XV PERIEGESI – Diario Tracia – Sofia-Salonicco
La religione dei misteri 1a. tappa: “In Tracia sulle tracce di Orfeo”
1-11 Settembre 2015
I luoghi: Sofia, Boyana (San Nicola e Pandemione), Santuario di Starosel, Plovdiv, Perperikon, Kardhzali, Tatul, villa romana di Armira, tomba trace di Nevko, Svilengrad, Alexandroupoli
Samotracia: Santuario dei Grandi Dei, spiaggia di Pahia Ammos
Alexandroupoli, all’area archeologica di Zone, Abdera, Komotini, Thassos
Thassos: Limena, Golden Beach (spiaggia di Krysos Ammos), spiagge di Aliki e sito archeologico
Kavala, Amphipoli, Salonicco
Partecipanti: Alberto, Angela, Cesare, Concetta, Cristina, Daniela, Franco, Giorgio, Isa, Laura, Nora, Pietro, Primo, Riccardo, Sandro, Teresa, Virginia.
Martedì 1 settembre. Partendo dall’aeroporto di Bologna voliamo tranquilli sorvolando l’Appennino, la laguna veneta, l’Istria, il golfo del Carnaro, Fiume, le Alpi Dinariche. Atterriamo a Sofia, al vecchio aeroporto. Qui ci aspetta Dimcho, responsabile dell’agenzia che ha fornito il pulmino. È un signore anziano, disponibile, con una gran voglia di darci delle informazioni.
È abbastanza presto. Ci sistemiamo nel bar degli arrivi con musica rap sparata a palla. Sarà una caratteristica di tutti i locali bulgari che andremo a frequentare. Cambierà il tipo di musica, ma il fenomeno sarà capillare e noiosissimo. Fino al culmine dell’ultima sera a Svilengrad, ma non andiamo troppo avanti.
Arriva Gioro, l’autista, un giovane bulgaro dal bel sorriso. Efficiente, riservato, simpatico. Con lui e col nostro bus ci dirigiamo verso il nuovo aeroporto che presto soppianterà completamente il vecchio in cui siamo arrivati. Arrivano tutti gli altri, che hanno fatto un buon viaggio partendo da Roma. In pullman procediamo con le presentazioni. In particolare dei nuovi periegeti: Angela la conosciamo già, poi ci sono Pietro e Cesare, due amici di Nora di Taranto. Tutti e tre mostrano grande rispetto e si inseriranno benissimo. Dopo le presentazioni passiamo ad illustrare i programmi di massima.
Il nostro albergo è in centro e lo raggiungiamo attraversando tutta la città, molto trafficata. Il paesaggio urbano si presenta subito con i suoi tre strati di senso (storico architettonico pratico) che ritroveremo un po’ dappertutto. Ci sono prima di tutto le tracce disastrate del passato socialista: sono manufatti per lo più nati già brutti e squallidi. Ora sono anche abbandonati e spesso semidiroccati. Si tratta di fabbriche abbandonate, di complessi per la vita pubblica che ora hanno perso il senso per cui sono state costruite: il palazzo del partito, del sindacato, del segretario del partito… Alcune di queste vecchie strutture sono ancora vive, ma mostrano i segni del tempo. Ad esempio sono case popolari ancora abitate, ma non restaurate. O restaurate a pezzi. Il tutto a dare l’immagine di uno scalcinìo, di un diffuso squallore, di una povertà indecorosa. Poi ci sono le cose venute fuori dal nuovo corso: i negozi, gli alberghi, le vie commerciali. Le scritte sono in inglese, lo stile non è diverso da qualsiasi altra città europea. Si avverte che qui scorre la nuova vita, che presto colonizzerà tutto il vecchio e lo riassorbirà nel nuovo ordine. Certo che lo stacco è forte. Sembra quasi sia passata una guerra. O che un popolo nuovo stia sostituendo il vecchio. Anche se, in verità, in questi ultimi venticinque anni gli abitanti della Bulgaria si sono ridotti di due milioni. Portati via dalla voragine migratoria.
Infine arriviamo al nostro albergo che ci immette proprio in questa terza realtà, di cui sopra parlavamo. È un Best Western: “Best Western Premier Thracia” (oggi Rosslyn Thracia Hotel Sofia). L’effetto è subito buono. Il portiere si ostina a registrare i passaporti uno per uno. Con lungo dispendio di tempo, evitabile solo con l’uso di una fotocopiatrice. Abbiamo un po’ di tempo per sistemarci. Si cena al Moma, ristorante contiguo all’albergo. Accettabile. I cibi sono buoni, ma il servizio lento.
Mercoledì 2 settembre. Colazione accettabile. Ci incamminiamo verso il centro e visitiamo la Rotonda di San Giorgio, con le attigue emergenze di una casa romana. Il complesso è letteralmente circondato da un grandioso manufatto edilizio che ospita vari ministeri soffocando i resti antichi. Eppure la Rotonda di San Giorgio è una delle più vecchie chiese del continente, nella città allora chiamata Serdica e molto amata da Costantino che non esitava a indicarla come “la mia Roma”.
Visitiamo anche la vicina basilica di Santa Sofia con i suoi sotterranei. Qui si svolse il concilio di Serdica nel 341. Per l’accesso ai musei chiedono la moneta locale: il Leva, che vale circa 50 centesimi. Si procede dunque al cambio. Lo fa l’ottima Concetta con l’aiuto di Alberto che, con il suo russo, è (e sarà) spesso provvidenziale.
Il museo archeologico è molto ricco e interessante. Documenta il procedere della storia umana nella zona. Si comincia con la parte preistorica: l’Alto Paleolitico (fino a 300.000 anni a.C.); Paleolitico medio fino a 40.000; Tardo Paleolitico fino al 10.000. Poi la rivoluzione neolitica. Eneolitico dall’inizio del V millennio a.C. con la comparsa dei primi metalli e delle prime terrecotte. Segue poi l’Età del bronzo da 3° al 1° millennio a.C. Ci sono poi i ricchi reperti che provengono dalle tombe dell’età del ferro. Quanto di più impressionante per fasto e ricchezza di suppellettili preziose. Il pensiero va subito alle tombe dei re macedoni, visitate durante la VII° Periegesi, che ne devono senz’altro aver subito l’influsso. Il nostro percorso non contempla il passaggio nella così detta “Valle dei Re” che è il luogo a più alto rinvenimento di questo tipo di manufatti. Avremo un’idea del fasto, della ricchezza, della finezza e della potenza dei re degli Odrisi dai reperti e dalle ricostruzioni presenti in molti musei che visiteremo. Ne avremo un saggio diretto solo con la visita alla tomba di Mezek, quando saremo ormai vicini al confine greco.
Intanto le esposizioni del museo continuano con i reperti medioevali. Nella sala centrale della chiesa che accoglie il museo ci sono i reperti classici: dal regno degli Odrisi fino alla fine del mondo antico. Un gran bel museo, dove sarebbe piacevole anche tornare.
