XVI Periegesi in Magna Grecia – Diario 

Salerno-Reggio Calabria e Siracusa

1-9 Giugno 2019

 

I luoghi: Salerno, Paestum, Heraion alla foce del Sele, Velia, Laos, Cetraro, Villa romana di Roggiano in Larderia, Vibo Valentia, Cosenza, Reggio Calabria, Messina, Siracusa

Molte novità quest’anno per il consueto viaggio in Magna Grecia (è il sedicesimo). Ora è proprio simile al viaggio in Grecia, con Nora che ha tessuto l’organizzazione con la solita perizia. Il viaggio è itinerante: da Salerno a Siracusa. Siamo in tanti: una ventina. Ci sono nuovi ingressi. Fra questi la coppia di miei compagni di Liceo (Antonella e Claudio) e un’amica di Marina ed Eugenia, Antonella carrarina.

Anche quest’anno il viaggio ha come punto di arrivo le rappresentazioni classiche di Siracusa. Prima però seguiremo un tragitto lungo la costa tirrenica alla ricerca delle testimonianze del passaggio greco, toccando le subcolonie di Sybaris (Poseidonia e Laos), Velia, Cosenza (ovvero la capitale degli Enotri e dei Bretti), Hipponium, Rhegium e, di là dallo stretto, Zancle/Messane. Infine Syracusa.

Sabato 1 Giugno. Il ritrovo è a Salerno, al “Grand Hotel Salerno” sul lungomare. Ci ritroviamo alla spicciolata. È fresco e spesso piove, a scossoni. Non è il clima tipico dei nostri viaggi nel mondo antico. Almeno non è il più tipico. Dalle nostre camere il golfo di Salerno e i monti Lattari appaiono in una bellezza laccata che fa pensare ai vasi d’oriente.

Nel pomeriggio visitiamo il Museo Archeologico provinciale di Salerno, sistemato in una ex chiesa benedettina di fondazione longobarda. Qui sono stati concentrati molti reperti protostorici provenienti dal territorio provinciale e anche dall’emporio etrusco-sannitico-greco che è stato il primo seme della città attuale (scavi al rione Fratte). Si trattava, con tutta probabilità, di un piccolo e fiorente centro commerciale fondato attorno al VI° secolo a.C. da gruppi di Etruschi provenienti dalla vicina Amina (odierna Pontecagnano Faiano). L’insediamento, probabilmente da identificarsi con Irna, fu distrutto dai romani nell’ambito delle guerre sannitiche.

Nel museo sono custoditi anche alcuni splendidi vasi greci. Manca la testa di Apollo rinvenuta casualmente nel golfo, su cui ha scritto molto anche Giuseppe Ungaretti, viaggiatore. È in prestito a qualche mostra: un peccato. Visitiamo anche il duomo, splendido manufatto in stile arabo-normanno. Nella cripta sono custodite le spoglie attribuite a San Matteo, l’evangelista pubblicano immortalato da Caravaggio in San Luigi dei Francesi. È il primo incontro, sia pur indiretto, con Caravaggio la cui figura e le cui opere si situeranno ripetutamente all’orizzonte di questo nostro viaggio, appena più in là delle reminiscenze antiche.

Prima di cena, sul roof dell’albergo, introduco il nostro percorso, ricapitolando le tappe che ci aspettano.

Si cena in albergo, modestamente, ma decorosamente in due tavoli separati.

Domenica 2 Giugno. Al mattino si fa vivo Riccardo con il programma definitivo per il convegno di Siracusa che quest’anno titolerà: “Elena e il suo doppio” e si terrà sabato 8 presso il Museo del Cinema in Ortigia.

Il tempo è sempre guasto. Si parte alle 9 e ci dirigiamo subito a Paestum. Abbiamo un pulmino da 20 persone con alla guida un uomo gentile, dai capelli rossi che scopriremo poi aver abitato a lungo a Pistoia. Ritroso, riservato e attento: sarà un buon autista.

Arriviamo velocemente a Poseidonia, la sub colonia tirrenica di Sybaris, le cui vestigia abbiamo visitato nel corso del nostro XIII° viaggio in Magna Grecia. Sybaris fu la prima delle colonie achee e venne fondata, alla fine dell’VIII° sec, da achei di Elice (Aliki). Chi era alla prima periegesi (Riccardo, Sara, Moreno…) ricorderà bene il sindaco e l’archeologa amica di Osanna, dal nome vietato ai minori di 18 anni. Come sappiamo la città ebbe un grande sviluppo e fu famosa per il grande tenore di vita da cui, già nel mondo antico, prese campo l’attributo di “sibarita” per parlare di persone con un tenore di vita sfacciato. Sybaris aveva fondato Poseidonia forse solo come un “fourion” sul Tirreno, alle foci del Sele. Un fourion che poi divenne un florido emporium e, dopo che la metropoli fu distrutta nel 510, una grande città che accolse molti profughi provenienti dalla madrepatria.

