυτιλήνη), cittadina sorta accanto a un promontorio ora occupato da un grande castello merlato, dove svetta la bandiera ellenica; davanti al porto una moderna statua di Nike, grande e spavalda, guarda alla Turchia in atteggiamento di sfida. È già pomeriggio: sbarchiamo e saltiamo su un taxi, che ci porta dritto all’albergo Mytilana Village, sul bellissimo golfo di Geras. Tuffo in piscina e cena in albergo. Quelli che avevano provato a andare al museo archeologico di Mitilene, trovandolo chiuso ci hanno subito raggiunto in albergo a fare il bagno, chi in mare e chi in piscina.

La sera è dedicata alla lettura dei lirici. Si mangia nel giardino dell’albergo, sotto i pini in riva al mare; il golfo ormai scuro è punteggiato di luci sulla riva opposta. In questo posto incantato leggiamo a turno i versi di Saffo e Alceo, Semonide, Ipponatte, Alcmane, ecc. a voce alta, mentre come sottofondo c’è il suono mormorante della risacca. La cena è buona, servita da un alacre e simpatico cameriere soprannominato «Duracell».

Lunedì 1 settembre. Nella notte c’è stato un forte temporale e il giardino è tutto bagnato. Ci dobbiamo affrettare al porto per prendere il battello delle 9:00 per la Turchia, direzione Ayvalik. Il traghettino batte bandiera turca. La traversata di circa un’ora e mezzo è molto bella, su un mare battuto dal vento, tra le due sponde, quella greca e quella asiatica. Una volta sbarcati nello scenografico golfo di Ayvalik, le operazioni di controllo passaporti richiedono una lunga attesa. Prendiamo a nolo un pulmino Fiat e una macchina, e subito partiamo verso Assos (la moderna Behramkale) costeggiando tutto il golfo di Edremit. Trovato il nostro albergo (Eden Gardens, con bella piscina blu e spiaggia propria) andiamo a visitare l’antica Assos, situata in alto in posizione magnifica davanti a Lesbo e al braccio di mare che da lei ci separa. Arrivando avevamo fatto congetture plausibili sull’identificazione del monte Ida che è vicino a questo golfo, e all’Ipoplacia Tebe che si dovrebbe trovare nei pressi della moderna Edremit.

Mangiamo in un ristorantino turco sulla spiaggia, dove non hanno il caffè, e risaliamo a visitare gli scavi. Assos è in alto, e davanti a noi ci appare Lesbo in tutta la sua estensione. La città era stata infatti fondata dagli abitanti di Mēthymna a Lesbo, praticamente i dirimpettai. Ci sono mura imponenti e ben conservate, un teatro romano magnifico che guarda il mare dall’alto; sull’acropoli un tempio arcaico di Atena, che si affaccia su uno scenario davvero maestoso. Fuori delle mura una vasta necropoli che giunge fino all’epoca paleocristiana. Anche qui è stato San Paolo. Tira un vento tremendo che non fa bene alla tosse di Carmen, così lei, Nora e Nicoletta evitano di salire in cima, dove il vento soffia anche più forte. L’attuale villaggio turco è tutto addossato alla città antica.

Al tramonto si tenta di raggiungere ad ogni costo il tempio di Apollo Sminteo, che è più a ovest, verso la punta della Troade. Da queste parti stava Crise, sacerdote del dio e la cui figlia Criseide, come ricordiamo, fu la causa dell’ira di Achille. L’attuale tempio ha belle colonne ioniche di marmo bianco, ma i gradini sono moderni. Torniamo di corsa in albergo attraverso una specie di altopiano color terra, punteggiato di cespugli verdi e di olivi, attraversato da greggi che tornano all’ovile; il tutto ricorda vagamente la Sardegna interna. Infine alle 21.00 riusciamo a cenare sulla terrazza dell’hotel sopra alla spiaggia. Abbiamo avuto per tutto il giorno la vista del mare accanto; su questo mare secondo Saffo era passata la nave che portava Andromaca a Troia quando si era sposata. Il monte Ida è su questo versante, non tanto vicino a Troia; infatti dice Omero che per raccogliere sulle pendici del monte la legna necessaria al rogo di Ettore ci vollero in tutto nove giorni.

Martedì 2 settembre. La giornata è dedicata a Troia, anzi a Ilio “ventosa”, perché il vento ancora non è cessato. Passiamo prima da Çanakkale, città sul punto più stretto dei Dardanelli, non lontano dall’antica Abydo; qui Serse traversò l’Ellesponto nel 480 a.C. passando a Sesto sull’altra sponda. A Çanakkale andiamo a vedere il museo, che è piuttosto nuovo, ma messo senza criterio; vi sono esposti pezzi rilevanti, come le coppe di Troia II, ma non c’è alcun ordine, né cronologico né tematico.