Ci spostiamo alla cattedrale A. Newsky. L’edificio religioso, pur recente, è diventato un po’ il simbolo di Sofia. Ha una strana rassomiglianza con le Sacre Coeur sulla collina di Montmartre. L’interno, grandioso, è tutto annerito dal fumo delle candele. Di seguito passiamo a visitare il museo delle icone. Che raccoglie immagini sacre che vanno dal XIII° al XIX° secolo.
Ci dirigiamo per le vie del centro e ci sparpagliamo. Alcuni approdano al ristorante “Felicità” che si trova sulla via Seleza, altri trovano ospitalità in un grazioso hotel con servizio all’aperto, molto elegante e curato. Scopriamo anche la birra bulgara Kamenitza. Buona e “luppolosa”. Ormai è pomeriggio inoltrato, qualcuno torna in albergo a riposare, altri passeggiano per la città.
Alle 18.30 c’è il ritrovo promosso da Riccardo, che si fa al ristorante di fronte (il Moma di cui siamo già stati ospiti ieri sera). Ci hanno riservato una stanza, con tavoli già apparecchiati e vivande esposte. Riccardo introduce il tema del convegno itinerante “Meditando su Orfeo e il mito del poeta lungo il fiume Ebro” (una serie di contributi itineranti sulla figura di Orfeo e sul suo inserimento nell’ambito dei riti misterici) (programma in basso). Segue l’intervento di Daniela preciso, con puntuali riferimenti ai testi antichi. E quindi una breve discussione.
Si cena con quello che c’è in tavola, molto abbondante. Si mangia a quattro palmenti e si beve abbondantemente una delle buone birre bulgare.
Giovedì 3 settembre. Andiamo subito in pullman al Museo Storico Nazionale alla periferia nord della città, in quella che era stata la residenza extraurbana del segretario del Partito Comunista bulgaro. Il museo ha cose molto interessanti, ma un po’ dispersivo, senza apparati didattici. Risente anche di uno spazio museale che non è nato con questo scopo. Il risultato è uno strano ibrido che è a metà tra museo archeologico, storico, del costume: un insieme di reperti, più che un museo modernamente inteso. Alcuni dei reperti sono però eccezionali, in particolare quelli provenienti da varie tombe tracie, con i loro ori di eccellente fattura delle oreficerie di Lampsaco, la città greca di Priapo.
Poi l’autista ci convince a visitare la piccola chiesa di Boyana (San Nicola e Pandemione). Tutta affrescata, con pitture di buona fattura e abbastanza ben conservate dove entriamo a piccoli gruppi.
Poi ci dirigiamo verso Starosel. Lungo viaggio di trasferimento ci fermiamo a un Mac Donald per uno spuntino. Avevamo tentato anche un ristorante italiano lì contiguo, ma ci dicono apertamente che non sono preparati a portarci un’insalata velocemente. Il Santuario di Starosel si rivela di grande interesse. Gli scavi sono ancora in corso. La struttura consiste in un grande tumulo delimitato da possenti mura di contenimento. Dentro il tumulo una scalinata permette l’accesso ad un dromos e da qui ad una struttura circolare con copertura a tolos. La funzione sembra essere decisamente cultuale. Probabilmente per riti iniziatici di tipo orfico dionisiaco. In cima al tumulo, sopra il tolos della volta, avvenivano sacrifici che portavano all’aspersione del sangue della vittima sugli iniziandi riuniti alla base del vano ipogeo. Forse su quella stessa panca su cui noi ci sediamo per un intenso conciliabolo sui riti misterici.
Dall’altro lato del tumulo è presente un ampio bacino lustrale che sembra destinato alla raccolta del vino (o dell’uva) da usarsi a scopo cultuale. Forse l’aspersione degli iniziati poteva avvenire sia col sangue della vittima, sia con il vino sacro di questo bacino.
Tutt’intorno abbiamo un paesaggio di intensa bellezza, con boschi di querce ovunque e, qua e là, laghetti artificiali che devono aver potenziato e allargato bacini naturali. Nella zona stanno riemergendo strutture cultuali, templari, tombali con una densità veramente insolita. Sulla cima del monte vicino è stata, ad esempio, rilevata la presenza di un santuario, sembra dedicato alla coppia olimpica. Almeno da quando la zona fu sotto domino greco. Ne abbiamo visto alcuni reperti a Sofia al Museo Storico Nazionale.
Ripartiamo dunque alla volta di Plovdiv, l’antica Filippopoli macedone e, prima ancora, la tracia Eumolpos. Sotto la dominazione romana Filippopoli cambiò il suo nome in Trimontium. Ricordiamo che gli Eumolpi erano uno delle famiglie a cui era riservato il compito di sacerdoti dei misteri eleusini. Un sottile fiume carsico lega alla Tracia molti dei riti misterici della Grecia.
L’Hotel Ramada Trimontium è nel centro della cittadina, la seconda della Bulgaria. È un bell’albergo con piscina. Nora anche stavolta è stata molto accorta. Dopo la sistemazione partiamo per un giro nella città antica. Attraversiamo le rovine del Foro romano che sono proprio di fronte all’albergo. Vediamo lo rovine dell’Odeon. Quindi lo Stadium, parzialmente evidenziato, con le rovine che emergono fra palazzi moderni di bella fattura. La piacevolezza architettonica ha meritato a Plovdiv l’appellativo di “Firenze dei Balcani”. A giustificare l’aforisma che “in un esercito di ciechi un orbo ha un’ottima vista”.
Oltre il viale, con la sua palazzata ove si svolge lo struscio della sera, è la moschea restaurata. A quest’ora è chiusa.
La zona è pedonalizzata con buoni negozi. I bei palazzetti ottocenteschi sono interrotti, qua e là, da inserimenti di strutture del socialismo reale. L’ambiente ricorda un po’ l’Arbat moscovita. La città dà l’idea di un tenore di vita e di un livello turistico e culturale superiore a quello di Sofia.
Saliamo dunque sulla collina, là dove era situata la città antica. Almeno una delle tre colline (la prima e la più importante) che gli valsero il nome romano di “Trimontium”. Non possiamo visitare il teatro perché è in corso uno spettacolo. Ci sono varie strutture antiche: una madrasa, la casa abitata da La Fontaine… C’è poi un vecchio monastero ora adibito a esposizione di arte popolare con annesso ristorante dove Riccardo vorrebbe fermarsi. Alla fine optiamo per il ristorante “Philippopolis” con tavoli all’aperto su un grande terrazzo. Accettabile, ma niente di che: né come cibi, né come servizio. Immancabile la musica che qui è fatta dalla koinè pop occidentale.
Venerdì 4 settembre. Dopo una buona colazione (la più ricca fra gli alberghi in cui alloggeremo per tutto il viaggio) si caricano i bagagli sul pulmino, poi andiamo a piedi fino al museo archeologico. Lungo il percorso visitiamo la moschea che avevamo visto ieri sera, dietro la grande curva dello stadio romano, quindi il museo archeologico. Anche qui molti reperti, fra cui spicca un bel corredo aureo, lavorato a Lampsaco, come quello che abbiamo visto ieri al museo storico d Sofia. Il museo è modesto come volume, ma molto ben curato.