Ora si annuncia con le sue mura urbiche e con i suoi templi maestosi. Primo fra tutto il cosiddetto Tempio di Poseidone, poi il probabile Heraion II°, detto “la Basilica” e più a nord il tempio di Athena, rimasto ben conservato perché nell’alto medioevo venne trasformato in tempio cristiano. Fra i due gruppi di templi gli scavi hanno messo in evidenza l’agorà con al centro un’heroon ipogeo che ha suscitato tante ipotesi perché non vi sono state trovate ossa, pur in presenza di ricchissimi materiali votivi. Si tratta della ricostruzione dell’heroon di Sybaris dopo che la metropoli fu distrutta? Intrigante anche le emergenze del tempio della Fortuna Virilis, di età romana, ma costruito su una precedente area votiva dedicata ad Afrodite, legata a riti di fecondità. La dea veniva venerata all’interno di una piscina dove si effettuavano anche le immersioni propiziatorie. In epoca imperiale tutto fu sostituito da un edificio dedicato al culto dei Cesari. Forse in un trasferimento di significati per cui la fecondità di Afrodite sarebbe diventata quella della Fortuna (virile) ed infine dell’imperatore come propiziatore e fecondatore delle fortune dell’impero tutto.

Si approda all’antiquarium (un ricchissimo museo archeologico) che ormai è passato abbondantemente il mezzogiorno. Il tempo è incerto, ma a tratti compare il sole del Mediterraneo che ci ha tenuto compagnia in tanti nostri viaggi.

È un antiquarium pieno di reperti che andrebbe visitato cominciando dal piano superiore (prima dell’arrivo dei Greci) per seguirne il senso ordinante che è essenzialmente storico cronologico. Di grande interesse le metope del c.d. “Heraion alla foce del Sele” che cercheremo, infruttuosamente, di visitare nel pomeriggio. Sono reperti di grande bellezza che rimandano a pagine del mito (ad esempio al mito di Oreste) fermate nella pietra prima delle rielaborazioni dei grandi tragici del V secolo. Quindi capaci di suggerirci una lettura mitica che risale all’ “Orestea” di Stesicoro, o ai “Korinthiaka” di Eumelo di Corinto. Ricchissima e di grande livello la collezione coroplastica. Fra questi trovo un vaso italiota in cui si illustra il mito di Elena che nasce dall’uovo di Nemesi. Me ne servirò per la mia presentazione di Siracusa.

Un bellissimo museo che merita tante lodi e due note critiche: l’apparato didattico è molto scarso e il cuore del museo è dedicato a una specie di happening dove un pubblico sguaiato si dedica a cose sguaiate. Un tributo all’idea di museo-spettacolo che, negli ultimi tempi, sembra andare per la maggiore.

Si mangia qualcosa al bar “Museo” che è sulla via delle Calabrie, quella via che, in epoca postunitaria, ha tagliato in due il sito archeologico, seppellendo, almeno in parte, lo Ekklesiasterion. Ne vediamo una parte proprio sotto di noi, oltre la recinzione degli scavi.

Il gruppo si riunisce al pulmino e cominciamo una odissea alla ricerca del santuario di Hera, il c.d. “Heraion della foce del Sele”. Lo troviamo con difficoltà, per poi dover constatare come tutto sia lasciato alle erbacce. Il locali di una masseria attigua allo stilobate dell’Heraion sono sede di un museo virtuale per ricostruire la struttura templare, ma anch’esso è chiuso. Gli scavi che hanno messo in evidenza le fondamenta, hanno portato a numerose trouvailles che abbiamo visto all’antiquarium. Fra queste una bella statua di Hera col melograno. Forse il santuario valorizzava un culto di Hera come dea del matrimonio e, come tale, sembra essere passato alle popolazioni italiche quando queste (nel quarto secolo a.C.) presero il sopravvento sui coloni sibariti. Forse era anche un luogo iniziatico per le giovani spose. Del luogo di culto alle foci del Sele, famosissimo nell’antichità, si perse poi ogni traccia, anche per l’impaludamento della zona, fino alle ricerche archeologiche avvenute a cavallo dell’ultima guerra. Tracce del culto antico sono però rimaste tramite toponimi e permanenze rituali. Così abbiamo anche ora il santuario della c.d. “Madonna del Granato”, luogo per eccellenza di matrimoni, dove la Vergine è effigiata con in mano un melograno. Come nella statua di Hera, qui trovata e che abbiamo visto nell’antiquarium. Il santuario mariano non si trova troppo lontano (lo visiteremo la prossima volta).

