XIII Periegesi in Magna Grecia – Diario “da Taranto a Siracusa”
Taranto – Metaponto – Sibari – Crotone – Locri –
Reggio Calabria – Siracusa – Catania
5-14 Giugno 2016
I luoghi: Taranto, parco archeologico di Satùro, Metaponto, “Tavole Palatine” Marina di Policoro, Siris, Heracleia, Sibari, Capo Aleo (santuario di Apollo Alaios), Punta Alice, Crotone, l’Heraion di Capo Lacinio, Scolacium, Kaulon, Siderno, Locri Epizefiri, villa di Casignana, Reggio Calabria, Santa Venera al Pozzo (Aci Catena), Siracusa, Catania
Partecipanti: Carlo, Concetta, Cristina, Daniela, Floriana, Giorgio, Isa, Laura, Nora, Primo, Riccardo, Teresa (a Siracusa si aggiungono Emma, Sara, Sandro e Virginia)
Domenica 5 giugno. È il giorno della partenza del XIII° viaggio a Siracusa. Il gruppo si comincia a costituire alla stazione di Campo di Marte a Firenze con l’arrivo di Carlo, ormai alla sua seconda esperienza magnogreca. E deciso a non fermarsi qui. A Bologna aspettiamo Concetta al bar Vyta alla stazione.
Segue un lungo, ma piacevole viaggio, verso Bari amabilmente conversando di temi degni del nostro Periegeta ispiratore. All’inizio parliamo del doppio mito fondativo per molte città della Magna Grecia. In specie dei casi di Taranto e di Metaponto. Ci soffermiamo sul mito di Melanippe. Facciamo una digressione sugli Eoli e sull’ipotesi di Menabò Brea circa la loro trasmigrazione dal Ponto alla Grecia, a Metaponto fino alle Eolie. E di tutto lo sciame mitico connesso. Poi accarezziamo l’idea di un viaggio in barca alle Eolie, ormai presi da una deriva fantastica.
La temperatura sta salendo man mano che ci avviciniamo alla Puglia. Arriviamo puntualissimi a Bari. Ci concediamo una ricca spremuta di arancio allo Spizzico della stazione. Poi saliamo su un simpatico trenino che sembra una littorina. Il viaggio Bari-Taranto ci regala splendidi passaggi sulla campagna pugliese. Carlo si mette a parlare con il macchinista. Grande pulizia nelle varie stazioni in cui ci fermiamo. Fuori: alberi da frutta, olivi, viti, macchie di bianco di paesi raccolti su colline dominanti…
Familiarizziamo col macchinista che è assai colto, esperto di storia e archeologia locale. Ci racconta degli insediamenti basiliani durante il periodo iconoclasta. Ci mostra le varie gravine che attraversiamo col treno. Ci fa stare con lui alla guida. Ci dà indicazioni su dove andare e cosa fare a Taranto. Un gradevole incontro.
Il treno arriva puntuale a Taranto. Ci avviamo a piedi verso l’albergo.
Attraversiamo l’isola sul lungomare, dalla parte del “Mare Grande”. Entriamo nella città vecchia a livello del Duomo dove si sta svolgendo un matrimonio con grande sfarzo di abiti e acconciature. Ovunque sciatteria, palazzi sbrindellati, sudiciume. La città non è cambiata negli ultimi anni. Forse è peggiorata. Segni di ravvedimento operoso (più pulizia, un po’ di cura alle finestre, negozi degni del nome…) si comincia a notarli solo verso la fine di via Duomo, ormai nei pressi del tempio dorico e del ponte girevole.
Anche nella c.d. città moderna (in realtà insiste proprio sulla parte più importante della città greca) il clima non cambia: sudiciume, sciatteria, brutti esercizi commerciali …
Il nostro albergo è ora a due passi, in via Roma, proprio di fronte al Mare Piccolo. L’ingresso è un po’ sciatto, ma le camere sono buone, pulite, ben curate, accessoriate. Il personale di accoglienza è gentile.
Avevamo deciso di andare al ristorante “Ai Gatti Rossi”, ma cortesemente mi rispondono al telefono che è chiuso. Un po’ di indecisione poi optiamo per “Al Cozzaro Nero”, proprio di fonte al canale e al ponte girevole. Ambiente un po’ triste, cibo mediocre, spendiamo anche abbastanza, ma perché prendiamo un vino costoso (un Greco di Tufo di Mastro Berardino). Siamo stanchi e rientriamo subito in albergo.
Lunedì 6 giugno. Colazione modesta, ma accettabile. Nella notte è arrivata anche Nora. Alle 9.30 partiamo con il nostro archeologo Luca, che ci accompagnerà per tutta la giornata, a visitare le emergenze classiche più importanti della Taranto magno greca e romana.
Prima visita al palazzo del governo di epoca fascista di fronte al Mare Grande. Qui vicino c’era l’agorà greca. Riflessioni sulla città greca, il suo sviluppo, la drammatica conquista romana. Lì vicino, sul lungomare c’è la ricostruzione del frontone di un tempio greco.
