X PERIEGESI – Diario Samos, Turchia (Caria e Frigia), Kos
3-12 Settembre 2010
I luoghi: Atene, Samos: Heraion, Pitagorio, grotta di Pitagora, monastero della ‘Madonna della grotta’, acquedotto, terme romane, antiche mura di Pitagorio, Vourliotes, Samos città
Turchia: Kuşadasi, Pamukkale (Hierapolis di Frigia), Nisa, Selçuk, tempio di Artemide, Efeso, basilica bizantina di San Giovanni, moschea, santuario di Apollo a Claro, Magnesia, Priene, Mileto, Dydima, Bodrum (Alicarnasso), mausoleo di Alicarnasso.
Kos: platano di Ippocrate, Agorà, Asclepeion, Kardamena
Partecipanti: Alberto, Anna, Astrid, Concetta, Cristina, Daniela, Franco, Laura, Marco, Mesa, Nicoletta, Nora, Primo, Riccardo, Sara, Teresa.
Oltre ai grandi santuari (di Era, di Artremide, di Asclepio e gli oracoli di Apollo) quest’anno viaggiamo all’ombra dei grandi scienziati antichi: a Samo patria di Pitagora e di Aristarco, a Kos patria di Ippocrate, a Mileto patria di Talete, Anassimandro e Anassimene; ad Alicarnasso volgiamo un pensiero reverente al geniale Erodoto, padre della geografia e anche della storia.
Venerdì 3 settembre. Arriviamo bene ad Atene, ci infiliamo nel trenino-metrò ed emergiamo alla fermata di Acropolis. Fuori si respira un’aria magnifica. Alcuni si siedono all’aperto al ristorante dell’angolo a mangiare qualcosa (sono ormai le 4 e non abbiamo realmente pranzato), altri vanno al nuovo museo dell’acropoli che non avevano mai visto e tornano entusiasti. Siamo allo stesso albergo di quest’inverno: Airhotel Parthenon, via Makri. Facciamo una prima passeggiata liberi e sciolti. La sera cena all’aperto da Diogene, in un’unica tavolata. Tutti a letto presto perché per la mattina dopo si prospetta una levataccia alle 5 per andare all’aeroporto. Ma si fa comunque a tempo a discutere di Pitagora, di matematica e filosofia. A questo proposito ci raggiunge un messaggino da Marcello: «l’irrazionalità non è arbitrio ma una legge più profonda».
Sabato 4 settembre. Rapida colazione e poi tutti sul furgoncino che è venuto a prenderci alle 5.45 all’angolo del viale, davanti all’arco di Adriano; partiamo che è ancora buio. Primo ci prepara al viaggio facendoci un’ottima sintesi della storia di Samo, mentre l’autista si districa fra le strade che portano all’aeroporto. L’aeroplanino ad elica della Aegean Airlines parte alle 7.40; vola sull’Attica, vedo il lungo isolotto di Makroniso, e poi ogni isola, tante isole, una serie di isole che si sgranano come chicchi di collana fino all’Anatolia. Passiamo su Delo e Mykonos, poi scendiamo rapidamente su Samo. L’aeroporto non è intitolato né a Pitagora né al tiranno Policrate, ma giustamente allo scienziato e astronomo Aristarco di Samo (IV-III secolo a.C.), il primo a sostenere che fosse la Terra a girare intorno al sole e non viceversa. L’isola è tutta verde di oliveti e aranceti, e ci sono cipressi sparsi dappertutto. Sono le 9 e andiamo subito all’Heraion. Seduti sotto un albero, si legge e si discute come al solito. Poi visitiamo il museo di Samos città, dove è conservato un kouros arcaico gigantesco, tutto di marmo e molto bello. Sono qui raccolti materiali provenienti da tutta la Grecia, perché le offerte votive al grande santuario di Era arrivavano da ogni parte del mondo ellenico. Pranziamo in paese in una stradina dell’interno, e pomeriggio al mare. Samo è poco sotto i 38° di latitudine, più o meno come Taormina.