Arriviamo sul sito di Troia, che non è una collina isolata, ma una propaggine di altura che si affaccia sulla piana. La città è cresciuta su sé stessa nei millenni, è un accumulo di strati in sequenza, cresciuti uno sull’altro; non una rocca a forma di acropoli, ma un «tell». Il luogo è interessantissimo; non è vero che non c’è nulla, come dicono certe dicerie. La prima cosa che si trova sono le mura di Troia VI, quella che Schliemann credeva la città omerica. Sono di perfetta e notevole fattura, in pietre grigie «ben connesse», scandite da angolature verticali. Sono mura inclinate, non verticali come quelle micenee di Tirinto. Il sapore della fortezza è vagamente orientale, ma non decisamente assiro-babilonese, piuttosto una via di mezzo tra l’oriente e l’occidente; le pietre non sono ciclopiche, ma di dimensioni normali. La Troia II, del 2000 a.C. circa, è una cittadella più piccola, rotonda e fornita di porte notevoli, con stupefacenti rampe di accesso di pietra perfettamente conservate. Anche queste mura di cinta sono un po’ inclinate. La porta sud era stata inizialmente presa da Schliemann per le porte Scee. Non lontano da qui aveva trovato ben interrato il cosiddetto «tesoro di Priamo», che in realtà è assai più antico del periodo omerico; oggi è disperso tra vari musei, tra cui quello di Mosca.

C’è molto da vedere e da girare, dal bastione di nord-est alla Troia VIIa che forse è proprio quella bruciata dagli Achei nel 1180 a.C. Il gruppo si ferma sotto un albero a leggere a voce alta il VI dell’Iliadee altri brani omerici. Ci sono belle querce di un tipo particolare, detto «quercus troiana», simili a cerri, con grosse ghiande rotonde racchiuse in ricci legnosi. Andiamo alla ricerca della spiaggia di Besikas, mentre il vento non ci lascia mai; secondo alcuni il campo acheo sarebbe stato proprio qui su questa riva. Da Troia si domina la piana, tutta coltivata, e si vede direttamente la vicina entrata dei Dardanelli, che non poteva non essere sotto il controllo troiano. Si vede benissimo la lunga penisola del Chersoneso di fronte a noi, separata da un tratto di mare blu lungo e stretto, l’Ellesponto, dove le navi scorrono avanti e indietro.

Scendendo alla ricerca della spiaggia si traversano grandi coltivazioni di pomodori, meloni e granturco. Arriviamo infine a Besikas, dove Riccardo fa un bagno nonostante l’acqua sia parecchio fresca. Questa poteva essere una plausibile localizzazione del campo acheo, e dietro all’arenile ci sono molti tumuli mai scavati da nessuno. Ora c’è un cupo pastore con le sue pecore. Ci sediamo sotto l’ombra di una grande quercia «troiana» a mangiare lo spuntino comprato nel vicino paese: pomodori turchi rossi e saporiti, pane e schiacciata, olive e formaggio, ottima uva senza semi. La rena è fine e morbida, il mare pulito, com’era in Versilia molti anni fa. A nord si vede il capo Sigeo, di fronte a noi l’isola di Imbro, dietro alla quale spunta l’alta montagna di Samotracia. Ma Primo, molto ispirato, ha già visto un’altura a punta che sta alle nostre spalle, e ci va immediatamente, pensando che sia un tumulo e non una collina naturale. Torna contento: è un tumulo davvero, contornato da due cerchi di sassi, un gruppo di pietre in cima, e una specie di dromos in basso. C’è anche, secondo lui, un buco fatto dai tombaroli. Sogna che sia il tumulo di Achille. Anche nelle guide questa ipotesi viene menzionata. Come pure che siano dei falsi costruiti da Alessandro il Grande nel suo desiderio di rievocare gli antichi eroi dai quali era così totalmente affascinato.

Ebbene, se questo è il campo acheo, è il posto giusto per leggere il XXIV dell’Iliade. Lo legge tutto Laura, dalla prima all’ultima parola, nella buona versione in prosa della Ciani, ed è così bello che restiamo tutti commossi. Il luogo poi, che sembra conservatosi per noi in questi 3.000 anni, favorisce questa evocazione regressiva. La luce del tardo pomeriggio si spande dorata avvolgendoci in una suadente ebrezza … cui contribuisce la abbondante birra necessaria per mandar giù il pane col formaggio.

Al ritorno puntiamo diritti sul nostro albergo di Assos. In questi andirivieni abbiamo più volte traversato lo Scamandro, che è un bel fiume verde e sinuoso, incassato tra due sponde sassose e piene di cespugli.