Ci dirigiamo alla città vecchia dove insisteva l’acropoli di Taras e dove la città si ritirò, già in epoca romana, rimanendovi relegata fino all’inizio del secolo scorso. La città vecchia occupava solo lo spazio dell’acropoli. La penisola fu velocemente trasformata in isola e come tale più facilmente difendibile. Al punto che l’imperatore bizantino Focas (IX sec) la fece allargare verso il mare piccolo per far sì che l’abitato non debordasse altrove.
Visitiamo quello che resta del c.d. “tempio dorico”, che ormai si sa (asserisce Luca) essere un tempio dedicato ad una divinità femminile (Athena o Persefone) e non a Poseidone. Le colonne superstiti devono la sopravvivenza al fatto di essere state assorbite nella chiesa della SS Trinità.
Percorriamo poi la via Duomo. A tratti fatiscente, ma anche con isole di recupero che fanno ben sperare. Nel Duomo si sta officiando un matrimonio.
Luca ci espone la storia del Duomo, della sua dedica a San Cataldo, dopo che qui furono ritrovate le sue spoglie. Ci porta anche a vedere la cappella del santo. Illustra poi la storia recente delle statue di san Cataldo, rubate e poi ricostruite in argento pieno. Da cui è conseguita l’impossibilità a portare la statua in processione, almeno a spalla.
Visitiamo poi, sempre proseguendo la via Duomo, la sede della soprintendenza. Qui vediamo le fondamenta dell’altro tempio greco dell’isola. Su di esse è stata costruita la basilica di San Domenico, in posizione rialzata e dominante. Un tempio di Athena? O di Zeus? All’interno dell’edificio (il convento dei domenicani) visitiamo anche una mostra sui locali ritrovamenti neolitici. Già: perché questa lingua di terra tesa come una corda fra i due mari, fu sede di insediamenti umani che risalgono a ben prima dell’arrivo dei greci!
Passiamo poi a vedere la facciata di San Domenico, imponente e in bello stile gotico. Siamo ormai arrivati al c.d. “Ponte di Pietra”. A questo punto torniamo indietro sul lungomare del Mare Grande. Passiamo in rassegna la lunga palazzata. Ci soffermiamo a parlare del palazzo d’Ayala, della famiglia nobiliare, degli immensi possedimenti, delle fortune dilapidate…
Ripassiamo il ponte girevole e con l’auto dell’archeologo (una piccola Twingo dove stiamo un po’ stipati) andiamo a visitare prima la c.d. “Tomba degli Atleti” e poi la zona sepolcrale di viale Marche. Abbiamo uno spaccato delle necropoli antiche che si estendevano anche dentro le mura urbane. Fatto abbastanza insolito nel mondo greco. Quasi un vezzo tarantino, in vario modo giustificato. Ci vengono mostrate le varie tipologie di tombe. È l’occasione anche per parlare dell’industria dei tombaroli, degli scempi perpetrati, delle condiscendenze incontrate…
Poi ci trasferiamo, sempre sulla Twingo, a Leporano per visitare il parco archeologico di Satùro, dove avvenne il primo insediamento dei greci guidati da Falanto. Almeno secondo il mito. Che però parla anche di un altro mitico insediamento precedente condotto da Taras, sotto la guida di un delfino. Anche qui il doppio mito fondativo. Probabile allusione ad una precedente frequentazione micenea di cui non si era perso il ricordo negli anni della grande migrazione alla fine del c.d. “Medioevo Ellenico”.
Il sito archeologico è gestito da una cooperativa di archeologi con cui collabora anche la nostra guida. L’area interessata comprende un promontorio che si insinua fra le due spiagge di Saturo e Porto Pirrone che, nell’antichità, permettevano l’approdo con tutti i venti. Il luogo fu frequentato fin dal neolitico. Dell’insediamento greco restano sole le “quattro pietre” (in senso letterale) del tempio di Athena. Più rilevanti i resti dei successivi insediamenti romani. In particolare di una villa marittima di epoca imperiale. Si può riconoscere una grande cisterna per la raccolta delle acque. Poi i resti della domus con tanto di atrio porticato con locali contigui, piccole terme, un lungo criptoportico che portava ad altri locali e alle grandi terme, così grandi da far pensare che avessero anche una funzione pubblica e non solo dedicata al dominus e alla sua famiglia. La villa romana è stata devastata dagli insediamenti militari della seconda guerra mondiale di cui restano varie casematte. È solo parzialmente scavata. Sul promontorio sorge una bella torre aragonese, assai vandalizzata e non aperta al pubblico. Il tour è finito e salutiamo il nostro archeologo. Sono ormai le 14.00 passate, nella più buona tradizione periegetica.
Ci trasferiamo alla bella spiaggia del golfo di Saturo, al residence “Il Canneto Beach”. Pranziamo a modico prezzo. Ci sistemiamo su un promontorio prospicente una baia bellissima, proprio dirimpetto al sito archeologico che abbiamo da poco visitato. L’acqua è cristallina e di un blu che vira al turchese. Troppo invitante per non fare il primo bagno della stagione. E poi anche un altro. Seguono una serie di riflessioni sui caratteri divini e umani.