Il nostro albergo (Princessa hotel, vicino a Pitagorio) dà sulla spiaggia, oltre ad avere una bella piscina blu in posizione panoramica. Davanti a noi si stende nel mare assolato la lunga penisola di Micale, e in lontananza si vede davanti a noi l’isoletta di Agathonisi. Quel bel promontorio lì, quello della battaglia, adesso è Turchia.[1]Ma una carta geografica in albergo ci rammenta che quella si chiama in realtà Μικρά Ασια! Bellissimi bagni nell’Egeo, l’acqua è fresca e cristallina, luoghi deliziosi. Le donne prendono possesso della spiaggia e non c’è verso di schiodarle di lì. Si rifiutano di seguire gli uomini che nel pomeriggio vogliono andare nientemeno che alla grotta di Pitagora, su in montagna. Le otto donne si rilassano nel paese di Pitagorio (Πυθαγόρειο), vanno a cercare la farmacia, l’ottico, i negozi; prendono l’aperitivo a un bar sul lungomare, davanti alle barche e ai pescherecci. La signora del bar si rivela in realtà essere una svedese, e attacca discorso con Astrid e Cristina nella lingua materna; ci annunzia che la sera ci sarà la festa dei pescatori del paese. Andiamo a cena in riva al mare. Quando siamo già alla frutta ci raggiunge il gruppo che è stato alla grotta. Sono pallidi di stanchezza e distrutti dalla lunga arrampicata, ma soprattutto dal lunghissimo tragitto in macchina su un tracciato stretto e spaventoso, fra dirupi e boschi incendiati. Sono affamati e si siedono ai tavoli vicini.
Li lasciamo mangiare e ci avviamo lungo il porticciolo di Pitagorio, attratte dalla musica. C’è una festa e un gruppo di musicanti esegue canzoni greche tradizionali, che il pubblico canta a memoria. Un tamburo, un clarinetto e una tastiera sono capeggiati da un bravo suonatore di bouzouki; una cantante canta stando seduta al microfono. Il bouzouki sorride di gioia quando vede che il pubblico comincia a ballare nella piazza. Sono soddisfatti questi instancabili suonatori; la gente entra in pista, prima le bambine, bravissime a eseguire i passi tradizionali, poi dopo un momento di stanca un vecchio pescatore trascina la gente nel vortice. Tutti per mano, si sono alzati di botto dalle sedie e si gettano nel girotondo che avanza ritmato. Felicità: gente del paese, ragazzi e vecchietti, matrone e fanciulle volteggiano pieni di gioia. È una danza democratica, aperta a tutti: si uniscono al cerchio che ruota a spirale (un sirtos?) anche delle turiste bionde e diversi bambini, mentre gli uomini del posto conducono sapientemente il giro volando leggeri con molte variazioni sul passo di base. Una vera festa greca, tutti partecipano; a un certo punto Anna e Cristina si uniscono al gruppo e poi si buttano subito anche Astrid e Nora. Tutti per mano nel circolo ruotante, se sbagliano un passo le bambine le correggono facendo vedere come si fa. Poi la musica cambia, ora sembra una danza cretese in cui tutti si tengono per le spalle. I ballerini sorridono; nessuno si vergogna di ballare, sono felici di allargare il più possibile il cerchio vorticoso; è un rito condiviso: belli e brutti, ragazzi e vecchi signori con gli occhiali, pescatori scalzi e signore eleganti, uniti a celebrare le tradizioni, il paese, l’appartenenza alla grecità. Mi sembrano gente meravigliosa.
Domenica 5 settembre. Andiamo al piccolo monastero della ‘Madonna della grotta’, sui fianchi della collina sopra a Pitagorio. C’è una lunga grotta illuminata da candele votive e icone. La Παναγία Σπηλιάνη ha chiaramente sostituito il culto di qualche ninfa delle sorgenti sotterranee. Fuori il panorama è bellissimo, si vede il golfo dove presto scenderemo a fare il bagno. Ma prima passiamo a visitare l’acquedotto progettato nel VI sec. a.C. da Eupalino, di cui parla anche Erodoto. È un lungo tunnel che traversa la montagna per portare l’acqua dall’altra parte dell’isola, perfettamente diritto nella roccia ben scavata.[2]Scesi poi sulla costa, visitiamo le terme romane e andiamo sul mare a fare tanti bellissimi bagni. L’acqua è tiepida, il mare calmo, ci lasciamo cuocere dal sole. La povera Concetta si è però schiacciata la mano nella micidiale portiera del pulmino, e si precipita al bar a farsi dare del ghiaccio. Franco e Primo cercano di curarla, il taverniere si fa in quattro. Dopo i primi soccorsi il resto del pomeriggio si passa al mare in relax, e verso sera alcuni di noi vanno con Primo a vedere le antiche mura di Pitagorio, che era la primitiva capitale di Samo, oltre che luogo natale di Pitagora. Pericle stesso venne in persona a distruggere la città dei Samii e le sue mura, quando si ribellarono all’egemonia ateniese. Il luogo è molto bello e panoramico, e scattiamo diverse fotografie.
Tornati, molti di noi si sparapanzano in piscina, dove Franco è intento a leggere un libro su Pitagora. Un gruppetto di ragazze (Cristina, Anna, Laura) si impadronisce di un pulmino, guidato da Astrid che detiene le chiavi, vero segno del potere, e lo dirottano verso le contrade del nord dell’isola, ancora mai viste. Sono ripagate da bellissimi panorami, e visitano a un vero paesino greco (Vourliotes/Βουρλιώτες) in alto sulla costa di Samo. La cena è prevista da Policrate, sul porto di Pitagorio.