Quindi partiamo per il santuario di Perperikon. Nora vorrebbe fermarsi lungo la strada per visitare un Tempio delle Ninfe e Afrodite che è vicino a Haskovo. Ma il tempo stringe e si preferisce andare avanti.
Giungiamo a Perperikon che ormai sono le 14.00. Non ci sono luoghi di ristoro nei dintorni e decidiamo di saltare il pasto. Sotto il sole ci inerpichiamo sulla montagna che accoglie quello che viene considerato il santuario di Dioniso trace per eccellenza. Si sale per un sentiero ben tenuto e ben segnalato per arrivare, in breve, sulla sommità dell’altura. Qui sono riconoscibili tracce di frequentazione cultuale che partono dal VI° millennio a.C. e arrivano fino alla distruzione turca che fa precipitare il sacrario nel completo oblio. Fino alla riscoperta archeologica che data al secolo scorso.
Arrivati alla cittadella sommitale troviamo un posto al fresco laddove si stanno ancora svolgendo gli scavi. Ci sono delle sedie, c’è un’amaca, c’è dell’ombra. Primo inizia a raccontare una ricostruzione mitica della vicenda di Orfeo che ottiene l’attenzione del gruppo. Nel ben mentre sopraggiunge Teresa che, con il suo passo, è salita fino in cima, superando scale, pietre, salite… Uno spirito veramente encomiabile. Ammirazione di tutti, applausi…
Sopraggiunge anche un custode degli scavi che vuole venderci delle pietre. Riccardo ne compra.
Proseguiamo la visita degli scavi che coprono tutto il pianoro sommitale. Ci sono emergenze archeologiche stratificate: dalle strutture cultuali del culto dionisiaco, alle tombe di epoca trace, alle cisterne dell’acqua, alle due chiese. Infine la grande fortezza medioevale, il palazzo del vescovo… Riscendiamo attraversando di nuovo il santuario fortezza di Dioniso, luogo germinale del culto dionisiaco. Imponenti strutture tombali si trovano un po’ su tutto il fianco della montagna. Non deve stupire da momento che il divino cantore era anche colui che prometteva i suoi buoni uffici per l’aldilà.
Sono ormai le 16.00 e decidiamo di dirigerci a Kardzhali per cercare di vedere il locale museo archeologico. Lo raggiugiamo con un pò di difficoltà: non ci sono segnalazioni e nessuno dei locali lo conosce. Anzi non ne sa nemmeno dell’esistenza. Ci arriviamo, alfine, ma è sprangato. Cristina suona campanello con impeto e, dopo un po’, ci vengono ad aprire con grande rumore di chiavi e disappunto del numerosissimo personale. Che, vista la prossimità dell’ora di chiusura, si doveva già essere preparato al riposo dopo una giornata di grande fatica. Solo la direttrice parla inglese, con tono sussiegoso, in modo stringato e laconico. Una custode è prolifica di suggerimenti naturalmente solo in bulgaro che, cortesemente, Alberto traduce per la comunità.
Il museo è piccolo, ma con reperti che vanno dal neolitico al secolo scorso. Numerosi i reperti che vengono dalla vicina Perperikon e dalla Grotta Utero, anch’essa vicina e che, purtroppo, non riusciremo a visitare. Sempre la custode ci informa che la stessa struttura è stata creata come centro sociale della comunità musulmana del luogo. Che deve essere assai numerosa a giudicare dai minareti. Poi è diventata una scuola, poi il municipio. Infine il museo.
La visita è breve e dopo, velocemente, arriviamo al nostro albergo che, manco a dirlo, si chiama Perperikon. Ha una bella piscina, camere spaziose, prezzi convenienti. Mangiamo qualcosa al bar dell’albergo.
Alle 19.00 ci si ritrova per ascoltare la relazione di Isa sul mito di Orfeo nella Letteratura del ‘900. Dotto, interessante, ben detto.
Ceniamo nel ristorante dell’albergo. Ci hanno apparecchiato all’interno costruendo un tavolo quadrato. Il cibo è buono, il servizio è lentissimo e molto approssimativo. Dopo cena molti continuano le letture a bordo piscina, altri vanno velocemente a letto. È stata una giornata lunga ed interessantissima.
Sabato 5 settembre. La colazione del Perperikon è assai modesta. Come da programma andiamo al santuario rupestre di Tatul nel distretto di Momlinch. Suggestione del paesaggio. I Monti Rodopi si rivelano in tutta la loro bellezza con imponenti boschi di querce e, qua e là, l’affiorare di nuda roccia calcarea, che lascia presagire il Mediterraneo vicino. La roccia che affiora, il verde cupo, certe arditezze montane, alternate a verdi aperture vallive ricche di corsi di acqua, ricordano un po’ il versante francese dei Pirenei.
Lasciamo il bus in un ampio parcheggio, ormai risaliti su un rilievo non troppo alto. Intorno un villaggio contadino, molto povero, senza nessun servizio turistico. È aperta solo la cassa per l’accesso al sito. È allocata in una specie di roulotte scassata. Dentro un signore che al ritorno non troveremo più. Anche qui, come a Perperikon, è chiaro che paga solo chi vuole. Ai lati del sentiero ci sono vari banchetti che vendono pietre e cianfrusaglie. Al ritorno troveremo anche una signora che vende bibite e tovaglie ricamate. Con difficoltà il senso del mercato si sta facendo strada.
Dopo una breve passeggiata si arriva all’imponente masso roccioso su cui, fin da tempi antichissimi, è stato ricavato un santuario rupestre che si crede (ma non tutti sono d’accordo) dedicato al culto di Orfeo e di Reso: il mitico cantore e il mitico re della Tracia cantato da Omero nell’Iliade e a cui Euripide ha dedicato uno dei suoi drammi, secondo alcuni apocrifo. Il santuario ha una vita documentata che va dalla fine dell’età del bronzo al pieno medioevo. Ma forse già prima era uno dei tanti santuari rupestri dei monti Rodopi dove si adorava il sole e la sua ierogamia con la terra, da cui nasceva un dio della vegetazione tribolato. Primo abbozzo del Dioniso trace.
Le rovine sono impressionanti e in un contesto di notevole bellezza paesaggistica. La cima del colle è dominata da un rilievo roccioso a forma di piramide tronca. Sul piano sommitale un sepolcro scavato nella roccia e aperto verso il cielo, orientato. Qui si pensa fosse la tomba di Orfeo. Ma ci sono anche opinioni diverse. Come sappiamo Pausania la pone a Libetra ai piedi dell’Olimpo. E la versione più accreditata ed aulica del mito la vuole addirittura a Lesbos, sulla spiaggia di Erissos, paese natale di Saffo dove noi siamo stati nel corso della nostra VIII° Periegesi. Sotto la tomba di Orfeo, scavata nella parete della roccia, sta l’altra tomba monumentale che viene attribuita a Reso. Ma tombe ci sono tutto intorno. Probabilmente tutti ambivano a stare vicini al grande Orfeo che era tornato dagli inferi. Il luogo doveva avere anche funzioni iniziatiche e oracolari. Il contatto (mistico) col divino cantore doveva permettere di divinare il futuro e anche conoscere cose sulla vita degli dei e sulla creazione del mondo che potevano essere utili per la propria salvezza nella vita terrena e ultraterrena.