Verso le 17.00 ci avviamo a piedi fino alla fermata dell’autobus per Taranto. Acquistiamo frutta al vicino supermercato: anguria e fichi. Anche questi sono i primi della stagione. Ma perdiamo il tram e il prossimo arriverà fra un’ora. Siamo impazienti di partire e chiamiamo un taxi. Ma anche quello ritarda: aveva detto che sarebbe arrivato in dieci minuti e dopo mezz’ora non si è ancora visto. Passa un tram e lo prendiamo al volo. Il taxi è perso nel traffico, Carlo lo avverte e lo rassicura riguardo al pagamento: si presenterà in albergo per la riscossione prima del nostro ritorno. Ci abbiamo messo quasi tre ore: per 12 km! In compenso abbiamo girato i sobborghi di Taranto in lungo e in largo. Ma non è stata una grande esperienza.
Il ritrovo con tutti i nuovi arrivi è per le 20.30. Il gruppo si è ormai completato con l’arrivo di Teresa e Floriana (da Lecce), di Cristina (da Napoli), di Laura (da Firenze), di Daniela (da Siena), di Giorgio e Isa (da Bari e con la loro auto privata). Siamo in 11 e tali resteremo fino a Reggio Calabria. Qui Laura lascerà il posto a Riccardo. A Siracusa si aggiungeranno anche Emma, Sandro e Virginia, e Sara con il marito.
Il tempo è decisamente cambiato, al bel tempo del pomeriggio è subentrata una pioggia battente. Puntuali partiamo per il ristorante “Mimmo e Matteo”. Una trattoria accettabile dove si mangia abbastanza bene a prezzi non proprio modesti. Qui ci raggiunge anche Eva che domani ci ospiterà nel suo museo. Siamo in dodici, la sala è piena di gente, c’è rumore: la conversazione si frantuma.
Martedì 7 giugno. Alle 9.00 siamo al MarTa (il museo archeologico di Taranto). Ci accompagna un’archeologa generosa e brava (Dott/ssa Damicis), per una visita che si protrae per tre ore. Comprensiva sia della parte già aperta la pubblico (primo piano) che del secondo piano con i reperti del periodo precedente il quarto secolo a.C. L’interesse del materiale e del percorso museale che ci vien proposto è immenso. La visita si conclude a mezzogiorno. Primo invita l’archeologa a Siracusa per il prossimo anno e le regala una copia di Arianna: Dalla vicenda mitica alla sindrome clinica. Per il pranzo ognuno fa quello che crede, come da programma.
L’assicurazione della Citröen Boxer parte alle 15.00, dunque dobbiamo restare in albergo. Il tempo a disposizione ci permette di parlare di Archita e dei miti fondativi delle città greche. Arriviamo a Metaponto che incomincia a rannuvolare. Mentre visitiamo le c.d. “Tavole Palatine” (un tempio di Hera) incomincia piovere: una pioggia battente che in breve diventa un temporale e poi un uragano. Le strade si trasformano in fiumi con anche 20-30 cm d’acqua. Ci fermiamo su un dosso della strada, al riparo (si fa per dire) dal diluvio montante. Appena le cataratte si richiudono ci dirigiamo al museo archeologico. Molto interessante, illustra la ellenizzazione del territorio e i contatti dei greci con le genti italiote. Impossibile visitare l’area archeologica, peraltro molto estesa, sommersa dall’acqua. Peccato non aver potuto visitare compiutamente il tempio di Hera e quello di Apollo, quello di Athena. Quest’ultimo dedicato anche al culto eroico di Epeo che avrebbe qui portato gli strumenti usati per costruire il cavallo di Troia. Almeno così ci dice Giustino, un millennio dopo i fatti…
Ripartiamo per Policoro. Arriviamo a Policoro Lido all’hotel Heracleia, non molto lontano dalla spiaggia. Ceniamo al ristorante “La Francese” al Castello di Policoro. Il ristorante è in una bella struttura: un incrocio fra una masseria ed un castello. Tutto è ben ristrutturato con all’interno molte attività terziarie. L’ambiente è piacevole, l’arredamento del ristorante però vira decisamente al kitsch. Siamo quasi soli e possiamo parlare fra noi assai agevolmente. Mangiamo abbastanza bene ma si spende troppo per quanto consumato. In compenso scopriamo un vino che sarebbe degno di Franco. Il nome è evocativo (Critone), proviene dalla Cantine Librando ed è un Cirò particolare. Decisamente buono. Ci accompagnerà per tutto il viaggio in terra di Calabria.
Mercoledì 8 giugno. Alle 9.00 si parte per il Museo della Siritide. Il bel museo è ordinato in senso cronologico. Grande attenzione al c.d. “pittore di Policoro”, con una importante esibizione di coroplastica. I reperti documentano la città di Siris fondata dagli ioni di Colofone. Il mito vuole che esistesse già un precedente insediamento di profughi troiani che i nuovi arrivati avrebbero tolto di mezzo senza tanti indugi, ma con molta brutalità. Furono ripagati della stessa moneta dalla coalizione achea (Crotone, Sibari e Metaponto) che, un paio di secoli dopo, la distrussero. Seguì un nuovo insediamento coloniale panellenico da Thurii e Taranto che prese il nome di Heracleia, ma questo avvenne oltre un secolo dopo la distruzione di Siris. La nuova città fu costruita più a nord, laddove oggi esiste Policoro. Qui avvenne una delle famose “vittorie di Pirro”, in cui il condottiero greco ebbe a dire: “se continuerò a vincere in questo modo resterò senza soldati”.