Lunedì 6 settembre. Restiamo tutta la mattina a goderci il mare sulla nostra spiaggia di sassolini; l’acqua è liscia e limpida, Nicoletta e Anna danno sfogo alla loro vitalità e nuotano fino alla punta rocciosa. Sotto gli ombrelloni Primo legge un suo scritto sulla tipologia caratteriale che discende dall’archetipo di Era. Il panorama è meraviglioso, cerchiamo di soddisfare gli occhi il più possibile prima di partire, riempiendoli di orizzonti azzurri, davanti a noi Micale e la lontana Agathonisi. Infine si parte per Samos città, lasciamo i pulmini e andiamo in giro per le vie in cerca di negozi e ristoranti. Mangiamo molto bene all’angolo di una strada interna, all’ombra e ventilata. Insalata greca, sardine e triglie. Dopo il caffè sul lungomare andiamo a fare shopping. Infine ci imbarchiamo sul piccolo traghetto che ci porta in Turchia. La traversata del mare blu scuro, increspato e ventoso, dura circa un’ora e mezzo.
A Kuşadasi in Turchia ci attendono lunghe pratiche per il controllo passaporti e il noleggio dei due pulmini. Infine partiamo che sono le 8 passate. Primo guida nella notte; Riccardo e Astrid si alternano alla guida del secondo pulmino. Stremati dalla fame, alle 10 e mezzo ci fermiamo lungo la strada da un ortolano che ci vende fichi secchi e altra frutta. Parla tedesco ed è disposto a farci anche degli spiedini per tutti e 16, ma noi non abbiamo tempo per sederci a mangiare; al massimo qualcuno si tracanna un bel tè turco per svegliarsi. Arriviamo infine a Pamukkale che è quasi mezzanotte (siamo all’interno, in Frigia). Il nostro albergo faraonico (Richmond thermal hotel) giganteggia nella campagna in mezzo al nulla; è una vera cattedrale nel deserto. In tanto lusso di marmi, ottoni ed enormi spazi, manca però la luce nel bagno di Astrid e Nicoletta, che fanno tutto al buio.
Martedì 7 settembre. All’ora di colazione vediamo il bel giardino con le piscine termali, calde e fredde; Laura, Anna, Marco, Cristina, Sara e Teresa si tuffano di prima mattina, mentre altri bevono il caffè di là dalle vetrate. Raduno come al solito alle 9 e mezzo: si parte per Hierapolis di Frigia. Visitiamo la grande città romana, che si estende in piano sopra ai pendii e alle cascatelle bianche di calcare. Molti spettacolari monumenti sono ancora in piedi, come il grande teatro appoggiato al fianco della montagna. La zona delle tombe è piena di grandi sarcofaghi di pietra gialla, aperti e chiusi, immersi nel calcare o collocati in alto, uno sull’altro. Testimoniano della mistura di culture e religioni dell’età ellenistico-romana: tombe in stile orientale, tombe ebraiche, tombe in stile romano… Le terme romane son state trasformate in basilica cristiana. La porta romana della città è seguita da quella bizantina; dietro a un bel colonnato ci sono i gabinetti pubblici romani (latrinae). Percorriamo a piedi tutta la lunghezza dell’immensa città, lungo un percorso pedonale che si snoda tra fiori e cespugli, e permette di gettare lo sguardo giù sulle piscine naturali, dove l’acqua salata e calcarea scorre da un candido scalino all’altro. La gente fa il bagno nelle vasche naturali azzurre, traversate da ruscelli e canaletti; molti passeggiano direttamente in costume. Da lontano queste pendici di cascatelle bianche sembrano campi di neve.
Alcuni di noi mangiano qualcosa al bar della “piscina di Cleopatra”, dove grappoli di turisti russi si tuffano come balene nell’acqua tiepida (vedi foto di Marco intitolata “aristoippopotami”). Assaggiamo la spremuta di melagrana rossa. Infine andiamo nel museo dove ammiriamo elaborati sarcofaghi di marmo, gioielli e iscrizioni. Poi lasciamo Hierapolis-Pamukkale, scavata dagli archeologi italiani, in un programma congiunto delle università di Lecce (Francesco d’Andria) e Torino. Abbiamo anche incontrato dei giovani scavatori italiani che ancora lavoravano con gruppi di operai turchi, e abbiamo attaccato discorso con loro. Non abbiamo lire turche (è stato un problema pagare l’autostrada ieri!), e qualcuno ha finalmente l’idea geniale di ritirarle al bancomat, cosa che funziona.