Un po’ amareggiati si riprende il cammino per Velia che raggiungiamo in breve. Ci sistemiamo all’hotel “Porta Rosa” e subito si parte per gli scavi che non sono molto lontani.

Della colonia focese sono state riesumate le necropoli, le mura, interi quartieri dell’abitato, l’acropoli, ora occupata da una chiesetta e da una imponente torre aragonese. Il percorso è molto denso e gli scavi sono abbastanza ben tenuti. Non però l’acropoli dove il basamento del tempio di Athena è appena percepibile sotto le erbacce. Ben visibile anche l’immancabile teatro da cui si gode una vista panoramica degli scavi. Interessante l’Asclepeion che si avvaleva anche di acque sorgive e di una piscina. Dall’acropoli si gode anche una bella vista sulla marina. Con alcuni si parla della colonia focese, della colonizzazione focese del Mediterraneo, di Massalia, di Niceia, della sfortunata fondazione di Alalia in Corsica. E naturalmente anche della scuola Eleatica, da Parmenide a Zenone.

Si cena al Ristorante “Porta Rosa”, proprio di fronte all’ingresso agli scavi. Con le prenotazioni abbiamo fatto un po’ di casino. Arriviamo sfalsati e ci sistemiamo in due tavoli separati.

Il tempo è quasi marzolino e cambia velocemente; schiarite si alternano a piovaschi. La notte pioverà abbondantemente .

Lunedì 3 Giugno. Il tempo è ancora guasto, si annuncia una giornata bioccosa con qualche sperata di sole.

Una buona colazione in un ipogeo, un po’ triste. Poi si parte, puntuali, verso Cosenza. È in programma la visita dell’altra subcolonia di Sybaris (Laos) e poi una digressione alla Villa Romana di Roggiano Larderia.

Iniziamo un lungo viaggio lungo la costa tirrenica del Golfo di Sapri, al largo occhieggiano le isole Eolie, presto comparirà anche il profilo della Sicilia. A tratti si aprono panorami mozzafiato.

Laos fu anch’essa fondata da Sybaris all’inizio del sesto secolo. Come Poseidonia era alle foci del Sele, qui fu scelta, come luogo di fondazione, la foce del Laos, una fiumara calabra. Nel 510 a. C., quando Sibari fu distrutta, anche Laos, come Poseidonia più a nord, divenne luogo di rifugio per i sopravvissuti. Sembra che la città diventasse subito fiorente, ma ben presto dovette subire l’iniziativa delle genti italiche (i Bretti) che di fatto la assoggettarono. E vani furono i tentativi di riconquista anche quando la madrepatria Sybaris rinacque, per iniziativa di Pericle, sotto il nome di Thuri. Anzi, proprio qui, a Laos, i greci subirono una schiacciate sconfitta e dovettero desistere da ogni tentativo di riconquista. Con l’arrivo dei romani la città, ora chiamata Lavinium, divenne una importante stazione di posta sulla via Popilia (Rhegion- Capua).

Prima di visitare gli scavi decidiamo di fermarci all’antiquarium di Scalea, dove sono raccolti molti materiali provenienti dagli scavi nell’area dove sorgeva l’antica Laos. L’antiquarium è chiuso (è lunedì) e decidiamo di andare a visitare le aree dove sono stati condotti gli scavi, su una collinetta coltivata a olivi non molto distante e in una posizione un po’ arretrata rispetto alla linea di costa. L’area è abbastanza ampia e ben tenuta, ma l’accesso è, anche qui, chiuso.

Osserviamo il tutto dalla strada.

Le tracce della città antica sono ormai ridotte a livello di basamenti dell’abitato. Anche saltando la rete di recinzione, il materiale didattico di corredo, non è il migliore. Una condizione molto tipica del nostro paese, spesso osservata in molte istituzioni culturali: o si tratta il pubblico da iperspecialista (vedi i cataloghi delle mostre) o ci si limita a fuggevoli informazioni (nome cognome, indirizzo…), magari infarcite di tecnicismi.