Ai piedi della piramide tronca con le tombe eroiche, c’è anche la base di una grande tavola dove dovevano avvenire i momenti più importanti dell’attività rituale. Coperti da una brutta tettoia ci sono poi i resti di un bel tempio di età ellenistica che, in epoca tarda, vicariò alcune strutture cultuali che, fino ad allora, erano state a cielo aperto, come nei più tipici templi rupestri.
Ci scambiamo opinioni, a lungo, sotto quella che viene considerata la tomba di Reso. Proprio là dove doveva insistere una piattaforma rotondeggiante sede dei momenti più centrali del culto. Un sacrificio? Il pasto comune?
Poi riprendiamo il cammino. Ora diretti verso alla villa romana di Armira, nel distretto di Ivailovgrad. Attraversiamo, secondo un tragitto orizzontale, larga parte del distretto dei Rodopi arrivando quasi a ridosso della frontiera greca. Una frontiera fino a non molto tempo fa sigillata e, in questa area, senza passi doganali. Ora invece attraversabile senza problemi.
Arriviamo a Ivailovgrad ormai alle 14.00. Decidiamo di mangiare qualcosa. Ci fermiamo alla prima bettola, un posto assai sordido. Alcuni preferiscono prendere qualcosa ad un vicino piccolo supermercato e mangiarlo insieme con i camionisti nel piazzale di fronte. Altri preferiscono mangiare all’interno, nella “lurida popina”, con tanto di televisione accesa e un caldo infernale.
Intorno a noi fabbriche ed edifici abbandonati, case popolari semidiroccate. La sensazione è quella di un paese che sta risorgendo su modelli molto nostri, ma in cui recentemente sembra essere passata una guerra con distruzioni e abbandoni. La caduta del socialismo reale è stata proprio una tragedia: la tragedia finale di una più grande tragedia epocale, che ha attraversato tutto il “secolo breve”. Qui sembra di toccarla con mano. Tra l’altro il nostro Gioro ci dirà che da qui sono partiti molti degli emigranti bulgari che sono andati all’estero spinti dalla necessità.
La villa romana di Armira è vicina alla città. Ed è un esempio di impeccabile recupero archeologico di un manufatto di età imperiale di immenso valore storico e documentario. Ben scavata, ben ristrutturata ed aperta al pubblico con qualche nota kitsch che sembra essere una caratteristica ubiquitaria di questo paese. La villa ha avuto circa quattro secoli di vita e varie ristrutturazioni. È nata come villa rustica volta allo sfruttamento agricolo di un vasto appezzamento di terra che poi si è fatto sempre più espanso. A capo vi era un cittadino romano alle cui dipendenze probabilmente lavoravano un migliaio di persone, tra personale libero e servile.
Da notare gli ampi spazi mosaicati. In particolare una grande basilica. E l’impianto di riscaldamento che non è limitato alle terme, ma sembra coinvolgere tutta l’abitazione. Una particolarità dovuta senz’altro ad un clima invernale rigido, ma anche testimonianza che il dominus doveva qui trascorrere gran parte dell’anno. Compresi i mesi inclementi dell’inverno.
Ripartiamo per Svilengrad. La frontiera greca è a due passi e verrebbe voglia di andare oltre. Invece torniamo indietro verso la valle dell’Ebro. Sempre attraversando i Rodopi, ma ora secondo la direttrice sud-nord. Troviamo una grande diga sull’Arda e un grandissimo bacino artificiale. Poi scolliniamo nella valle dell’Ebro. Le colline si fanno sempre più dolci e infine compare la grande pianura trace, ricca di messi e di cavalli, famosi nell’antichità, per la loro forza e anche per il filo da torcere che dette sempre la cavalleria trace alle fanterie pesanti greche. Il mito della lotta di Eracle contro Diomede e i suoi cavalli “mangiatori di uomini” vi deve fare un esplicito riferimento.
Vediamo l’indicazione per la tomba trace di Nevko, che è in programma per domani mattina. Decidiamo di visitarla subito. Sarà l’unica tomba trace che riusciremo a visitare in questo viaggio sulle orme di Orfeo. Abbiamo però visto, nei musei, varie ricostruzioni e una grande quantità di corredi interni. Il grosso delle tombe dei re e dell’aristocrazia sono nella così detta “Valle dei Re”, più a nord della zona dei monti Rodopi su cui il nostro viaggio si è snodato. Qui ne abbiamo comunque un bell’esempio. Si tratta della tomba di un aristocratico e della sua famiglia: vi sarebbero state inumate almeno cinque persone.
Si tratta di un grande tumulo che ricopre un tolos che ricorda in modo impressionante la struttura di un tolos miceneo. Solo che è stato costruito circa mille anni dopo la così detta “Tomba di Atreo”. Al tolos si arriva attraverso un lungo dromos e dopo essere passati per una doppia anticamera. Il custode si capisce con Alberto e ci vuole raccontare a tutti i costi una storia romanzata della donna lì sepolta che peraltro è stata presentificata da un manichino.
Si attraversa l’Ebro su un lungo ponte e stretto. Il fiume ha una sua bellezza, anche se le acque sembrano assai sporche. Forse la testa di Orfeo rotolava fra queste rive, sempre cantando e incantando le piante e gli uccelli.
Siamo ora nel centro di Svilengrad. Stessa sensazione di passare per una città dove sembra ci sia stata di recente una guerra. Il nostro albergo si chiama Parish, è vicino ad un parco che deve essere un centro divertimenti. Ci sono aree attrezzate per bambini e per sport di adulti, ma anche numerosi locali da gioco.
Piccola pausa, poi è il momento dell’intervento di Primo: “Orfeo e l’inelaborabilità della perdita di Euridice”. Riccardo è riuscito in tempi brevissimi ad approntare una vera sala conferenze, che, peraltro, non ci verrà fatta pagare. Il tema dell’incontro è un tentativo di mettere a fuoco le componenti narcisistiche proprie di ogni esperienza passionale amorosa e del loro destino evolutivo. Ne nasce un notevole contraddittorio e interesse da parte dell’uditorio. Ci dilunghiamo fino quasi alle 21.00.
Poi ci dirigiamo verso il ristorante “Parka”, in mezzo al parco di fronte al nostro albergo. Ci sistemano in un grande tavolo all’interno. Il locale non è dei peggio. Ci sono trofei di caccia, insieme con quadri di fattura drammatica, un camino degno del castello di Barbablù, soffitti altissimi, camerieri che parlano solo il bulgaro. Ci siamo appena seduti che inizia una musica assordante con gli altoparlanti sistemati proprio di fronte al nostro tavolo. Primo non resiste e si allontana rapidamente, il resto del gruppo rimane stoicamente, ma si mangia male e la serata non è piacevole.