Sulla via del ritorno ci fermiamo a Nisa (Nysa, Νυ̃σα), città natale di Dioniso. Non c’è nessuno; finalmente noi soli nella luce della sera. C’è un magnifico teatro romano che guarda verso la valle, una stretta forra davanti a noi, piena di olivi e traversata da arcate romane (un ponte? un acquedotto?). Alberto prova l’acustica del teatro (che si rivela perfetta) mettendosi in mezzo alla scena a recitare una poesia in spagnolo. Alla partenza, Riccardo si butta di corsa giù per la strada che attraversa dolci pendii di oliveti; gli piace percorrere materialmente i luoghi sacri, per prenderne il più possibile possesso. Parliamo molto della coltura della vite che pare fosse originaria proprio di questa regione, e allora il culto di Dioniso sarà stato certo da collegare a questa realtà agricola.
Corriamo verso Efeso; a Selçuk ci fermiamo all’albergo Kale Han, che è molto carino. Si compone di tre case disposte attorno a un giardino, dove hanno ricavato la piscina. Una graziosa veranda, circondata di oleandri e gelsomini, serve da sala da pranzo. Vecchiotto e tranquillo, incontra i nostri gusti. Mentre i più vanno a letto, altri escono a passeggiare per la cittadina, dove incappano in una festa locale, legata all’imminente fine del ramadan, per cui la gente ora mangia e festeggia di notte. Una cantante, definita ‘la Nilla Pizzi turca’, canta canzoni turche a squarciagola.
Mercoledì 8 settembre. Visita di Efeso. Partiamo tutti a piedi, anche se la Efeso antica è a più di 3 km da Selçuk. Una lunga camminata che fa bene alla salute. Ci fermiamo comunque al tempio di Artemide, di cui non resta quasi nulla, e pensare che era una delle sette meraviglie del mondo! Fu distrutto nel 401 per ordine del vescovo locale. L’entrata alla città antica è ora un bazar di venditori di tutti i generi, che gridano in tutte le lingue; niente a che vedere con la dignitosa compostezza dei greci. Efeso è una grande, bellissima città, molto ben conservata. Dà proprio il senso e la dimensione di che cosa fosse la città antica ellenistico-romana; ognuna godeva della sua autonomia locale, ma tutte rientravano nella generale compagine dell’impero e appartenevano alla comune civiltà mediterranea. Ogni imperatore ha voluto lasciare qui la sua impronta: Augusto, Traiano, Adriano, Arcadio…e ha fatto erigere i suoi monumenti. Il bellissimo teatro di marmo è enorme, ben conservato, ospitava fino a 24.000 persone. La via ‘Arcadiana’ che fu restaurata e risistemata appunto da Arcadio nel 400 d.C., è un bellissimo rettilineo di marmo, fiancheggiato da file di colonne. Andiamo poi sulla via sacra, passiamo per l’agorà ed entriamo nella porta di Augusto (del 3 a.C.), sormontata da grandi iscrizioni in greco e in latino. Le epigrafi sono moltissime, quasi ogni monumento ha la sua bella iscrizione, quasi sempre in greco. Ci divertiamo a leggere e cercare di decifrare. Dappertutto archi e portici marmorei. La fiumana dei turisti è impressionante, inonda tutte le strade, sfilando ininterrottamente. Molti russi, americani, giapponesi e francesi. Accanto alla porta di Augusto appare la famosa facciata della biblioteca di Celso, una visione mozzafiato È commovente nella sua bellezza e per il significato storico-culturale; sul davanti le statue delle virtù venerate nell’età antica: la conoscenza (Episteme), la sapienza (Sofia), la virtù (Areté), la benevolenza (Èunoia). Elegantissimi fregi e colonne.
Saliamo su per la strada in pendio che porta alla porta sud. Fiancheggiata da ogni sorta di monumenti marmorei, fontane, il tempietto di Adriano pieno di bassorilievi, una grande casa romana con mosaici e affreschi (visita a pagamento). Saliamo ancora verso l’emiciclo del consiglio cittadino (pritaneo?) che sembra un piccolo teatro, e poi una seconda agorà, il ginnasio, gli archi della porta, ecc. ecc. Davvero monumentale e bellissima. Dobbiamo scendere giù in taxi per gli ultimi 4 km che ci separano dall’abitato di Selçuk, perché siamo ormai abbastanza stanchi. Abbiamo tralasciato la casa della Vergine Maria (benché oggi sia il suo compleanno!) e quella di S. Giovanni evangelista, che venne a morire a Efeso. ASelçuk mangiamo all’aperto all’ombra di un albero e confortati da una bella brezza, davanti al museo, che è vicino al nostro albergo. Tra le tante belle cose, ospita le famose statue dell’Artemide Efesia. Si racconta che a Efeso San Paolo non ebbe molta fortuna; la gente era devota a questa grande dea, e quando si riunirono nel teatro per processare i cristiani che avevano provocato disordini in città, pare che il popolo abbia invocato a gran voce il nome della dea, per un’ora e tutti in coro, prima che il magistrato riuscisse a prendere la parola. I cristiani furono prosciolti, ma San Paolo emigrò rapidamente verso la Macedonia.
