X Periegesi in Magna Grecia –Diario

Catania – Siracusa – Enna – Tyndaris – Catania

25 Maggio – 2 Giugno 2013

I luoghi: Catania Fontanarossa, Siracusa, Palazzolo Acreide, Villa romana del Tellaro, sito archeologico dell’antica Eloro, “Torre Pizzuta”, spiaggia di Calamosche nel parco di Vendicari, Lago di Pergusa, Cozzo Matrice, grotta del rapimento di Persefone, Enna, Valle di Imera, scavi di Himera, Marina di Patti, Tyndaris, museo della ceramica a Sant’Agata di Militello, via Valeria da Patti verso ovest: Capo Calavà, Gioiosa Marea, Capo d’Orlando, Santo Stefano di Camastra, Tyndaris, Catania

Sabato 25 maggio. La partenza (da Firenze) è sotto la pioggia battente. Fa anche freddo. Ci troviamo in molti a Catania Fontanarossa. Affittiamo un pulmino (Renault Traffic da 9 posti) che si rivelerà affidabile e abbastanza risparmioso.

Ci dirigiamo subito verso Siracusa. Appena in tempo per scaricare i bagagli e ripartire per il teatro greco. È sabato, il teatro è gremito. Fra il pubblico notiamo Sara col marito.

Viene rappresentato un “Edipo Re” assai bello. Rispettoso del testo con qualche inserzione che, invero, lo imbarocchisce un po’. Ma non guasta. Bravissimo Ugo Pagliai che fa Tiresia con una interpretazione intensa, toccante, che non fa rimpiangere quella di Scaccia (2004). Bravo anche Edipo. Creonte non convince. Buona la regia. Il coro è stato rispettato e valorizzato. Gli interventi di “lettura” dell’opera non disturbano. Come quando, in un momento di sonno, passano davanti ad Edipo gli eventi salienti della sua vita. La scenografia è semplice (un grande muro che fa da sottofondo) ed una Sfinge che somiglia alla sfinge di Giza. Dai suoi occhi usciranno rivoli di sangue quando Edipo si accecherà. L’effetto è forte ed efficace. Il grande muro che fa da contorno crea un effetto acustico di ritorno di suono non piacevole. Gli altoparlanti sono troppo alti. L’opera è bella, ma non eguaglia l’Edipo visto nel 2004 con Mario Scaccia nei panni di Tiresia e Sebastiano Lo Monaco in quelli di Edipo.

Su suggerimento di Isa la sera ceniamo in un locale di Ortigia (“L’ambasciata di Ortigia”) vicino a Palazzo Bellomo. L’ambiente è fuori dalle mète turistiche più frequentate, non è affollato. Si mangia bene, mentre si svolge la partita fra Bayern Monaco e Borussia Dortmund. Non si spende molto. Lo prenotiamo anche per il giorno seguente.

Domenica 26 maggio. Ci troviamo alle 9.00 per dirigerci subito verso Palazzolo Acreide. Alcuni preferiscono restare in Ortigia. Andiamo direttamente al teatro greco dove è in corso il consueto festival dei giovani organizzato dall’INDA. Quest’anno gli spettacoli che si susseguono sono deludenti. Intanto viaggiano con forte ritardo. Poi non sono certo all’altezza di cose come “Elettra” di Sofocle vista l’anno scorso o di quell’ “Ecuba”, notevole, che abbiamo visto due anni fa. Assistiamo ad un “Aiace”, mediocre da ogni punto di vista.

Ci dirigiamo poi verso il “Museo dei Viaggiatori in Sicilia”, non lontano dalla Chiesa di San Sebastiano. Poche le cose esposte e scarso anche l’apparato didattico. Ci consoliamo visitando il Duomo di San Sebastiano con la sua bellissima facciata e un interno lussureggiante di colori. E anche con un buon pasto a “Lo scrigno dei sapori”. Un ristorante da ricordare.