Dopo la vista al museo proseguiamo per l’area archeologica appunto della antica Heracleia. Agli scavi dell’acropoli ci fermiamo. È una bella giornata, siamo in un bel posto, fra gli scavi della città antica. È l’occasione giusta per parlare di cose periegetiche. La prenotazione della visita guidata di Casignana diventa il pretesto per parlare delle ville antiche e della loro evoluzione. Più in generale del problema della fine del Mondo Antico.
Ripartiamo a mezzogiorno. Percorriamo la 106 fino a Sibari con, qua e là, bellissimi affacci sul golfo omonimo. Ci spostiamo verso Marina di Sibari per il pranzo. Troviamo sul mare uno stabilimento balneare appena aperto (Bora Bora). Spiaggia attrezzata, mare aperto, ampia zona ristoro, dove ci sistemiamo. Menù immenso, poi ridotto ad una (buona) caponata che vien servita in tutti i modi (diciamo: “in tutte le salse”). Comunque il posto è bello, il mare è pulito, alcuni ne approfittano per un bagno, ripetuto.
Rinfrancati andiamo a visitare il museo archeologico della Sibaritide, che raccoglie trouvailles di tutta la piana del Crati: dal neolitico all’epoca tardo antica. E soprattutto documenta la vita e la morte di tre città che si sono susseguite nello stesso luogo: la achea Sybaris, la panellenica Thurii e la romana Copia. Il museo è in fase di riallestimento. Si stanno costruendo nuove sale, ci si prepara a nuovi usi delle vecchie. Ma intanto si presenta sciatto, non aggiornato, carente sul piano didattico ed illustrativo.
Visitato il museo ci trasferiamo a Capo Aleo, alla ricerca del santuario di Apollo Alaios. Percorriamo una strada stretta che passa in mezzo a tanti paesi dall’edilizia senza regola e dominati da una sensibilità estetica ubiquitaria e ferrea. La ricerca del tempio di Apollo non è facile. Le segnalazioni sono precarie. L’ambiente, naturalmente molto bello, è stato devastato da un’edilizia sconsiderata che continua nella sua opera di devastazione. In un campo recintato e l’erba alta, con indicazioni distrutte, si rintracciano, finalmente, i poveri resti del santuario di Apollo e del culto eroico di Filottete, che qui avrebbe lasciato le frecce e l’arco di Heracle. Quattro pietre che però riescono a parlare il grande linguaggio di cui queste terre sono state testimoni…, ma ora l’hanno dimenticato bene! Scambiamo fra noi rimandi alla tragedia sofoclea e alla grotta di Filottete visitata durante l’VIII° Periegesi in Grecia.
Finita la visita a Filottete ci spostiamo a punta Alice per vedere il mare dove approdavano i greci che andavano al santuario. Una spiaggia di ghiaia, un mare limpido, l’ora che si avvicina la tramonto, fanno dimenticare gli scempi urbani e lo spregio al dio.
Arriviamo a Crotone alle 20.00 passate. Un po’ di difficoltà a trovare l’albergo (“Palazzo Foti”) che è sul lungomare, nella c.d. “zona pedonale”; dove però, a tutte le ore, c’è un traffico degno di un’autostrada dell’esodo. Forse è detta “pedonale” perché i pedoni possono circolare “a loro rischio e pericolo…”. La notte poi si trasformerà nella sede della locale movida che essenzialmente consiste nell’immersione in un flusso di musica tribale sparata a tutto volume. Noi ceneremo ad una trattoria che porta il nome di Archita, il tarantino amico di Platone.
Giovedì 9 giugno. La colazione del Palazzo Foti è buona. A piedi andiamo a visitare il museo archeologico di Crotone. La città, dall’edilizia paurosa, è inserita in un contesto bello: un promontorio sul mare, un fiume, due porti naturali. I greci se ne intendevano! Il museo è molto interessante e ben ordinato. Da solo vale una visita. Raccoglie le emergenze di Kroton e della sua Kora.
Alle 11.00 partiamo per l’Heraion di Capo Lacinio. Visitiamo il tempio di Hera e le strutture connesse. Una troupe televisiva sta girando un servizio. A capo c’è un giornalista che è stato allievo di Teresa che lo passa a salutare. Il direttore (Dott Aversa) del sito archeologico, nota il nostro interesse e si offre di farci da guida. Ci fornisce così vari ragguagli su ciò che vediamo.
Visitiamo la chiesetta della Madonna del Lacinio con l’incementata, nello spiazzo antistante, che è stata oggetto di scandalo anche sui giornali internazionali: le emergenze archeologiche sono state, in un giorno, coperte da una lastra di cemento armato. Quando si vuole le amministrazioni locali sanno essere di una efficienza che i tedeschi se la sognano…! Prendiamo un caffè al bar del luogo. Quindi passiamo a vedere l’antiquarium pensato con un marcato fine didattico, ma che ha anche molto materiale espositivo proveniente dall’area di scavo, peraltro ancora in corso.