Mercoledì 3 settembre. Giornata dedicata a Pergamo. Lo spostamento con le macchine dura quasi tre ore; andando verso Pergamo vediamo un paesaggio con molta agricoltura e begli oliveti. La città è all’interno, la sua acropoli su una ripida altura da cui si vede tutto il territorio circostante. Pergamo forse (come Bergamo) significava ‘rupe, rocca alta’. E’ una magnifica città ellenistico-romana, che ospitava la seconda maggior biblioteca del mondo antico dopo quella di Alessandria, e dove fu inventata la pergamena che in occidente finì per sostituire dovunque il papiro.[2]Ammiriamo monumenti insigni, bellissime colonne di marmo bianco, il tempio di Zeus, i resti del tempio di Atena e della stoà, la statua marmorea di Adriano; c’è anche un grande teatro in posizione drammatica e scenografica, con gradinate ripidissime sul fianco del monte. Scendendo per i ripidi gradoni che si affacciano sulla vallata, si arriva alla scena del teatro. Di lì a poco alcuni raggiungono, come incastonato sul costone della montagna, il tempio di Dioniso. Lì … Laura viene posseduta dal dio … o da una sua ipostasi, ma su questo evento non è dato aggiungere altri particolari. Anche Teresa, con il suo ombrellino violetto, rischia di essere rapita da Eolo, in stile Mary Poppins, ma i compagni intervengono con prontezza prima che le folate più gagliarde non la rapiscano del tutto. Mentre il gruppo si aggira tra queste belle rovine sotto un sole cocente, Nicoletta fa sosta a un caffè, a respirare all’ombra dei pini. Alcuni scendono a piedi per un sentiero fino alla «acropoli bassa» e vengono poi recuperati dal pulmino a mezza strada. Si scende poi al museo archeologico in città, dove c’è anche un modellino del famoso altare di Zeus che è stato portato a Berlino.

Andiamo infine a visitare il bellissimo Asclepeìon, con tutte le colonne in piedi, il teatro, la fonte, i vari locali; è già l’ora del tramonto. Si è fatto tardi e corriamo verso Assos, mentre accanto alla strada scorre il mare. Sono questi i momenti tipici della periegesi: sfrecciare in silenzio per le terre dell’Egeo, a tratti chiacchierando di miti, o facendo giochi di parole. Il pulmino non è una macchina ma una comunità ambulante, il nostro microcosmo che ci racchiude e ci trasferisce nei luoghi desiderati. Pur arrivando tardi in albergo si fa in tempo a mangiare subito e a crollare a letto, sfiniti dalla stanchezza.

Giovedì 4 settembre. Riposo e traversata di mare. Passiamo tutta la mattina in spiaggia ad Assos, con veri bagni nel mare limpido e fresc e anche nella piscina blu dell’albergo. E’ tutto estremamente piacevole: chi legge, chi nuota, chi dorme sulle sdraio; peccato doversene andare. Partiamo alle 12.30 puntando diritti su Ayvalik. Al porto della città consegniamo le macchine ai gentilissimi noleggiatori turchi, e andiamo a mangiare in un ottimo ristorante sul porto, confortati da una bella brezza di mare. Cristina esalta la cucina turca, infatti è tutto molto buono, ma il conto abbastanza salato.

Il battello del ritorno questa volta è pieno di gente, ci sono molti greci che tornano in patria. Hanno le facce tipiche dei greci, del tutto diverse da quelle dei turchi nasuti e bruni. La visione di Lesbo azzurrina all’orizzonte ci accompagna per tutta la placida traversata sull’ora del tramonto. Una volta sbarcati, arriviamo ultimi della fila al controllo passaporti, e per passare il tempo prendiamo delle birre attraverso i cancelli dal bar vicino: veniamo redarguiti per questa irregolarità. Il porto piccolo di Mitilene è davvero bellissimo, rotondo a ferro di cavallo, che ricorda un po’ la Calata di Portoferraio, ma più bello. Tutti gli edifici intorno sono illuminati, una chiesa mostra la bella cupola verde, su cui sta sospesa una luna al primo quarto (καλάν σελάνναν). Tutta la gente è al caffè a divertirsi, i ristorantini sono gremiti. Una sensazione di gioia liberatoria ci invade: l’arte di godersi la vita che hanno i greci. Nicoletta e Nora, ma anche molti altri del gruppo, sono contenti di toccare di nuovo le sacre sponde della bella Lesbo e di essere di nuovo in Europa. Uno dei pescherecci attraccati al porto sotto le nostre finestre si chiama «Kaptan Ghiorgis» (Καπταν Γιωργης).