Prima di tornare in albergo (dove facciamo un tuffo in piscina) saliamo su al castello medievale che domina l’abitato. In realtà il castello è chiuso, ma davanti ad esso si trova una grande basilica bizantina intitolata a San Giovanni, che qui è stato sepolto, e di cui si vede la tomba. È una basilica restaurata da Teodora nel VI secolo (530-540 circa), piena di colonnine e capitelli bizantini tipici dell’epoca. Siamo sul colmo della collina e godiamo il panorama. Poi un gruppetto con Astrid, Primo, Sara, Riccardo e Laura vanno a visitare la moschea che è lì sotto. Le mura merlate del castello sono bellissime, le vediamo illuminate di notte proprio sopra di noi.
L’intenzione è di andare a cena sul mare, ma non è facile trovare un posto adatto. Corriamo verso Claros a cercare il santuario di Apollo, ma a quest’ora è chiuso. Ripartiamo verso la costa, dove ci fermiamo in una tavernetta in un posto sperduto. La gente segue la partita internazionale di palla a canestro in televisione, e noi mangiamo orate fresche e verdure per l’equivalente di 11 euro.
Giovedì 9 settembre. Lasciamo il nostro simpatico alberghetto alla volta di Priene. Lungo la strada troviamo gli scavi di Magnesia, ma sono chiusi perché oggi è una festa mussulmana. Scavalchiamo prontamente la cancellata secondo la migliore tradizione periegetica, e diamo un’occhiata in giro. Poi si riparte. Il paesaggio è bellissimo; arriviamo infine all’antica città di Priene che è in una magnifica posizione sul fianco del monte, sospesa sulla pianura del Meandro, che in antico era occupata dal mare… si poteva perciò traversarlo in barca fino a Mileto che è di fronte. Alle spalle di Priene incombe una bella rupe di roccia rossastra, contro cui si stagliano le colonne ioniche del tempio di Atena. Pochi visitatori, il vento agita i rami dei pini; ci aggiriamo tranquilli tra le belle rovine di pietra grigia. Il teatro è piccolo ma molto bello, con le gradinate intatte e in prima fila una serie di troni di marmo per i maggiorenti della città, dove ci sediamo immediatamente. La scena è ancora in buona parte in piedi. Sui lati fregi con l’edera sacra a Dioniso. Si vede il posto dove stava la clessidra per misurare il tempo concesso agli oratori. Molte iscrizioni in greco sulle lapidi.
Sotto, all’ombra dei pini, c’è il grande tempio di Atena, voluto da Alessandro Magno e restaurato in età romana. Una grande iscrizione porta la dedica ΔΗΜΟΣ ΑΘΗΝΑΙ. Il luogo avvolto nel silenzio ha indubbiamente un grande fascino.
Poi scendiamo verso Mileto, traversando il ponte sul Meandro. La città di Talete è isolata nella campagna, ma in antico era sulla linea di costa. Resta un grandissimo teatro, alto e sormontato da una fortificazione alto-medievale. L’architettura è elaborata e i gradini tutti di marmo. Di lassù guardiamo l’agorà di Mileto che si estende giù in basso. Fa molto caldo e ci sediamo a una baracchina turca dove una donnina velata ci fa un pessimo caffè. I più affamati colgono i fichi dall’albero. Corriamo verso il mare a cercare un posto carino per mangiare. Lo troviamo e ci sediamo al fresco sotto una tettoia. Tra una portata e l’altra molti si tuffano in mare (Riccardo, Primo, Anna e Cristina di sicuro).
Infine si corre verso Didyma. L’enorme tempio che serviva all’oracolo di Apollo, per importanza secondo solo a Delfi, appare oggi conservato nel suo aspetto finale ellenistico-romano; è decorato in modo estremamente elegante e sontuoso, con molti fregi e bassorilievi. Grandi scale, colonne altissime, che ricordano un po’ quelle del tempio romano dedicato a Zeus olimpico ad Atene; ci sono passaggi in discesa rivestiti di marmo, e un gigantesco ádyton. Leggiamo seduti all’ombra dei muri marmorei, poi riprendiamo il viaggio. I nostri pulmini sfrecciano tra gli oliveti, su e giù per colline deserte, in vista di un grande lago. Campagna bellissima e spopolata. Ma verso Bodrum il traffico s’intensifica. Arriviamo infine alla Marina dove è il nostro albergo (Marina Vista) che sembra molto carino, davanti al porto turistico. Siamo in perfetto orario e riconsegniamo puntualmente i pulmini ai noleggiatori.