Riprendiamo il cammino ormai oltre le 13.00. Attraversiamo Isola Capo Rizzuto: un posto da urlo (di disperazione). Ci fermiamo per mangiare a Le Castella di Capo Rizzuto. Approdiamo al ristorante “Aragonese” che ha una vista mozzafiato sul complesso de “Le Castella”. Che alcuni di noi vanno subito a visitare. Il manufatto aragonese sorge su una penisola appena unita alla terraferma da una sottile lingua di terra. Il mare è pulito. Drammatico l’effetto della colata di cemento sul lembo prospicente di terraferma: edifici che si accavallano, uno più brutto dell’altro, in una corsa al kitsch e al trash che è un tratto distintivo del segno dei tempi (lo “Zeitstiel”) in questa regione. Al ristorante “Aragonese” non si mangia male. I prezzi sono alti.
Ci attende ora un lungo trasferimento fino a Scolacium, la greca Skilletion, ora Roccelletta di Borgia. La città romana fu di notevole importanza. Dette i natali a Cassiodoro. Conserva un bellissimo teatro che guarda il mare, i resti del foro, una villa romana di epoca imperiale. Accanto ci sono i resti di una imponente basilica romanico normanna che sono ben visibili da ogni parte. Da questo manufatto il nome (Roccelletta) del luogo.
Il museo è chiuso, ma questo lo sapevamo. L’area archeologica insiste su un grande parco di olivi centenari, in uno scenario di grande bellezza. Olivi e poi tanti gelsi, che in questo periodo danno i dolci frutti di cui approfittiamo. Abbondantemente.
Ripartiamo per Kaulon. Vi arriviamo che sono ormai le 19.00. Il museo è chiuso per opere di ammodernamento con tanto di cartello che informa di come i lavori si concluderanno nel Novembre 2015. Peccato non poter vedere il mosaico con il famoso “drago di Kaulon”. È tardi e decidiamo di soprassedere alla visita dell’area archeologica che è lì vicino, proprio sul mare. Oggi abbiamo visto tante cose e ci siamo soffermati a lungo al santuario di Hera Lacinia. Ma ne valeva la pena. Resta il rammarico per aver dovuto sacrificare Kaulon.
Alle 20.00 siamo a Siderno. Un po’ di difficoltà a trovare l’albergo (Hotel President) sul litorale e sulla statale 106. L’albergo è una grossa struttura, molto triste, in cui si sta svolgendo una festa con musica sparata a palla. Sempre la solita musica ritmata, da festa tribale. Il volume è altissimo. La cosa si protrarrà fino a notte inoltrata.
Dopo una veloce sistemazione partiamo per Siderno alla ricerca di un ristorante. Una simpatica gelataia dal nome evocativo di rimandi (Dafne) ci indica un posto sul mare (Manhattan) che è un ritrovo dei giovani locali: con la solita musica ritmata e sparata a palla. Ci sistemiamo sulla terrazza. Il servizio e veloce, il cibo è ottimo, come non mai in questo viaggio. Anche il conto è buono. Viene in mente l’accorata conversazione fra Cadmo e Tiresia nella chiusa delle Baccanti.
Venerdì 10 giugno. Colazione, assai modesta. Alle 9.00 partiamo per Locri Epizefiri, dove siamo già stati, almeno molti noi, nel 2005, nell’unico viaggio periegetico svoltosi in Primavera. L’area archeologica è immensa e ricco è anche l’antiquarium. La signora della biglietteria ci indirizza sui locali delle Terme: al casino Macrì. Un custode ci fa la visita guidata. È abbastanza bravo. Poi a Centocamere dove mi lascio andare ad una elucubrazione sul culto di Afrodite degna di Riccardo. Poi al museo. Ma intanto siamo stanchi. Veloce visita al tempio di Demetra Tesmophoria, a quello di Zeus Saettante, al tempio dorico. Poi al teatro.
Ripartiamo alla ricerca di un ristorante dove poter fare anche un po’ di siesta. Ci fermiamo a Bovalino Marina, al ristorante “La Rotonda”, sul mare. Sì: proprio come nella canzone di Fred Bongusto Bel posto, si mangia anche abbastanza bene. La situazione è di grande relax. Davanti a noi abbiamo a perdita d’occhio lo Jonio. Siamo non molto lontani dalla zona i cui furono trovati i bronzi poi detti “di Riace”.
Ripartiamo per la villa di Casignana. Arriviamo prima del tempo stabilito (ore 16.00). Sopraggiunge anche il sig. Romeo, la guida prenotata. Supponente, ma preparato. Impressionante quanto scavato della villa. Niente che fare con la Villa del Casale, che che ne voglia dire il nostro accompagnatore, ma comunque notevole. Romeo ci mette in mostra i colori dei mosaici con spruzzature di acqua comportandosi come se fosse il padrone degli scavi.
Si riparte per Reggio Calabria. La strada è lunga e noiosa. Guida Carlo con grande perizia. Arrivati in città troviamo molto traffico e abbiamo un po’ di difficoltà ad arrivare all’albergo. Carlo però è ormai diventato un nocchiero esperto e riesce a parcheggiare proprio sulla porta dell’hotel. Qui troviamo Riccardo: proprio sull’uscio. L’albergo è assai modesto. C’eravamo già stati dieci anni fa, sempre in una delle nostre spedizioni in Magna Grecia. L’albergo era già allora un po’ da rimodernare. Nel frattempo niente è stato fatto e dunque possiamo capire lo stato in cui si trova.