Domenica 6 settembre. Dalla rete apprendiamo che il museo archeologico (meglio indicato come museo etnografico) di Alexandroupoli è chiuso. Il viaggio di avvicinamento si rivela più lungo del previsto. Arriviamo al porto alle 12.00 Si acquista il biglietto del traghetto. Seguono intense discussioni su dove si debba andare a mangiare e comunque a passare le ore che ci separano dall’imbarco previsto per le 16.00. Ci mettiamo alla ricerca del museo archeologico, che alla fine non si trova. Ma c’è? Siamo già stati ad Alexandroupoli con la VIII Periegesi. Allora alloggiammo all’albergo Erika che domina il porto con la sua supponenza di grattacielo di provincia. Allora visitammo (si ritrova nella cronaca di allora) un Museo Etnografico che si rivelò assai deludente. Ci consoliamo così.
Dopo un po’ di traversie ci fermiamo in un locale sul mare, un ristorante che si chiama “Masa Soura”, con un servizio stranamente velocissimo. Molti preferiscono passeggiare sul lungomare per poi ritrovarsi tutti all’imbarcadero. Il mare qui è brutto e sporco. Riccardo non desiste dal fare comunque il suo bagno. Si riparte alle 15.00 Il viaggio verso Samotracia è abbastanza lungo.
Il mare è calmo e il traghetto arriva puntuale. Ci trasferiamo al “Niki Beach Hotel”, un alberghetto assai modesto. Teresa ci convoca nella sua stanza e fa dono, ad ognuno di noi, di un suo acquarello. Ci dice anche che questa sarà la sua ultima periegesi. Ma che conta di venire ancora in Sicilia.
Una breve pausa e ci ritroviamo alle 20.30 per la cena. Decidiamo di andare a piedi fino ai ristorantini vicini al porto, a Keramoti. Scegliamo un ristorante che ha i tavoli lontano dalla strada. Il clima è afoso e lì è un po’ più ventilato. Alberto trova il modo di becchettarsi col padrone che ha portato a Franco un piatto che non ha chiesto. Tutti abbiamo sentito l’ordinazione di Franco, ma il greco si ostina a dire che non è così. Comunque si mangia grecamente bene e si spende poco, 2 euro a testa per aver mangiato molte cose e bevuto molta birra e rezina.
Lunedì 7 settembre. Nella notte si è alzato un vento impetuoso che va rinforzandosi, il mare da calmo si è fatto agitato. La colazione è modesta, ma accettabile.
Alle 9.00 partiamo per il Santuario dei Grandi Dei. Come previsto il museo è in ricostruzione. Cerchiamo di visitare il santuario facendo il percorso dei misti. Individuiamo il Ptolomeion, la porta d’ingresso antica. Qui un gentile archeologo, che parla italiano, ci informa dei lavori in corso e in particolare degli scavi nella contigua necropoli meridionale. Leggiamo varie cose sull’edificio, tutti insieme. Ci accostiamo al santuario con un’ottica archeologica. Visitiamo dunque il teatro circolare, poi l’area dei cenotafi, la rotonda di Arsinoe, l’Anactoron. Infine lo Hieron. Quindi passiamo il torrente che divide in due il santuario per entrare nell’area del teatro, fino al luogo che conteneva la Niche di Samotracia. Da qui passiamo a visitare la Stoa romana e l’Estiatorion ellenistico. Infine l’area dei tesori con una particolare attenzione al Neocorion. Il gruppo si riunisce quasi all’uscita per ascoltare altre letture.
Decidiamo di recarci alla spiaggia di Pahia Ammos che ha fama di essere la più bella dell’isola. Percorriamo dunque la strada che costeggia il lato sud dell’isola. Compare di fronte l’isola di Imbros. Il vento si è calmato anche perché il lato sud è sottovento. La costa ha una bellezza selvaggia. È poco costruita, ancora intensamente coltivata: ulivi soprattutto e allevamento di ovini e equini che compaiono improvvisamente nella strada dando l’idea di immergersi in una paesaggio agreste ed arcaico.
Arriviamo infine al Pahia Ammos: un immenso spiaggione fra due promontori, con acqua pulitissima. C’è una sola taverna, da cui si alza una disko music sparata a tutto volume. Facciamo il bagno e mangiamo una ottima insalata greca. Facciamo anche delle fantasie su una possibile escursione fino in cima al monte Fengari, da dove Poseidone, secondo Omero, avrebbe assistito al sacco di Troia. Riccardo intraprende una conversazione con il proprietario della taverna che non conosce niente di Troia. Quel poco che sa, gli viene dal film Troy che ha visto quando era in Australia. Qui è venuto anche a conoscenza di Ettore e Achille e dei loro amori. Naturalmente quelli del film Troy.
Verso le 17.00 partiamo per il traghetto. Ci imbarchiamo in anticipo. C’è una grande ressa e partiamo con un po’ di ritardo. La traversata si svolge senza particolari problemi. Il tramonto non promette niente di buono. Il vento è girato allo scirocco, di nuovo. Da ovest si addensano molti nuvoloni.
Arriviamo ad Alexandroupoli alle 22,00 circa. Il nostro albergo è un 5 stelle della catena dei Grecohotel (Astir Egnatia). Grande, con un sacco di “commodities” che rendono difficile anche l’uso delle cose più abituali, come la doccia, le luci… Ci fermiamo a mangiare qualcosa al self service dell’hotel e ci ritiriamo nelle nostre stanze.
Martedì 8 settembre. All’Astir Egnatia la colazione è abbastanza ricca. Primo propone una digressione verso Zone ed Ismaro e il gruppo accetta di buon grado.
Alle 10.00 arriviamo all’area archeologica di Zone, toccata dal mito di Orfeo. Si dice che qui alcune querce, educate dal divino cantore, si fossero disposte secondo le note della sua musica e i movimenti delle danze che questa musica ispirava. Il sito archeologico è ben tenuto, ma c’è il solo bigliettaio e nessun custode, avremmo potuto portar via ogni tipo di reperto con assoluta facilità.
Riccardo si è reso conto di avere lasciato in albergo il suo cellulare e deve tornare indietro con l’autista. Dopo un’ora sono di ritorno.
Si mette anche un po’ a piovere. La visita degli scavi è assai piacevole in un contesto di grande interesse paesaggistico. È stata scavata tutta la città bassa, l’acropoli è ancora avvolta dal bosco. Non distante dalle mura a mare ci sono resti del tempio di Demetra, un po’ più in alto quelle del tempio di Apollo. Ancora più in alto tante abitazioni di epoca classica ed ellenistica. In vari ambienti gli archeologi hanno evidenziato e mantenuto gli accorgimenti per difendere dall’umidità i piani terreni. Si usavano cocci di materiale ceramico e, nelle case più ricche, intere stese di anfore giustapposte su cui venivano collocati l’acciottolato e l’impiantito. Le anfore e l’acciottolato fornivano un fondo drenante per l’umidità che scendeva dalla vicina altura dell’acropoli.