Scegliamo di cenare sul porto in un posto chic che sembra di essere in Italia. Alcuni gustano una grande, squisita e freschissima spigola. L’unico inconveniente è che arriva qualche zaffata di nafta, dato che siamo proprio in riva al porto, dietro al faro. Davanti a noi la vista del castello compare tra decine e decine di alberi di barche, sull’altra parte del porto, di là dalla stretta imboccatura. Dopocena una bella passeggiata sul lungomare tra gli alberi di terra e di mare.
Venerdì 10 settembre. L’hotel Marina Vista ha una meravigliosa terrazza sul tetto dove facciamo colazione, godendoci lo straordinario, luminoso panorama. Nella grande piscina blu non abbiamo avuto il tempo di andare; ogni tanto bisogna pur sapere rinunciare a qualcosa. Per prima cosa andiamo a visitare il luogo dove sorgeva il mausoleo di Alicarnasso, un po’ sopra al nostro albergo. C’è qualche bassorilievo e un giardino dove ci sediamo a leggere e discutere. Scendiamo al porto e lo giriamo tutto per arrivare fino al castello, fondato dai cavalieri di S. Giovanni (cavalieri di Malta). Siamo sulla parte opposta dell’imboccatura del porto, rispetto a dove avevamo cenato la sera prima. Davanti al castello alcune statue (un po’ di cartapesta purtroppo) raffigurano Erodoto (V sec. a.C.) e Artemisia II col marito Mausolo (IV sec. a.C.). Nicoletta non può non farsi fotografare accanto all’adorato Erodoto.
Saliamo sugli spalti del castello, guardiamo il mare, le isole e le penisole. Nelle sale del castello adibito a museo ci sono molti reperti di archeologia subacquea, navi naufragate dall’età classica fino all’alto Medioevo. Ci prepariamo per la partenza: la barca che batte bandiera greca parte alle 4 per Kos. Piacevole navigazione, poi all’arrivo fanno aprire le valige a tutti; quella di Cristina esplode come una bomba da quanto era stipata. A fatica si richiude. Kos è poco sotto i 37° nord, più o meno come la punta sud della Sicilia (Pachino). Il nostro delizioso albergo (Aktis) è vicino, sulla spiaggia; un meraviglioso terrazzo guarda direttamente sul mare, da dove viene una luce blu che inonda la stanza attraverso la grande vetrata. Mi affaccio al terrazzo e vedo qualcuno che nuota giù in mare all’ora del tramonto: è Riccardo! Segno che è tutto regolare. L’architettura interna è raffinata, l’uso della pietra chiara e dei vetri azzurrino-opalescenti abbellisce il bagno.
Usciamo a spasso per la cittadina, che ha aspetto piuttosto italiano; e infatti Kos faceva parte del famoso Dodecaneso, ed è rimasta sotto dominio italiano per un trentennio (1912-1943). Nella piazzetta ammiriamo il gigantesco platano di Ippocrate, antico di centinaia di anni. Vicino c’è la moschea e la fontana turca e intorno molte case nello stile architettonico degli anni 1920-1930, chiare e aperte alla luce. Passeggiamo fino all’agorà dove si trova anche il santuario di Afrodite. E poi ci accomodiamo in un ottimo ristorantino, seduti all’aperto vicino agli alberi (piatto greco misto, con ottima moussakà). Qui molti parlano italiano. Primo e Franco ricordano Plinio con voce commossa. Poi Riccardo dà inizio alla discussione sulla mèta dell’XI Periegesi. Kosì a cena a Kos, con dolce sottofondo di canzoni greche, si discutono le proposte per l’anno prossimo: le Cicladi o Rodi? Per ora vince la proposta di Primo, intitolata «il ritorno di Teseo», che prevede di toccare Santorini, Nasso, Delo, ecc., di isola in isola fino ad Atene. La proposta di Riccardo è rinviata a una prossima volta: potrebbe consistere in 4 giorni a Rodi a piedi, e il resto in navigazione verso la Turchia…(wow!). Una volta deciso per Teseo e Arianna, Riccardo seriamente vuol fare un convegno a Nasso sulla figura della donna abbandonata, in cui vuole coinvolgerci tutti. Nicoletta sa che le toccherà di parlare di qualche personaggio della poesia nordica o dei Nibelunghi.