Il gruppo accoglie la proposta di andare al ristorante panoramico (“Galà”) dell’albergo di fronte: l’Excelsior. Bel posto, con ampia vista sullo stretto e sui viali a mare di Reggio. Servizio lento, silenzio, si mangia bene, si spende il giusto. Non ci scappa però la conversazione simposiale che pur il luogo avrebbe permesso.
Sabato 11 giugno. La colazione è penosa, ma il cameriere cerca di fare del suo meglio. Alle 9.00 siamo tutti allo splendido rinnovato Museo Archeologico di Reggio Calabria. Interessantissimo il nuovo allestimento, meglio disposto rispetto al precedente visto dieci anni fa. Anche se, a dire il vero, qualche perplessità non va sottaciuta. Ad esempio si passa da spiegazioni quasi didascaliche, all’assenza di ogni riferimento esplicativo. Come se il museo fosse pensato o per esperti professionali o per un pubblico profano. I bronzi poi sono dotati di un accesso sequenziato, che magari dà ancor più l’aria di feticcio sacrale, ma che risulta un po’ farraginoso e in fondo eccessivo. Il museo è disposto su 4 piani. Al terreno ci sono i bronzi con anche reperti che rimandano alla storia di Reggio: dalla Rhegion greca alla Regium Augusti romana. Il secondo piano è dedicato alle popolazioni pregreche della Calabria. Interessantissima la documentazione sulle fasi preistoriche, paleolitiche in particolare. Toccante la tomba matrimoniale di una coppia di Neanderthal: lei quindicenne, ma già con due parti alle spalle, lui inumato più tardi, più anziano, ma non oltre i venti. Lui alto 1,20 cm, lei un po’ meno di un metro. Di grande interesse anche l’attenzione alle popolazioni pregreche (Brettii e Lucani) e ai loro insediamenti. Il primo piano è invece dedicato alle varie città greche della Calabria. In particolare a Locri Epizefiri da cui proviene tanto materiale e tanti bellissimi “pinakes”. Nell’ammezzato ci sono esposizioni per aree tematiche: il santuario, i riti di inumazione, la vita domestica… Sempre con attenzione alla città greca di Reghion. Il sotto suolo è dedicato a mostre temporanee. Ora alle truvailles marine.
Durante il percorso incontriamo anche Oreste. Non sapevamo che, nelle sue peregrinazioni, il mito prevedesse anche un passaggio per Rhegion. Qui avrebbe portato l’agalma di Artemide trafugato in Tauride. (Ma non doveva portarlo a Brauron?). Comunque, il mito, nella versione reggina, prevede che sia approdato qui, nel santuario extraurbano di Artemide dove secondo Tucidide avrebbero soggiornato anche le truppe ateniesi dirette a Siracusa (415 a.C.). Anche a Reghion, dopo avere depositato il simulacro, Oreste sarebbe stato liberato dalla follia. Tutta la Hellade è piena di luoghi in cui Oreste si libera (viene liberato) della follia.
L’Artemide reggina sarebbe detta “Phakelitis” (=dei fasci) perché Oreste, per trafugarla, l’avrebbe avvolta in fasci di legna. Forse allusione alle verghe con cui avveniva la flagellazione nel corso di sacrifici violentissimi dedicati alla dea. Un po’ come con l’Artemide Orthia di Sparta. Una bella visita che dura oltre tre ore.
Ci ritroviamo in hotel per riprendere le valigie. Laura se ne è già andata dopo la prima colazione. Ora se ne vanno Giorgio e Isa. Quasi alle 13.00 partiamo anche noi. Ci impantaniamo nella vecchia litoranea e ne riusciamo a scappare con difficoltà. Attraversiamo lo stretto e velocemente percorriamo la costa ionica fino alla costa dei Ciclopi. Ci stiamo dirigendo a Santa Venera al Pozzo che diventerà un vero puntiglio, prima per Primo, poi, quando Primo avrebbe buttato la spugna, per il resto del gruppo. Il sito termale insiste nel comune di Aci Catena, ma qui, diversamente da quello che mi aspettavo, non c’è uscita autostradale. Torniamo dunque indietro fino ad Aci Reale, seguendo il navigatore di Riccardo che ci porta a Santa Venera, ma … all’Ospedale Civile. Per l’esattezza al Pronto Soccorso.
Sono ormai oltre le 15.00. Ci fermiamo a un bar vicino per rifocillarci. Lo facciamo in grande stile. Ripartiamo alle 17.00, determinati a raggiungere Santa Venera. Ora seguiamo il navigatore di Concetta che ci porta a … un mercato del pesce. Stiamo per desistere quando arriviamo al sito. Quasi non segnalato. Custodito, si fa per dire, da due guardiani. Uno dei quali si improvvisa guida, volenterosa, ma quanto mai inadeguata. Ovunque erbacce, transenne, abbandono. Soldi pubblici sono stati spesi per costruire un enorme teatro all’aria aperta, poi anch’esso abbandonato. Intorno c’è una natura rigogliosa e una terra fertilissima. C’è anche un antiquarium che espone le cose trovate negli scavi. Modesto l’apparato didattico. Quello esterno all’antiquarium, nell’area archeologica vera e propria, è stato addirittura vandalizzato e mai riparato.