Ripartiamo per Ismaro dove approdò Odisseo appena partito da Troia e dove ebbe in dono il vino che poi gli sarebbe servito ad ubriacare Polifemo. Ma dopo un breve tratto la strada diventa quasi una mulattiera. Impossibile andare avanti, almeno con un pulmino come il nostro. Decidiamo di tornare indietro con molto dispiacere. Ci dirigiamo ad Abdera.
Attraversiamo la pianura rivierasca trace. A nord i monti Rodopi, a sud il mare. Le montagne vestite di vegetazione, la pianura e le colline intensamente coltivate. Molto verde, molta erba. Si capisce come in antico queste terre fossero famose per la fertilità, per i cavalli, per il vino. E naturalmente anche per la feralità dei cavalli come strumento di guerra. Il riferimento va a Eracle e al mito dei cavalli del re Diomede, che mangiavano gli uomini. Da leggere probabilmente come una traduzione mitica della difficoltà che i micenei ebbero nel penetrare in queste zone a seguito della tenace e bellicosa opposizione delle popolazioni locali e della loro potente cavalleria.
Con la grande ondata emigratoria del VIII° e VII° secolo comunque tutte le coste si popolarono di colonie greche che non ebbero, anche loro, vita facile. Lo dimostrano proprio le vicende di Abdera, a cui arriviamo senza inciampi.
La città fu fondata da coloni provenienti da Clazomene, ma dovette dotarsi di solide mura per i continui attacchi delle popolazioni tracie. Fu necessario anche un nuovo afflusso coloniale da parte degli abitanti di Teo, che fuggivano dalla avanzata persiana. La colonia fu messa in serio pericolo anche nel IV secolo e sopravvisse solo grazie al pronto intervento ateniese con le forze della rinnovata lega delio-attica.
Il sito archeologico è proprio in riva al mare con di fronte l’isola di Thassos. A non poca distanza dalla foce del fiume Nestos. Purtroppo tutta l’area di scavo è chiusa. Alcuni scavalcano la recinzione, altri si recano a piedi sull’acropoli prospicente il mare, non scavata. Qui emergono rovine di tipo bizantino, testimonianza di quando la città antica si restrinse talmente che solo il quartiere dell’acropoli, meglio difendibile, restò popolato. Cambiò anche nome per prendere quello di Stilopolis, “città delle colonne”. Che ben dice in che contesto “rovinistico” si doveva situare. L’interramento del porto e l’impaludamento della zona costiera fecero poi sì che anche questo rimasuglio di città dovesse essere abbandonato. Una terza città fu fondata alcuni chilometri più a nord, in posizione leggermente soprelevata. È il luogo della Nea Abdera. Ora un paesino greco dei più anonimi. Che però custodisce un bel museo archeologico che ben documenta le varie fasi della città antica. Il museo è aperto, ben organizzato, ricco di reperti. Fra questi alcune tombe antiche ottimamente ricostruite così come apparvero agli archeologi al momento dello scavo.
Oramai sono quasi le 15.00. Mangiare qualcosa a Nea Abdera non è proprio facile. A quest’ora è aperto solo qualche caffè. Un Cafeion però fa anche da ristorante. I proprietari ci propongono in breve un po’ tutto il repertorio, peraltro assai esiguo, della cucina greca. Alcuni si fermano lì, altri ad un altro caffè vicino.
Dopo un’ora ripartiamo alla volta di Komotini e del traghetto per Thaxos. Il traghetto sembra stare ad aspettare noi: arriviamo, ci imbarchiamo e in breve arriviamo a Thassos. Il tragitto è breve: una mezz’ora. Sul ponte di prua proviamo anche a parlare della periegesi del prossimo anno, ma l’ambiente è troppo dispersivo e rumoroso. Rimandiamo il tutto a prima di cena, in albergo.
L’albergo Timoleon è proprio di fronte al mare. È pulito, con camere piccole, ma ben accessoriate e coibentate, sia dal punto di vista acustico che climatico. Il personale è gentile.
Alle 19.30 ci ritroviamo davanti all’albergo per decidere sul tema e l’itinerario di quella che, l’anno prossimo, sarà la sedicesima periegesi. Vengono proposte tre ipotesi: “I Misteri Peloponnesiaci”, “Le Cicladi Occidentali” e “Il grande Epiro”. Passa la proposta del Peloponneso con congresso a Eleusi sul tema dei misteri. Ma anche le altre due proposte hanno riscosso un buon seguito.
Ci dirigiamo dunque a piedi verso il ristorante Mythos. Il servizio è veloce, i piatti buoni, ma vi è una musica ad alto volume un po’ disturbante.
Mercoledì 9 settembre. Colazione, modesta, qui all’hotel Timoleon. Ci dirigiamo quindi al museo archeologico che contiene reperti che vanno dal Paleolitico all’età bizantina. Naturalmente tutto l’interesse è centrato sull’isola di Thassos. All’ingresso spicca un Dioniso che porta un agnello di epoca arcaica. Uno stilema che attraverserà tutto il mondo antico per approdare poi all’icona cristiana del buon pastore. Metafora del dio che si prende cura di ogni membro del suo gregge.
Vicino vi sono l’agorà e la chiesa paleocristiana che ha colonne provenienti da evidenti materiali di spoglio di strutture antiche. I siti mancano di ogni materiale didattico e anche di indicazioni minimali. Saliamo fino al Teatro di Dioniso, in ristrutturazione, ma sempre affascinante per l’ampio panorama sul porto di Limenas. Leggiamo l’Hypothesis, il Parodos e il primo episodio de “Le Baccanti” nella traduzione di Ettore Romagnoli. Naturalmente Alberto, che ha fatto Dioniso per una filodrammatica romana, si esibisce nella parte del dio. Più che Dioniso sembra però papa Francesco. E Dioniso non ci guadagna.
Poi riprendiamo il cammino per l’acropoli. Alberto e Daniela sono riluttanti, poi si inerpicano anche loro per lo stretto sentiero che si apre nel bosco e che percorre la linea delle mura urbane del lato nord est. L’arrivo all’acropoli è ben evidenziato dalla comparsa di una grande struttura muraria, forse attestato di una torre di difesa. Da qui lo sguardo spazia a 360 gradi. Si vede tutta la costa della Tracia con la foce del Nestos, e poi la linea di costa fino a Samotracia. Accanto alla struttura difensiva c’è un grande terrazzamento che costituiva la base del tempio di Apollo. Su cui fu poi costruita una ben più misera fortezza bizantina. Niente è stato scavato e tutto è invaso dalla ricca vegetazione di querce, rovi, sterpaglie di ogni tipo fra cui si insinua un sentiero percorribile solo in fila indiana. Se un giorno ci saranno degli scavi adeguati il sito promette grandi scoperte e un giro archeologico e paesaggistico di tutto rispetto. Proseguendo si giunge sulla cresta del rilievo, alla nostra destra la collina degrada verso il mare e il porto di Limenas (nord ovest). Qui sorgeva l’abitato antico e dunque le strade e le case vissute da Archiloco. In cima al secondo dosso della collina c’è l’imponente stilobate del tempio di Athena. Ben leggibile il pronao colonnato e il naos. Al punto più alto dell’acropoli siamo su uno scoglio enorme che precipita verso la città con un dislivello di una trentina di metri. In cima una bandiera greca consumata. Nella roccia i resti di quello che viene indicato come il santuario rupestre di Pan, incredibilmente simile a quello dedicato a Orfeo e Reso visto recentemente a Tatul, sui Rodopi.