Sul bordo della strada improvvisiamo una discussione sul confronto fra i coloni greci e le popolazioni locali, forti anche di una lettura che Isa ci ha proposto durante il viaggio in pullman.

Dopo i due rimbalzi cerchiamo un indennizzo decidendo (non era in programma) di visitare il “Museo dei Bretti e del Mare” a Cetraro. Cetraro da non confondersi con Cetara della costiera amalfitana e famosa per le acciughe. Cetraro invece sembra derivare il suo nome da κίτρον = cedro. La zona essendo famosa per i suoi cedri. Bella cittadina su una balza prospicente il mare: con una mareggiata in corso deve regalare viste impagabili. Ma anche qui il museo è chiuso. Questa volta per la pausa pranzo. La facciamo anche noi, qua e là nel paese. Qualcuno (Chiara?) riesce però a contattare gli impiegati del Museo e ce lo fa riaprire in anticipo. Non solo: il direttore (coordinatore, fac-totum) si offre per farci da chaperon. Il museo è interessante e ci serve come introduzione sui popoli con cui i coloni greci si confrontarono, i Bretti in particolare.

Il confronto fu sempre problematico. All’inizio i Greci la fecero un po’ da padroni, tanto era marcata la differenza culturale e tecnologica. Poi però la resistenza si fece tenace. Le popolazioni locali (in questa zona essenzialmente gli Enotri) seppero imparare dal confronto e cominciarono a difendere il territorio con ben altra determinazione. Impararono peraltro a far leva sulla grande debolezza greca: la loro frammentazione e rivalità. In cui si inserirono cercando di portare il gioco delle alleanze a proprio vantaggio. L’arrivo poi di una popolazione sannitica (i Bretti) invertì la direzione della pressione: con la fine del VI secolo furono le popolazioni locali a prendere l’iniziativa, spesso mettendo in scacco le popolazioni greche che chiamarono in aiuto eserciti dalla madrepatria (Timoleonte, Pirro…). I locali chiesero aiuto ai romani e tutti sappiamo come andò a finire.

Nel museo sono anche raccolti molti reperti provenienti dal fondo marino. La nostra guida ci racconta come questo contenitore museale sia diventato, grazie alla iniziativa locale, un punto di custodia e di esposizione di reperti che altrimenti avrebbero preso vie molto diverse e approdi ben lontani.

Dobbiamo presto ripartire per la villa romana di Roggiano Larderia che abbiamo scoperto essere anch’essa chiusa. Ma Chiara è riuscita a farcela aprire grazie ai suoi contatti di ex dirigente del MIBAC.

Arriviamo in loco all’ora programmata, la nostra guida già ci aspetta. Siamo sui bordi di un lago artificiale, in un ambiente anche di grande suggestione. La villa è stata scavata e resa fruibile al pubblico alla fine del secolo scorso. Peraltro con larghezza di mezzi. Ma ora tutto è in abbandono: le erbe sono alte, i reperti della villa vanno letteralmente a pezzi, pavimenti mosaicati in frantumi. L’impiegato comunale addetto all’apertura dei cancelli non lo sa fare (provvede Antonella). La nostra guida parla molto di sé, delle sue ricerche, degli scavi condotti da lei stessa in molte parti del mondo. Parla molto meno della villa, per niente della sua importanza nell’ambito della risistemazione, anche economica, del Bruttium romano. Insomma niente a che fare con quel signore, che Nora aveva ribattezzato “il bullo di Casignana” che, pur non titolato, ci introdusse allo splendido manufatto romano dei Palazzi di Casignana durante il nostro 13° viaggio in Magna Grecia.

Sta venendo sera e velocemente raggiungiamo Cosenza, l’antica Kos, capitale di quel popolo Bretto di cui abbiamo più volte parlato nel corso di questo viaggio. Ci sistemiamo all’Hotel Royal, vicino all’area pedonale, un po’ lontano dall’area più antica della città.

Siamo tanti e ceniamo non tutti insieme. In molti ci ritroviamo comunque al ristorante “La Terrazza”, vicino all’albergo. Si mangia bene e si spende poco. Scopriamo anche un vino locale che si chiama “Pecorello”, buono e da non confondere col piceno “Pecorino”. Lo riproveremo anche le prossime sere.

Martedì 4 Giugno. Colazione con Nora che mi anticipa una sua idea sulla prossima “Piccola Periegesi” in Magna Grecia, ovvero le XVII° giornate siciliane. Buona la colazione con un ottimo miele (in bresche) di arancio.