Eppure il sito sarebbe di grande interesse. Siamo di fronte a una risorgenza termale già usata a scopi terapeutici dai greci, poi dai romani e sfruttate fino all’epoca bizantina. Dai tempi preistorici sede di un culto di una Grande Madre, che poi i greci chiamarono Galatea (la dea bianca), identificata con Afrodite, poi Venere, poi, con la nuova religione, con Santa Venera che sarebbe stata martirizzata in loco e poi gettata nel pozzo da cui provengono le acque medicamentose. Dunque sede di un culto ininterrotto che dura tutt’oggi, luogo anche di attività terapeutiche (ora trasferito nel locale ospedale dove ci ha condotto il navigatore di Riccardo). Qui era anche la statio romana di “Acium”, riportata nell’Itinerarium Antonini.
Siamo stanchi. Riguadagnare l’autostrada diventa difficile, facciamo molti errori. Nel frattempo Riccardo ci espone le sue teorie sui Nuraghi e sui riti di incubazione “protofenici”.
Arriviamo a Siracusa che sono quasi le 20.00. Ognuno ha fretta di andare al proprio hotel e sceglie di passare autonomamente la serata e il giorno seguente.
Cena da Seby’s con Carlo e Concetta. Si mangia bene e si spende poco. Si sta bene: poco rumore, buon servizio. Finiamo la serata con piacere ed in allegria. Nonostante la stanchezza e la separazione un po’ traumatica dal resto del gruppo con cui abbiamo condiviso un lungo viaggio denso di fatti e di vita comune.
Domenica 12 giugno. Alle 8.00 siamo a colazione al Domus Mariae Benessere, ma è assai più misera che l’anno scorso. Partiamo con calma. Proviamo a visitare la vicina San Pietro Intramoenia, che però è chiusa, trasformata in Auditorium. Dovrebbe essere bello ascoltarvi della musica strumentale, magari sacra. Poi passiamo dal mercato. Quindi a prendere Concetta al suo B&B.
Davanti al tempio di Apollo c’è un chiassosissimo ritrovo di auto Fiat Cinquecento (le vecchie e le nuove). Andiamo piacevolmente a piedi al Museo Orsi, sempre affascinante e denso di scoperte, nonostante le ormai molte visite effettuate. Cerchiamo il frammento vascolare che fa riferimento alla Medea di Neofrone che tanto ha fatto scrivere i cultori della materia. Visitiamo con accuratezza solo il settore B. Un museo come questo meriterebbe una serie di visite parziali, per molti giorni. Pranziamo alla pasticceria Marciante che sta per chiudere: è domenica. Poi in albergo per una piccola siesta.
Alle 17.30 partiamo per il teatro greco con Carlo e Concetta. Quest’anno facciamo l’esperienza del settore F. È Nora che l’ha caldeggiato e, devo dire, è stata di buon naso. Si vede bene, la prima fila non ha nessuno davanti e si spende meno. Stasera viene rappresentata l’ “Elettra” di Sofocle, con la deludente regia di Gabriele Lavia. È comunque molto brava la Maddalena Crippa che qui fa Clitemnestra. Orribili le scene. L’opera, tagliata spietatamente, dura sì e no settanta minuti: quasi un “digest”. La cena è da Seby’s.
Lunedì 13 giugno. Anche quest’anno Riccardo è riuscito a organizzare un piccolo convegno nei locali dell’INDA (programma in basso). È il terzo anno consecutivo e l’iniziativa sta diventando una consuetudine.
Ci ritroviamo alla spicciolata verso le 9.30. Il convegno ha per titolo “Il Complesso di Elettra e di Edipo. Un Doppio Asimmetrico”. Naturalmente il punto di partenza è proprio il dramma di Sofocle.
Inizia Daniela, brava e con molte suggestioni. Tutto l’intervento è tessuto in uno stretto rimando ai testi, a cominciare da quello, perduto, di Stesicoro. Riccardo mette a fuoco la multisemanticità di Elettra e lo stretto rimando a Edipo. Dopo una breve interruzione è il momento dell’intervento di Primo. È tutto centrato sulla sfida verso la identificazione – separazione che coinvolge ciascuno di noi e di cui “la via di Elettra” può essere vista come una drammatica radicalizzazione. Segue Sara che parla delle varie Elettre cui ha dato corpo l’immaginario letterario. Poi è il turno di Santi Laganà. Si finisce verso le 13.30, praticamente senza discussione.