Ritornati in città ci dirigiamo in pullman verso le spiagge ed iniziamo a fare il giro dell’isola, che percorriamo in senso orario. In breve arriviamo alla “Golden Beach”, in greco “Krysos Ammos”: una lunga spiaggia di sabbia fine fra due promontori vestiti di vegetazione lussureggiante.
Ci fermiamo ad una bella trattoria (Galle) che ha una ariosa terrazza direttamente sulle dune. Il soggiorno è gradevole e si mangia anche bene senza spendere granché. Ormai alle 15.30 si riprende il percorso.
Ci fermiamo al sito archeologico e alle spiagge di Aliki, ancora sul lato est dell’isola. Qui sorsero le prime cave di marmo, sfruttate fin dalla preistoria. L’abitato antico sorse su un grande promontorio. Sulla punta le cave di marmo sono ben visibili. Sui due lati dell’istmo stavano i porti antichi. Nell’istmo, dal lato volto a nord sta una struttura templare che in epoca classica fu dedicata ai Dioscuri, ma che insisteva su un luogo cultuale già precedente e dotata di una grotta ipogea. Sempre sull’istmo ci sono due belle spiagge con molti insediamenti balneari. All’inizio del promontorio sono in corso degli scavi. Si sta riportando in luce una basilica paleocristiana costruita con materiali di spoglio. Alcuni si fermano alle spiagge, altri fanno il periplo del promontorio. Riccardo e Laura fanno il bagno proprio nel sito delle antiche cave di marmo, affrontando il fondo livellato e sdruccioloso. Ci deve essere stato un intenso sfruttamento delle cave al punto che l’estremità del promontorio è stata letteralmente tagliata via. Al suo posto un lungo letto di marmo coperto dal livello del mare. Un fenomeno di bradisismo abbastanza cospicuo deve avere comportato un abbassamento del suolo di almeno un metro ogni mille anni.
Riunito il gruppo terminiamo il periplo dell’isola in pullman. Il tempo sta cambiando e il sole sta tramontando male. Giungiamo in albergo prima del previsto. Ci rinfreschiamo e poi andiamo a cena al Ristorante “Simi”, di fronte al porto. Ci sistemiamo in più tavoli sulla terrazza. Mangiamo bene e stiamo bene. Anche la musica è sommessa. I prezzi sono un po’ più alti del solito, ma vale la pena. Rientriamo che è quasi mezzanotte.
Giovedì 10 settembre. Ci imbarchiamo traghettiamo fino a Keramoti, c’è un buon venticello del nord che muove il mare e rischiara il cielo. Veloce il trasferimento a Kavala. Un po’ più difficile trovare il museo archeologico che si rivela molto interessante e ben fatto. Ci sono molti reperti che vengono dalla subcolonia paria di Neapolis (subcolonia di Thassos, naturalmente), che poi diventerà Cristopolis e quindi Kavala, in epoca ormai turca. I reperti vengono anche dalle vicine colonie di Ainos, di Amfipoli e di Philippi. Infine un bel film che illustra la storia degli scavi nella regione condotti dalla scuola francese. Un film fatto di immagini altamente evocative, con poche canzoni d’epoca: una vera chicca.
Ripartiamo che ormai si sono fatte le 14.00. Ci dirigiamo verso Amphipoli, gli scavi e il suo museo archeologico. Speriamo di trovare lì un bar in cui mangiare qualcosa. Il bar c’è, ma di fatto non ha nulla: nemmeno il latte per fare un cappuccino. I più si contentano di coni gelato mastodontici, altri (provvidi) si sono portati cose, altri soprassiedono al pranzo. Un market vicino è chiuso nelle ore centrali della giornata, quando qualche turista potrebbe anche passare.
Il museo di Amphipoli è sempre molto interessante con il suo percorso didattico che documenta, con tanti oggetti, la storia della colonia ateniese fondata da Agnone figlio di Nicia nel 436. Poi duramente coinvolta nella guerra del Peloponneso. Qui Tucidide fu beffato e sconfitto da Brasida e perse la strategia. Disoccupato, si mise a scrivere la storia di quella guerra di cui era stato protagonista di primo livello. Prefiggendosi di testimoniare le “cose viste” con il massimo di obbiettività possibile e senza indulgere al racconto fantastico e al sentito dire che fanno di Erodoto un grande narratore. Così la sua sconfitta ad Amphipoli ci ha regalato la monumentale “Guerra del Peloponneso”. Primo attestato di una sensibilità storica ormai sovrapponibile a quella moderna.
Sempre qui morirono Cleone, il capo dei demagoghi ateniesi, che aveva sostituito Tucidide nella strategia. E anche Brasida, il comandante spartano, che aveva già beffato Tucidide e a cui andò la vittoria anche nella battaglia che gli costò la vita. La città, grata, gli dedicò funerali grandiosi, una tomba colossale e un culto eroico che sostituì, anche fisicamente, il monumento tombale dell’ecista ateniese Agnone. I resti della tomba di Brasida sono proprio dietro, e anche sotto, l’edificio museale.
Finita la visita del museo, dopo un breve conciliabolo dove varie proposte si susseguono, decidiamo di dirigerci direttamente all’albergo, fermandosi solo a vedere il così detto “Leone Macedone”. Si tratta di un monumento funebre scoperto casualmente dai soldati che scavavano una trincea sulla riva dello Strimone durante la Prima Guerra Mondale. Fu subito ricostruito, reintegrando le parti mancanti, con interventi archeologicamente molto discutibili. Certo è che ora domina con la sua imponenza la riva destra dello Strimone.
Il viaggio verso Salonicco, sulla via Egnazia, ora diventata un’autostrada, è molto veloce. Su richiesta insistente di Alberto Riccardo ci delizia con i suoi componimenti poetici. La delizia continuerà poi anche a cena e dopo cena.
I problemi giungono appena arrivati in città. Qui il satellitare bulgaro di Gioro non sa riconoscere fra la “via” e il “viale” e ci porta sulla “via” Alessandro il Grande, che è periferica, verso l’aeroporto. Perdiamo quasi un’ora in un traffico degno di una metropoli del terzo mondo. Tutti ci stanchiamo e ci innervosiamo. Alberto, con il suo prodigioso palmare, trova la quadra.
Giungiamo in albergo ormai alle 20.00. È il “Makedonia Palace”, un cinque stelle, in un brutto palazzone sul mare. Belle camere con vista, ma corridoi cupi, funebri. Servizi da tre stelle: si e no. Nora ha addirittura dei problemi a far sistemare nel parcheggio il nostro bus.