Rientriamo a Ortigia e in breve ripartiamo per il teatro greco. Questa sera è la volta di “Antigone”. Lo spettacolo non convince. Si incomincia con un prologo inventato di sana pianta dove “il fantasma di Giocasta” riappare dall’Ade per raccontarci quel che è successo dopo la sua morte. Ricomparirà ancora durante l’azione scenica, ma starà zitta. Creonte è sempre lo stesso attore che ieri ha impersonato lo stesso personaggio dell’Edipo Re. Ora è più convincente. Antigone non è all’altezza della tragicità del ruolo. Il rimpianto per Galatea Ranzi che aveva interpretato il personaggio nell’edizione del 2005 è veramente forte. Anche la musica (una rock music con contaminazioni etniche) è proprio inadeguata. Anche se porta la firma di Stefano Bollani. Concordiamo tutti nella critica, ma lo spettacolo è stato pur sempre accettabile.

Delude invece l’Ambasciata di Ortigia che ha ridotto le sue portate in qualità e quantità. Probabilmente per esaurimento scorte. In compenso i prezzi sono aumentati.

Lunedì 27 maggio. Stamattina partiamo più tardi: alle 9.30. Ci dirigiamo lungo la via Elorina fino alla Villa Romana del Tellaro. Procediamo ad una visita accurata del sito confortati anche da una bellissima giornata di sole. Che ci invoglia anche a visitare il sito archeologico dell’antica Eloro, prima, e poi la c.d. “Torre Pizzuta” monumento costruito in epoca ellenistica per commemorare la disfatta dell’armata ateniese da parte dei siracusani nel 413 a.C.

Ci dirigiamo quindi verso la bella spiaggia di Calamosche nel parco di Vendicari. La spiaggia si raggiunge con una bella camminata in una campagna assolata, ma rinfrescata dal una piacevole brezza marina. Una brezza che ci impedisce di fare il bagno in acque che altrimenti sarebbero invitanti.

Passato gradevolmente un certo tempo nella baia rientriamo e ci rifocilliamo in un agriturismo (Agriturismo Calamosche, ovvero “da Ducezio”) che si rivela una manna. Si mangia sotto un grande pergolato di carubbi, intorno la campagna bruciata dal sole. Ottima la cucina siciliana, il servizio è veloce e attento, i prezzi quasi irrisori.

Poi il ritorno verso Ortigia. Una piccola siesta e poi si riparte per Il teatro greco. Questa sera abbiamo l’Aristofane delle “Ecclesiazuse”. È l’Aristofane tardo che già allude alla Commedia di Mezzo. Lo spettacolo è breve … e abbreviato. I costumi sono belli e gli attori non deludono. Ma Aristofane è solo una comparsa.

Ceniamo in un altro locale trovato da Isa “La cucina degli Iblei” ovvero “da Mariano”. Non si mangia male e ci troviamo molti attori che hanno recitato nella commedia che abbiamo appena visto. È un locale molto grande, con molta gente, con molto rumore. Poi arriva lo stesso proprietario che ci offre rosolio e dolcetti. Il conto è salato, rispetto a quanto offerto.

Martedì 28 maggio. Ci ritroviamo direttamente al parcheggio Talete alle 9.30. Con puntualità partiamo alla volta di Piazza Armerina. Il viaggio si rivela più lungo del previsto e arriviamo al sito archeologico oltre mezzogiorno. La visita è entusiasmate. Il nuovo allestimento ha valorizzato (e difeso) molta parte della villa che rivela il suo sfolgorante splendore. Procediamo ad una visita accurata cercando di percorrere il tutto come un ospite che fosse arrivato alla villa nella tarda antichità. Non sarebbe spiacevole farci un bel bagno nelle terme, bellissime e con gli ambienti ancora perfettamente leggibili nelle loro funzioni. Pranziamo ad un ristorante indicato da Concetta (“La ruota”) assai deludente, anche per la qualità del cibo. Cosa assai rara in Sicilia.

E dunque ripartiamo alla volta del Lago di Pergusa. Lo specchio d’acqua, già teatro del rapimento di Persefone, è ora circondato da un autodromo e dalle immancabili, drammatiche ed architettonicamente improbabili, costruzioni siciliane degli ultimi anni. Un po’ delusi andiamo a cercare il luogo del ratto sperando di incontrare qui Persefone (di Ade facciamo anche a meno). La ricerca non è facile. Le informazioni dei locali sono fuorvianti. Dopo vari tentativi ci avviciniamo al Cozzo Matrice. Troviamo il modo di disturbare una coppietta che “prendeva il sole”. Lui si scusa, lei ha dei magnifici occhi azzurri, che nasconde con molto pudore. Lui la porta via sul carro … che non sia Ade che si porta via Persefone?