Si parte alle 9 con il pullman per arrivare ad un ampio parcheggio sulle rive del Crati dove veniamo assaliti da un parcheggiatore abusivo, anche minacciante. L’autista preferisce soprassedere. Ci scarica qui e noi proseguiamo a piedi per il Museo dei Bretti. Qualche difficoltà a raggiungerlo. Il museo documenta la storia degli Enotri e dei Bretti che, dei primi, presero il posto contrastando l’espansione delle colonie greche.

Il museo è molto interessante e molto ben allestito. Ci permette di continuare la riflessione che abbiamo cominciato ieri al Museo di Cetraro e sul pullman. In una sala, all’improvviso, si incendia una folta discussione sulla fine del mondo antico. Sul perché e sul percome. Quasi una riedizione di quella che prese fuoco nel parco archeologico di Policoro, tre anni fa.

Alla fine della visita il gruppo si divide. Io preferisco visitare la Pinacoteca di palazzo Arnone, dove è anche la sede della Soprintendenza. Nel museo trovo vari “tenebrosi” napoletani e calabresi: da Mattia Preti, a De Mura, a Salvator Rosa, a Luca Giordano. Bel museo in cui mi trovo ad essere l’unico fruitore, anche se invero passa una comitiva di giovani in cui ciascuno è molto intento al proprio interessantissimo telefonino.

Puntuali alle due si riparte. Percorriamo l’autostrada Salerno-Reggio che ci offre scorci insoliti di una Calabria verdissima, con una vegetazione lussureggiante che fa pensare più ai tropici che al nostro Mediterraneo bruciato dal sole.

Lungo il percorso ci fermiamo a Vibo Valenzia. L’odierna Vibo sorge sullo stesso colle che vide fiorire la greca Hipponion, la latina Valentia e la medievale Monteleone. La posizione strategica permetteva di controllare da sud il golfo e la piana di Lamezia, e da nord l’altopiano del Poro che domina la piana del fiume Medma e Gioia Tauro. Fu fondata come sub colonia dai Locresi sul finire del VII sec. a.C.. Ebbe una grandiosa cinta muraria che racchiudeva circa 220 ettari. Sembra ne siano state rinvenute alcuni tratti, la cui visita però rimandiamo ad un prossimo viaggio. Locri fonda Hipponium seguendo lo stesso schema che abbiamo già osservato per Sybaris: garantire sbocchi sul Tirreno, impedire che altre colonie potessero interdire questa possibilità con un loro insediamento. In questo caso i concorrenti erano i calcidesi di Rhegion.

Ancora agli inizi del V sec. gli stretti legami politici e militari tra Locri e Hipponion sono testimoniati dal rinvenimento, nel santuario di Zeus ad Olimpia, di uno scudo in bronzo che accomuna nell’offerta Ipponiati, Locresi e Medmei (Medma era l’altro caposaldo locrese sul Tirreno, che abbiamo visitato nella Piccola Periegesi primaverile del 2006). Hipponion crebbe così florida che in breve cercò di autonomizzarsi dalle madrepatria. A questo scopo aderì alla Lega dei greci-italioti attraverso cui Crotone cercava di spingersi fino allo Stretto per contenere l’espansione di Siracusa, che aveva in Locri il suo maggior alleato. Sconfitta da Dionisio I nel 388, la città subì la distruzione e la deportazione degli abitanti. Hipponium non riuscì più a risollevarsi (i peggiori nemici dei greci furono sempre i greci!). Pochi anni dopo infatti la città cadde sotto il dominio dei Bretti (sempre loro!) che la chiamarono “Veip”. I Bretti furono i migliori alleati di Annibale. Per stabilizzare la conquista nella zona i romani vi dedussero una colonia di diritto latino (192 a.C.) col nome augurale di Valentia. La città rifiorì, soprattutto per il commercio di legname e pece, e divenne una tappa della via consolare Popilia. Nel Medioevo divenne caposaldo normanno e prese il nome di Monteleone che conservò fino al 1928, quando le nostalgie romanistiche del fascismo portarono al ripristino del nome latino.

Visitiamo il museo archeologico “Vito Capialbi”, recentemente allestito in un castello di impianto addirittura risalente a Federico II. Il museo è ben tenuto. La ricca documentazione è relativa alle aree sacre (Scrimbia, Cofino) e alle necropoli greche. Da qui proviene una laminetta in oro con un testo orfico in greco, trovata in una sepoltura femminile. Testimonianza della diffusione del culto orfico nella zona. Molti sono anche i reperti di età romana. Si riparte nell’ormai tardo pomeriggio per Rhegion.