Sabato 11 settembre. La mattina si passa per forza all’Asklepeion di Kos, non poteva essere diversamente nell’isola natale di Ippocrate. Il grande santuario si stende su tre livelli, in posizione panoramica davanti al mare; vediamo la Turchia di fronte a noi, col braccio di mare che ci separa da Alicarnasso. Tutto intorno al santuario ci cono boschetti di cipressi. Grandi scalinate di pietra grigia collegano un livello all’altro, in mezzo si trova una fila di bellissime colonne candide, sormontate da capitelli corinzi. Tornando poi in città andiamo ad ammirare altre piazze bianche, di architettura moderna, il mercato coperto, il palazzetto del museo. Contiene dei deliziosi mosaici che raffigurano Ippocrate e Asclepio, e molte statue. Dietro al mercato troviamo una piazza incantevole, ombreggiata da quattro giganteschi ficus benjamina. Sotto i rami di queste specie di sequoie mediterranee troviamo un posto ideale per mangiare Ci sediamo a una lunga tavolata per il pranzo. I camerieri biondi parlano italiano, sono di origine albanese; mangiamo molto bene e serviti alla svelta. È un vero godimento stare all’aria aperta sotto quegli alberi.
Decidiamo di passare il pomeriggio al mare a fare bagni, e ci dirigiamo sulla costa sud dell’isola, verso Kardamena. Troviamo un tratto di spiaggia deserto, ma poco più in là ci sono orrende neo-costruzioni di villaggi turistici. Infine tutti al bar a bere spremute fresche di portokali,vini rosé (non da tutti apprezzati) e altri beveraggi. Sul mare davanti a noi si profilano all’orizzonte alcune isole di difficile identificazione; con Primo ipotizziamo che la più grande, che si vede in lontananza, sia Rodi; ma poi viene constatato sulla carta che non può essere: Rodi sarebbe più a sud-est, nascosta dietro a Cnido. La sera andiamo a mangiare presto, perché anche questa volta si prevede una levataccia alle 5 per l’indomani mattina. Cena in città, da un omino che parla italiano e ci fa un buon prezzo; ottimi i dessert, dolci mielosi, gelati, macedonie e metaxa. Infine tutti a letto presto.
Domenica 12 settembre. Guidiamo i nostri pulmini per l’ultima volta. L’aeroporto di Kos ovviamente è intitolato a Ippocrate (aerolimenas Kω Iπποκράτης). Partiamo in orario, e in 40 minuti arriviamo ad Atene. All’aeroporto, nella lunga attesa del volo per Roma, qualcuno dorme, molti leggono, altri ingurgitano caffè o mangiano al self service. Teresa ci saluta tutti uno a uno, perché lei resta ancora qualche giorno nella sua Atene.
Appendice
Barzelletta di Alberto: Un americano di origine tedesca si chiama Sean Ferguson; ma perché questo nome scozzese? Perché in realtà era un ebreo rifugiato negli Stati Uniti. Gli avevano consigliato di presentarsi con un nome falso, tipicamente inglese, tipo Peter Brown. E così ha cercato di memorizzarlo, ripetendosi continuamente Peter Brown, Peter Brown, Peter Brown… Ma quando l’ufficiale dell’immigrazione gli ha chiesto il nome, si è battuto una mano sulla fronte e gli è scappato detto: schon vergessen!
In albergo ad Atene alle 5 di mattina Cristina assonnata esce di camera in mutande, credendo di aver infilato la porta del bagno e invece è finita nel corridoio. Rientra prontamente, prima che l’uscio si richiuda sbattendola automaticamente fuori di camera in deshabillé.
Scherzi di Marco. Soffre di claustrofobia nel lungo tunnel di Eupalino a Samo. Cammina, cammina nello stretto cunicolo, a un certo punto si finisce contro un cancello chiuso, perché non tutto il condotto è percorribile ai comuni visitatori. Mentre facciamo dietro-front Marco ci raggiunge trafelato dicendo: “Come, non si esce di qua? L’altra entrata ha chiuso alle 11 e mezzo!”
Dopo la dotta conferenza di Primo sulla storia di Samo, si prospetta la possibilità di avere in Turchia una guida che ci accompagni sui luoghi storici. “Macché guida!” esclama Laura “da noi la guida prenderà appunti!”
Le risate argentine di Anna hanno costellato tutta la Periegesi.
Kos: alle 5 di mattina Primo guida nella notte buia verso l’aeroporto. Tutti assonnati; mentre il driver pulisce il parabrezza con lo spruzzo, Concetta apre un occhio e grida: “Ragazzi piove!”