Ormai, guadagnata la patente di scocciatori, proseguiamo fra ginestre e prati in fiore. Quando ci si para davanti un cane, invero un po’ malconcio. E poi un uomo antico che parla un siciliano stento e tante pecore. Uomo, cane, pecore si erano lavati verso Natale, quando piovve a lungo in Sicilia. L’odore dei nuovi arrivati sommerge quello dei fiori e della macchia mediterranea. Fanno ricordare l’incontro con Eumeo ad Itaca…

Siamo arrivati infine alla grotta del rapimento. Grotta paleolitica, santuario neolitico, poi luogo di culto anche in epoca storica. Intorno ampie aree adibite a necropoli. Non stupisce che qui (grotte abitate dal divino, campi di urne…) i greci avessero collocato uno dei possibili scenari del rapimento della Kore.

Sul pianoro sovrastante (ma anche nei dintorni) sono stati effettuati vari scavi di assaggio. I reperti sono custoditi a Enna, nel locale museo archeologico. Da qui un panorama stupendo, a 360 gradi su tutta la Sicilia. Si vede il mare da due dei tre lati. A nord le Madonie non lo permettono. A Est l’Etna fumante. E tutt’intorno la campagna piena di messi mature: la campagna di Demetra. Che era la Dea della Sicilia antica. Dovunque ne si trova traccia. Ci siamo fermati solo un po’, ma valeva la pena “scialarselo” ancora di più: un posto così non si trova facilmente. Se Dio vorrà ci torneremo; magari portandoci anche Riccardo …

Riprendiamo la strada per Enna, dove arriviamo che ormai sta tramontando. Il nostro albergo si chiama “Sicilia”. È proprio sullo sperone roccioso, nel cuore della città.

Ceniamo nel ristornate attiguo, dopo aver cercato alternative senza successo. Il servizio è lento, l’ambiente affollato. Al momento di chiedere il conto, Alberto se lo fa fare (lo pretende!) dalla cassiera.

Mercoledì 29 maggio. Alle 9.00 si parte per la visita di Enna. Il museo archeologico prima. Sconosciuto, ma assai interessante, con reperti di tutto il territorio provinciale. Un custode lo apre per noi. Poi, vistoci interessati, ci accompagna, facendo del suo meglio a spiegarci reperti, scavi, problemi della locale soprintendenza. Squisito nei modi e ricco di informazioni.

Si prosegue con la visita del Castello di Lombardia, costruito in epoca normanna con le pietre del tempio di Demetra. Per poi arrivare al luogo, ormai non resta che questo, dove insisteva il Tempio di Cerere. Che era poi il tempio che i greci avevano considerato di Demetra. E prima ancora le popolazioni neolitiche avevano dedicato alla Grande Madre Mediterranea. Attestando una frequentazione sacra del sito che si perde nei tempi. Da qui lo sguardo spazia senza limiti, su una campagna tutta vestita di messi (siamo nella stagione della maturazione del grano). Poco distante si vede il colle di Cozzo Matrice che abbiamo visitato il giorno prima. E torna bene l’idea della fanciulla che era andata poco lontano dalla casa materna a giocare con le Oceanine e di come il dio terribile l’avesse rapita togliendola alla luce del giorno e agli occhi della madre. E di come la madre la cercasse per la sua campagna, per tutto il giorno. E di notte accendendo le fiaccole ai fuochi dell’Etna, lì vicino. Ne si vedono i fumi, ed è così prossimo che sembra di poterlo toccare.

Di un sacello sacro come pochi altri ora non resta pietra su pietra. Forse una scalinata incisa nella roccia è l’unica testimonianza della frequentazione antica. Una sorte non dissimile sarebbe toccato ad un altro sacello della Grande Madre Mediterranea, questa volta posto sulla rocca di Erice. Un sacello che sarebbe diventato poi della fenicia Astarte e della greca Afrodite, per poi essere intitolato alla Venere Ericina. E anche a quello che, a Cefalù, fu dedicato a Diana. Probabilmente la divinità dedicataria originaria doveva essere unica per tutti e tre i luoghi. Che avrebbero avuto poi destini diversi con attribuzione a dee diverse: la dea dell’amore in un luogo frequentato da marinai, la dea delle messi fra le campagne dell’interno, la dea dei boschi in una zona impervia come i monti Nebrodi. Tornando verso l’auto visitiamo il Duomo di Enna, barocco, nella dimensione di un barocco molto colorato. L’impressione d’insieme è piacevole.