Ci ritroviamo, come al solito, alle 17.30 al tempio di Apollo per poi procedere a piedi fino al teatro greco. Ma sono solo Primo, Carlo, Concetta e Floriana. Parliamo dello spettacolo di ieri e di quello di stasera, della trama, dei rimandi, del tema della morte in Euripide…
Lo spettacolo di stasera (“Alcesti”) è bellissimo: preciso, puntuale il riscontro testuale. E il testo viene fatto parlare così da poter esprimere tutta la complessità che è propria di Euripide. Che non ha bisogno di particolari “attualizzazioni” e tanto meno ardite interpretazioni e letture. Bravo il regista (Cesare Lievi). Tutti bravi anche gli attori: Galatea Ranzi (Alcesti), una presenza costante al teatro greco di Siracusa. La scenografia è essenziale, potrebbe anche andare meglio. Dunque proprio un bello spettacolo. Eppure era tutto incominciato con un fuori testo: un funerale con tanto di banda funebre che mi facevano pensare al peggio. Lo spettacolo di stasera è fra le rappresentazioni più riuscite fra quante viste in questi anni a Siracusa. E, più in generale, fra quelle di teatro antico: “Medea” e “Edipo Re” del 2004; “Antigone” e I” sette contro Tebe” del 2005; “Le Baccanti” viste a Padova, “Le Troiane” di Modena e giusto l’”Alcesti” di questa sera.
Martedì 14 giugno. Partiamo in taxi per l’aeroporto di Catania. Riccardo si fa notare anche questa volta, ma per la puntualità. Non sembra quasi vero: noi siamo in anticipo e lui è lì che ci aspetta sul ponte di Ortigia. Vengono in mente le parole di Euripide di ieri sera:
“Molte sono le forme del divino; molte cose gli dei compiono contro le nostre speranze; e quello che si aspettava non si verificò, a quello che non ci si aspettava diede compimento il dio” (versi 1159-1162).
Tutto bene in aeroporto dove troviamo Cristina e Daniela che sono rimaste beffate dalla Vueling (ritardo di tre ore; Primo e Carlo si guardiamo perplessi pensando: “va bene se finisce qui”). Salutiamo Concetta che si trattiene in Sicilia. Perdiamo Riccardo che segue sue traiettorie. Volo regolare e in orario. Il viaggio si conclude a Pisa.
È stato proprio un bel viaggio con la sensazione di un tempo lungo e denso, con un’immensità di cose viste e di esperienze vissute.
Appendice
Il Centro Studi di Terapia della Gestalt
Con il patrocinio di:
Centro “Antropologia e Mondo Antico” del Dipartimento di Filologia e Critica delle
Letterature Antiche e Moderne dell’Università di Siena
Istituto Nazionale del Dramma Antico (INDA)
Federazione italiana delle associazioni di psicoterapia
Promuove una Giornata di studi su
Il complesso di Elettra e di Edipo: un doppio asimmetrico
Siracusa, 13 giugno 2016 – ore 9.30–13.30
Sede dell’INDA – Corso Matteotti 29
Una delle critiche fatte al Padre della Psicanalisi è di aver costruito una metapsicologia al maschile. Sappiamo tutto, o comunque molto, del “complesso” di Edipo (invocato per ben 265 volte negli scritti di Freud) che si rispecchia nella sentenza oracolare “ucciderai tuo padre e ti unirai a tua madre” ma non altrettanto su cosa avviene nella psicologia femminile. Anche alle donne potrebbe attribuirsi quindi, invertito, il monito di Giocasta (dall’Edipo tiranno di Sofocle) “chi dei mortali non si è unito in sogno alla propria madre?”. E quale spazio riconoscere al gioco di potere nella relazione triadica sottolineato nella critica alla concezione freudiana fatta da J.-P Vernant nel suo “Oedipe sans complexe”?
L’indagine clinica in psicoeterapia fa emergere spesso, in effetti, sentimenti “matricidi” o comunque di forte conflittualità competitiva tra figlia e madre, come pure “affinità elettive” molto intense con la figura paterna che evocano una collocazine definita da Racamier come “incestuale” se pure non francamente incestuosa.
Resta tuttavia un dato di realtà che distingue sostanzialmente le due “costellazioni” relazionali rendendole di fatto “asimmetriche”: tutti noi, a prescindere dal “genere” di appartenenza, nasciamo dal ventre di una madre che, abitualmente, si prende cura di noi nei primi anni della nostra venuta al mondo. I due “racconti mitici” non possono quindi essere riproposti con una semplicistica specularità, ma vanno profondamente rivisitati alla luce di questo elemento che si riferisce alla dimensione “pre-edipica” e che fatalmente si ripercuote nelle successive fasi evolutive.
Nel caso di Elettra, intervengono anche altri fattori che si compongono a renderne incredibilmente complessa la fisionomia personologica collegata alla vicenda mitica, come la relazione con il fratello Oreste, con la sorella Ifigenia (sacrificata dal padre) e con lo stesso padre Agamennone che viene ucciso dalla madre. Su questa complessa tematica intrecceranno le loro considerazioni alcuni cultori della materia, sia sotto il profilo antichistico, che psicologico e letterario, come dal programma che segue.
Programma:
Riccardo Zerbetto (Direttore, Centro Studi di Terapia della Gestalt): Edipo ed Elettra: un doppio asimmetrico dalla vicenda mitica alla identità di genere
Primo Lorenzi (Psichiatra e docente a contratto presso l’Università di Firenze): Di madre in figlia. La via di Elettra
Daniela Fausti (Docente di Letteratura greca, Università di Siena): L’Elettra in Eschilo, Sofocle ed Euripide
Concetta Stornante (Psichiatra): Fratria e indissolubilità del legame di sangue
Sara Bergomi (Trainer in Gestalt couseling): Altre Elettre, da Yourcenar a Simone Weil
Santi Laganà: Intervento