A Concetta la palma degli infortuni. Alla sua prima Periegesi riesce a schiacciarsi gravemente le dita nella micidiale portiera del pulmino, perde gli occhiali da sole in mare, cade ripetutamente, perde il bancomat, smarrisce l’orologio sulla spiaggia, abbandona il portafoglio al ristorante “Policrate” a Samo (dove per fortuna lo ritrova, perché il gestore glielo ha messo da parte), lascia lo zaino sulle gradinate di un teatro romano… Inoltre si è accollata la non lieve responsabilità di tenere la cassa comune dopo Nora.
Anche Cristina si schiaccia un dito nella portiera, ma evita l’amputazione grazie a un anello d’argento che le salva la falange; l’anello viene poi subito tagliato con le tronchesi dall’albergatore turco, così il dito non resta strozzato. Cristina poi perde gli orecchini fra la ghiaia della spiaggia a Samo, ma vengono in seguito ritrovati, uno per volta, anche con l’aiuto di Astrid occhio-di-falco.
Anche Franco a un certo punto ha lasciato il portafoglio a giro, ma qualcuno lo vede e lo raccoglie in tempo.
Molti falsi allarmi: Laura si spaventa perché, dopo molto chilometri, crede di aver lasciato la borsina rossa con tutti i suoi averi sui gradini del teatro romano di Nisa, ma per fortuna è solo caduta sotto il sedile della macchina. Teresa teme di aver perduto il suo bastoncino per camminare, ma viene prontamente rintracciato da qualcuno dei nostri. Nora pensa di aver perduto la gonna nuova sulla spiaggia, ma viene ritrovata poco più in là.
A Cristina la palma delle bugie geniali. Sotto il sole di Samo, davanti al mare blu, mentre siamo alla piscina dell’hotel cullati da una calda brezza, Cristina è raggiunta da una telefonata di lavoro. La sentiamo che grida nel cellulare: “Sono in Norvegia a un convegno!..”
Astrid non ha perso nulla e ha guidato quasi sempre, anche nella notte turca; a lei va il premio “Prudenza & Accortezza” di quest’anno.
Primo ha guidato quasi sempre e non ha fatto incidenti. Inoltre ci legge a voce alta i suoi scritti sui caratteri archetipici, che si rifanno a varie figure mitologiche come Era, Artemide, Atalanta; così passiamo piacevolmente il tempo sulla spiaggia o nelle attese all’aeroporto.
Riccardo non perde mai un attimo di tempo. Nei momenti apparentemente morti, su un traghetto, in spiaggia, in piscina o chissà dove, lui si mette a lavorare al computer, risponde alle mail e fa ricerche. Divora un libro dopo l’altro; e a noi legge a voce alta una divertente raccolta di testi dei Presocratici.
Franco invece, quando gli altri sono tra le onde, si concentra tutto nella lettura di un libro su Pitagora. Astrid, animata dalle migliori intenzioni, si è portata I Presocratici di Emanuele Severino.
Marco, benché distratto, miracolosamente non ha seminato niente in giro; una sera ci fa sentire la sua ultima registrazione su CD in cui suona al pianoforte l’Apprendistastregonedi Paul Dukas, e si legge in silenzio un libro su questo musicista. A voce alta invece dà lettura a noi di alcuni passi del libro Le menzogne di Ulissedi Odifreddi, che suscitano qualche discussione.
Nicoletta non legge nulla perché è pigra e pensa solo alle spiagge e alle nuotate, al massimo a qualche etimologia.
Primo ci racconta la storia romana, e Daniela sa tutto su Ippocrate; a loro vanno gli applausi finali di gratitudine dei Periegeti, come pure a Nora che ha organizzato tutto.
Teresa ci sorprende sempre, come dice giustamente Cristina: prima a Magnesia quando incitò tutti a scavalcare la cancellata, dando lei l’esempio per prima, e infine alla partenza da Atene dove ci deve salutare perché si trattiene ancora qualche giorno in Grecia. Buon divertimento e a presto, Teresa.
[1] La battaglia di Micale (Mykale, Μυκάλη), del 479 a.C., si svolse contemporaneamente alla battaglia di Platea sul continente. La flotta greca coalizzata, comandata dagli spartani, annientò quello che restava della flotta persiana dopo Salamina, e vinsero anche una battaglia terrestre sulle pendici del monte Micale. Il dominio persiano in Ionia finì. Gli avvenimenti ci li racconta, con dovizia di particolari, come al solito il nostro Erodoto (IX, 96-105).
[2] Le gallerie erano state scavate cominciando dalle due estremità. I calcoli erano così precisi che, alla fine, i due fornici ciechi iniziati dai versanti opposti, si sono perfettamente incontrati. Pare che Eupalino abbia usato, con qualche secolo d’anticipo (siamo nel 550 a.C.), i sistemi di calcolo formulati successivamente da Erone di Alessandria.