Si riprende il cammino verso Tyndaris. Percorriamo la valle dell’Imera che separava la zona di influenza greca (a est) e di influenza punica (a ovest), con cui la pressione greca (militare, culturale, economica) dovette confrontarsi, senza mai riuscir in un’opera di completo predominio. La cosa riuscì ai romani, ma solo dopo una lotta quasi trentennale: praticamente tutto il tempo della estenuante prima guerra punica (264-241 a C). Passiamo vicino agli scavi di Himera, con il relativo antiquarium che abbiamo già visitato (VI Periegesi Magno Greca). Lasciamo l’autostrada a Santo Stefano di Camastra con l’intenzione di visitare il locale museo della ceramica. Arriviamo un po’ tardi e decidiamo di pranzare. Approdiamo a “L’angolo di Maureliana”, vicino al mare. Si mangia assai bene e gustiamo un nero d’Avola prodotto localmente. Molto buono.

Ripartiamo dunque per Tyndaris seguendo la strada costiera, ricalcata sulla romana via Valeria fino a Sant’Agata di Militello. Poi riprendiamo l’autostrada ed in breve arriviamo a Patti, al nostro hotel “La Playa”, che, scoperto da Plinio, ormai ci accoglie da molte stagioni.

Finora abbiamo avuto bel tempo. Un po’ fresco per le temperature siciliane, ma sempre soleggiato. Ora rannuvola, si alza il vento, rinfresca. La notte pioverà. Arriviamo a Tyndaris con un buon anticipo. Al teatro greco, con quello splendido panorama che già di per sé è uno spettacolo, stasera viene rappresentato “Alcesti” di Euripide. Si tratta della riedizione di un allestimento che fu approntato nel 2004 per il teatro Olimpico di Vicenza. Ebbe già allora un notevole successo. Ricordo che se ne parlò a lungo durante la IV° Periegesi in Grecia. È un bello spettacolo, ben recitato, rispettosissimo del testo. Senza tagli (dura oltre due ore). I mezzi sono pochi, ma le soluzioni adottate permettono una resa che non ho dubbi a definire ottima. Anche se molto “spartana”, ma dopo certi barocchismi siracusani non fa male. Ad esempio i due semicori sono svolti da due dei servi di Admeto. Gli attori usano maschere. Esilarante quella di Eracle. Il pubblico applaude compatto e resiste al freddo, che si è fatto quasi pungente, per tutto il tempo dello spettacolo. Le discussioni continuano a “La Capannina” (o meglio, “al tempio di Giove”) di Mongiove, dove tutti chiediamo il trancio di pesce (tonno o pesce spada) cotto al momento su pietra ollare. Beviamo un ottimo Mamertino che ci riscalda e ci concilierà il sonno.

Giovedì 30 maggio. Al mattino il gruppo si divide. Alcuni restano a Tyndaris, altri vanno a vedere il museo della ceramica a Sant’Agata di Militello. I più decidono di percorrere la via Valeria da Patti verso ovest. Passiamo da Capo Calavà per fermarci a Gioiosa Marea. Visitiamo il locale antiquarium che raccoglie i materiali affiorati sporadicamente e soprattutto quelli di Gioiosa Guardia che fu sede di insediamenti umani, anche importanti, fin dal neolitico. E che giocò un ruolo non di poco conto, insieme con la vicina Agathyrnon (ora Capo d’Orlando), nel contenere l’espansione greca che procedeva da Mylai a Tyndaris, verso Himera, passando per Kalè Aktè (Caronia). Si prosegue per Capo d’Orlando. Probabilmente il luogo in cui insisteva l’antica Agathyrnon. È stato approntato, anche qui, un antiquarium per accogliere le emergenze di scavi locali più o meno sistematici. Al tutto è stato dato il nome, un pò pomposo in verità, di “Museo dell’Agatirnide”. Due impiegate si danno molto da fare nell’illustrarci la grande storia del posto. Il materiale archeologico è senz’altro interessante.