Venerdì 5 settembre. L’ultima giornata di Lesbo ci vede impegnati a raggiungere la costa occidentale, passando da Eresso, il paese di Saffo. Un gruppo è andato di prima mattina al museo archeologico di Mitilene, che è bellissimo e raccoglie alcuni strepitosi mosaici di età romana. Invece il piccolo gruppo di Mesa, Plinio, Carmen e Nicoletta si attarda in un caffè sul lungomare. Con le macchine a nolo partiamo per Eresso; attraversiamo prima una parte dell’isola tutta verde di pini, costeggiando il golfo Geras, che è bellissimo. Poi ci sono grandi oliveti. Ci fermiamo a visitare il luogo sacro di Mesa nel golfo di Kallonìinondato di luce. L’altra parte dell’isola è tutta petrosa e brulla, e andando verso sud-ovest s’incontrano solo picchi e dirupi di roccia color ruggine.Traversiamo Eresso un po’ inconsapevoli e puntiamo dritti sulla sua magnifica spiaggia (Skala Eressou/ Σκάλα Ερεσού). Presso il tempio, pare si svolgessero delle gare di bellezza (unita a saggezza-sofrosyne e virtù domestica). Chissà che il tiaso di Saffo non dovesse preparare le fanciulle dell’isola per andare a nozze al migliore pretendente? Una cosa è certa: la bellezza abita l’isola come poche.

Il mare è blu e incantevole, ci sono rocce sui lati e un grande scoglio davanti, immerso nell’acqua liscia e limpida. Mangiamo a una tavernetta sul mare che si chiama «Sardine blu»(!) tenuta da un finto burbero che d’inverno fa il contadino e raccoglie le olive. Qualcuno ha ipotizzato che fosse un pope travestito. Ma prima ci buttiamo nell’acqua fresca per sentirci rivivere. Certo è uno dei più bei posti di mare mai visti, sebbene cominci ad affollarsi. Al ritorno prendiamo una strada diversa per vedere altri panorami. L’isola ci è piaciuta moltissimo, ma dobbiamo andare in fretta all’aeroporto. Lì lasciamo le auto e ci imbarchiamo sul piccolo aereo a turboeliche; siamo ormai all’imbrunire.

Scesi ad Atene troviamo un taxi che ci porta letteralmente a razzo fino ai nostri alberghi dietro l’agorà (odos Apostolos Pavlos). Qui i tassisti sembrano tutti piloti di formula 1, e quello che ci riporterà all’aeroporto domenica mattina è ancora più veloce (si chiama Nìkolas, ci dice con grande fierezza, il che significa: «se avete fretta chiamate me!»). Si cena dunque al solito ristorante sull’angolo dell’agorà, dove mangiamo davvero molto bene; Nicoletta per esempio una mussaka squisita e profumata di spezie.

Sabato 6 settembre. La mattina Nicoletta, Alberto, Primo, Franco, Cristina e Laura vanno a visitare il tempio di Giove olimpico e l’arco di Adriano. Gli altri hanno altre destinazioni. Nel pomeriggio alcuni visitano il Museo Archeologico Nazionale. Il gruppo dei marciatori di Eleusi (Riccardo, Nora, Alberto e Teresa) si apprestano alla pompé lungo la via sacra; partono davanti al tempio dei Dodici dèi che sono ormai le 5 passate, ma fa ancora un gran caldo. Arriveranno verso le 10 ad Eleusi. Qui a Atene regna la movida che impazza 24 ore su 24, una dolce vita fissa che nemmeno in Via Veneto ai tempi d’oro.

Cristina e Nicoletta vanno al teatro di Erode Attico a sentire canzoni greche, che mettono in musica versi di Kavafis e Seferis; una soprano e altri cantanti, nonché un ottimo coro, cantano con l’orchestra della radio greca. Arrivano anche un pianista e un suonatore di bouzouki. Ci raccontano che è stata un’ottima idea: sedute su in alto, nei posti più economici, davanti a loro le mura dell’acropoli e, alzando gli occhi, si vede di sotto in su uno scorcio del Partenone illuminato e il tempio di Atena Nike contro il cielo notturno. Le ultime musiche devono essere canzoni molto amate dal pubblico, che ritma i battimani e canta insieme agli artisti. Non si capisce una parola, ma il luogo è un incanto e i toni sotto questa roccaforte acquistano un sapore vagamente patriottico.

Domenica 7 settembre. Partenza comoda per Roma alle tre. Purtroppo Carmen fa in tempo a smarrire un suo bellissimo anello di grande valore, per malaugurata distrazione. Partiamo in orario e arriviamo a Fiumicino nel pomeriggio. Anche quest’anno siamo soddisfatti, e pensiamo che ogni volta che torniamo troviamo la Grecia più ricca e vivace. In Italia fa caldo, ma non è niente in confronto col sole a picco di Atene!

[1]Ebro, il più bello dei fiumi/ che nella Tracia con forte suono scorri / lungo terre famose pei cavalli, / al purpureo mare presso Aino, tacito scendi. [Alceo,traduz. Quasimodo]

[2]In Italia gli ultimi papiri sono del VI secolo d.C.