Ci si ritrova alle 20.30. Si dovrebbe discutere di varie cose, ma fame e stanchezza ci spingono a dirigerci verso il ristorante. La zona non è buona in tal senso. Siamo sul lungomare, ma ormai in periferia. Primo ha trovato un ristorante molto quotato su Tripadvisor (è il n° 7 di Salonicco). Si chiama “Dosos Delphon”. Si rivelerà uno snack bar, con molti giovani che passano il tempo bevendo e ascoltando musica. Ci sistemiamo all’interno del locale, al primo piano, in una stanza tutta per noi. Possiamo parlare e i cibi che arrivano (con comodo) sono buoni. Riccardo continua con il suo profluvio di componimenti poetici. Facciamo brindisi, auguri e si crea un clima che, in parte, fa dimenticare la cattiva scelta. Raccogliamo anche i soldi per la mancia di Gioro, l’autista. Rientriamo a mezzanotte passata.
Venerdì 11 settembre. La mattina presto alcuni partono per il museo archeologico. All’interno spicca l’esposizione dei materiali di ricchissimi reperti tombali provenienti da tombe del periodo macedone. Fra questi lo splendido Cratere di Derveni con scene dionisiache. Infine il papiro di Derveni, che abbiamo più volte incontrato in questo viaggio a proposito della cosmologia orfica. Sono esposti anche alcuni frammenti esemplificativi dello stato in cui il papiro è stato trovato. Vengono riportati anche alcuni brani dei testi orfici che vi sono stati trovati. Si ammira anche il sarcofago con il bassorilievo di Orfeo che incanta, con la musica, gli animali.
Alle 11.30 partiamo per l’aeroporto. Salutiamo Gioro. E anche Riccardo che vola ad Atene per la solita “pompè”: marcia notturna (ma perché di notte?) con avventure e esperienze mistiche, da Atene verso Eleusi. Fra camionisti, cani, negozi di dolcezze e echi di un passato potente. Rientriamo alla base, ognuno fa ritorno alla propri dimora.
Il viaggio è andato bene. Abbiamo visto tante belle cose e abbiamo visitato luoghi di grande interesse archeologico, artistico, paesaggistico e mitologico.
Appendice
Il Centro studi di Terapia della Gestalt
Con il patrocinio di:
Centro di antropologia del mondo antico dell’Università di Siena*
Promuove in incontro itinerante su:
“Meditando su Orfeo e il mito del poeta lungo il fiume Ebro”
2-5 settembre 2015 – da Sofia a Ivaylovgrad (Bulgaria)
Noli respicere, (non voltarti) fu la consegna degli dei a Orfeo se avesse voluto riportare in vita la sua amata Euridice che, morsa da un serpente, era discesa nel regno di Ade. Ma al confine tra morte e nuova vita, il poeta e sciamano (se aveva il poter e di accedere al mondo infero) si voltò: fu “la follia che improvvisa lo travolse” come allude Virgilio nelle Georgiche o la realistica accettazione del confine invalicabile di quella “soglia di bronzo” da cui nessuno può tornare o far tornare, foss’anche un dio come non potè lo stesso Zeus a cui Ananke negò il riscatto dalla morte dell’amato Ganimede? Fu quindi consapevole accettazione della morte, come suggerisce Cesare Pavese nei suoi Dialoghi con Leucò che aggiunge “è necessario che ciascuno scenda una volta nel suo inferno”. O fu timore a sostenere il duro “lavoro d’amore” nel confronto quotidiano con una compagna reale e non fantasticata nella idealizzazione poetica, come suggerisce Rilke in una sua letttera a Nietzsche? Neppure il canto primigenio di colui che introdusse la scrittura ed il sapere enciclopedico che ancora trovava unite arte, cosmologia e sapienza esoterica capace di incantare gli animali, far muovere le querce e far interrompere le torture di Sisifo e Tantalo ebbe tuttavia il potere di operare il miracolo ultimo. Nel suo descensu ad inferos, Orfeo (il rifiutato) ricevette tuttavia quegli insegnamenti da Persefone che ritrovò nei riti misterici di Samotracia e che si perpetueranno in quelli di Eleusi. Pius vates e sacerdos delle iniziazioni purificò la sua vita dalla contaminazione nel sangue sparso in guerra e nei sacrifici cruenti inaugurando una tradizione spiritualistica che sedusse anche Platone e che confluirà nella mistica cristiana, come il grande studioso Vittorio Macchioro ci ha ampiamente dimostrato. Una mistica che si accompagna al superamento dell’amore terreno (“nessun amore e nessuna lusinga di nozze gli piegarono io cuore” echeggia Virgilio) e che indusse le Bassaridi (baccanti) ad ucciderlo al grido di “Eccolo l’uomo che ci disprezza (Ovidio, Le Metamorfosi). Ma la lira che trasportava il suo capo divelto continuò a diffondere note di amore dolente sino ad approdare a Lesbo, per risuonare nei versi di Saffo.
Raccoglieremo gli echi del divino poeta vagando tra i monti Rodopi a partire da Plovdiv in Tracia (oggi Bulgaria) costeggiando il fiume Ebro (Perperek, Kardzhali, il santuario di Tatul, Ivaylovgrad, Svilengrad sino ad imbarcarci per Samotracia) attraverso un percorso itinerante nel quale intessere le evocazioni del mito con le tante riverberazioni nella letteratura, nella psicologia e nel pensiero filosofico che si ispira alle verità ultime e prime a cui l’uomo tende nella inesausta ricerca di varcare … e rispettare il confine tra vita, morte … e ancora possibile vita. Ad una apertura sul tema di Riccardo Zerbetto (Direttore, Centro Studi di Terapia della Gestalt) su L’archetipo del poeta e la terra di mezzo tra dimensione dell’ immaginale e del reale si intrecceranno i contributi di Daniela Fausti (Professore associato di Lingua e Letteratura greca, Università di Siena) su: Le fonti letterarie del mito, di Primo Lorenzi su Aspetti di psichiatria fenomenologica collegati al mito, di Concetta Stornante (Psichiatra) sul tema del Lutto in amore, di Isa Bergamini su Echi su Orfeo nella poesia dell’Occidente unitamente ad altri contributi sul tema letterario evocato da Dante, Petrarca, Monti, Corneille, Rilke Pavese altri).
L’incontro si inserisce nella serie “Mito e Psiche”, e segue quella su Arianna nel mito e nella clinica tenutosi a Naxos nel 2011, quello su Il principio afroditico tenutosi a Paphos e Citera (2013 e 2014), quello su Oreste e il conflitto fra dei tenutosi a Siracusa nel 2014 e su Medea e il figlicidio: dal mito alla clinica (Siracusa, 2015).
Segreteria scientifica: Riccardo Zerbetto (r.zerbetto@cstg.it) e organizzativa: Nora Griffiths (nora.griffiths@yahoo.it)