Ma c’è un’altra cosa che non vogliamo perderci ed è la Villa Romana di Bagnoli. Bagnoli è un sobborgo, dove sorge il porto di Capo d’Orlando. Qui, in seguito a scavi casuali, è stato scoperto un impianto termale di notevole rilievo che forse faceva parte di una villa romana tardo imperiale, sul modello di quelle che abbiamo visitato a Piazza Armerina o al Tellaro. Probabilmente la villa era in contatto con il vicino porto. Ma della villa, pur ipotizzata, al momento non è stata trovata traccia. Cancellato tutto dalle ruspe e dai condomini? Anche qui un’impiegata solerte ci fa dono delle sue spiegazioni ed in ultimo anche di un volume che raccoglie gli studi degli scavi. Con ancora negli occhi la magnificenza di Villa del casale di Piazza Armerina si fa, invero, un po’ fatica ad apprezzare i pur notevoli reperti.

Proseguiamo con l’intento di raggiungere Santo Stefano di Camastra e ricongiungerci all’altro moncone del gruppo. Ma si fa tardi e decidiamo di rientrare a Patti. Dove ci ricongiungiamo con chi era rimasto in albergo. Pranziamo a Patti Marina al ristorante “Il Casaro”.

Un po’ di riposo e poi di nuovo a Tyndaris. Stasera sono previste “Le Troiane” di Seneca. Lo spettacolo è penoso. Ci sono quattro donne che urlano dandosi spintoni e chiamandosi con i nomi di Andromaca, di Ecuba, di Elena, di Cassandra. Non si capisce bene nemmeno di cosa parlino. Forse sceneggiatore e regista non hanno neanche letto il testo che le quattro donne dicono di recitare. È molto brutto vedere scempiata un’opera che ha ispirato tanti grandi, del presente e del passato. Che ha retto al silenzio dei millenni, che ha parlato a Seneca a Racine, a Sartre … Un peccato davvero. Ci consoliamo anche stasera a “La Capannina”. Che non delude.

Venerdì 31 maggio. Si parte alla volta di Catania Fontanarossa. Il viaggio si svolge senza inciampi. Riconsegniamo l’auto. Molti partono, altri si dirigono a Catania, per alloggiare all’Hotel “Il principe di Catania”, proprio nel cuore della città.

Nel pomeriggio visitiamo prima il teatro greco, l’Odeon e l’annesso antiquarium. Poi ci dirigiamo al Castello Ursino. Di fondazione normanna, fu quasi sommerso da un’eruzione lavica del XVII° secolo. Ora è sede del museo civico e raccoglie ricche collezioni di reperti antichi, riemersi in corso di scavi, più o meno ben condotti, in varie parti della città. In particolare dal teatro greco, dalle c.d. “Terme Achillee”, dall’Anfiteatro romano e dal Monastero benedettino. C’è anche la locale Pinacoteca civica, con raccolte di collezionisti locali. I valore artistico delle collezioni è modesto. Belli comunque alcuni Mattias Stoemer. Pregevoli i locali, densi di storia del castello. Infine ci dirigiamo perso piazza Stesicoro che, oltre ad essere dedicata al maestro di Eschilo, mostra quanto resto dell’anfiteatro romano, triste reliquia in un traffico infernale. Ceniamo in modo frugale (ma non troppo) da Prestipino e poi ci rechiamo al Teatro Bellini per assistere ad un recital del pianista I. Wunder. Bravo; propone tanti bei pezzi in particolare di Chopin, ma anche Liszt.

Sabato 1 giugno. È il giorno dell’ascensione sull’Etna. Ci affidiamo ad una organizzazione locale. Una simpatica signora che si qualifica come “geologa” ci porta fino al rifugio Sapienza e poi sostanzialmente ci lascia lì. Proseguiamo con la funivia e poi a piedi fino sull’orlo della Valle del Bove. Al ritorno ci viene fatta visitare una grotta lavica e poi una rivendita di miele di Zafferana Etna. Il ritorno è una corsa per non perdere “Il Pipistrello” di J. Strauss Jr al Bellini. La musica è bella, ma lo spettacolo, pur molto apprezzato in città, è assai deludente. Ci consoliamo a “L’amabasciata del pesce”, proprio di fronte al duomo di Siracusa.

Domenica 2 giugno. Anche per chi è restato è il momento di rientrare. In una bella giornata di sole fa un po’ dispiacere. È stato un viaggio piacevole. Il tempo non è stato dalla nostra parte, ma rispetto a quello che accadeva nel resto d’Italia ci possiamo considerare fortunati.