Durante il viaggio Carlo ci legge un pezzo che ha espunto da un testo di Braccesi sui rapporti fra Rhegion e Siracusa. In particolare mette in evidenza come, in quel particolare periodo, il tiranno di Rhegion fosse riuscito a istituire una comune autorità su entrambe le rive dello stretto (Regno dello Stretto). Ma fu cosa di breve durata, seguita dall’egemonia dei tiranni di Siracusa.

Ci sistemiamo all’hotel Continental che è a due passi dall’imbarcadero: proprio due passi!

Siamo troppo numerosi per cenare tutti insieme. In 9 ci ritroviamo alla “Taverna del Mare” sul lungomare Falcomatà.

Mercoledì 5 Giugno. Stamattina è programmata una visita guidata alle emergenze archeologiche della antica Rhegion. La nostra guida arriva in albergo puntuale, alle 9. Si rivelerà una guida veramente notevole: informata, entusiasta e generosa.

Il giro della città alla ricerca delle evidenze greche comincia con l’area delle necropoli, ad ovest della città, nella zona corrispondente all’area del museo archeologico. Visitiamo poi l’area c.d. “Griso-La Bocchetta”, dai nomi dei proprietari al momento dei primi scavi. Siamo ormai dentro le mura della città greca, su uno dei terrazzamenti che correvano verso l’acropoli. Qui ora si vedono solo tracce di mura appena leggibili dalla strada. Ma i reperti sono stati copiosi e di ingente rilievo. Ora affollano una buona parte del pian terreno del museo archeologico. Gli abbondanti reperti coroplastici fanno pensare ad ex voto dedicati agli dei inferi. Forse proprio a Persefone e Demetra, anche se la collocazione intraurbana mi pare assai insolita. Sono state rinvenute anche numerose terrecotte architettoniche che rivestivano le strutture degli edifici di culto e vasi frammentari che costituivano (o contenevano) gli ex voto.

Visitiamo poi le tracce dell’Odeon (o forse dello stesso teatro) all’interno di un condominio. E anche l’agorà, sotto quella che è ora la piazza della Prefettura, dove taluni hanno riconosciuto al presenza di un tempio di Apollo. Certo qui è, è stato ed era, il cuore della città, in modo ininterrotto praticamente da tremila anni.

Non ci facciamo neanche mancare un salto al Teatro Lirico dedicato a Vincenzo Cilea, in realtà nato a Palmi. Una grande promessa della lirica, mai pienamente sbocciata. Delle sue opere, nel repertorio musicale, rimane solo la Adriana Lecouvrier, ma ve ne sono altre che andrebbero rivalutate.

Ci spostiamo dunque verso il mare per vedere le mura di Rhegion, evidenti lungo il viale Falcomatà e da qui ricostruiamo con un deciso sforzo di fantasia quello che doveva essere il porto e il promontorio su cui sorgeva il tempio di Artemide Facellitis. Qui secondo il mito (almeno una variante) Oreste avrebbe portato l’agalma di Artemide trafugato in Tauride. La guida poi si espande a parlare di tante altre cose e, da ultimo pare non fermarsi mai. La visita si conclude alle 13.30 dopo 4 ore ininterrotte di riflessioni e spiegazioni: una persona da ricordare per visite future.

Pranziamo ognuno dove vuole, ma più o meno tutti sul Corso Garibaldi ora completamente pedonalizzato e veramente piacevole a percorrersi. Dopo pranzo ci ritroviamo per la visita al Museo Archeologico che ormai è diventato una vera e propria frequentazione: ci siamo già venuti insieme nel 2006 , poi nel 2013. Abbiamo trovato un’ora particolarmente felice per la visita: il museo non è affollato, soprattutto non c’è traccia delle consuete comitive vocianti. Ritroviamo anche la nostra guida del mattino che ora si sta portando dietro un gruppo di americani: complimenti anche per la resistenza fisica!

Non possiamo fare a meno di omaggiare i Bronzi con tutto il corteo di foto ricordo. Poi visitiamo il museo che ha l’ultimo piano chiuso: il piano dedicato alla preistoria. Il pian terreno raccoglie i reperti provenienti dagli scavi cittadini che ora, grazie alla visita del mattino, sappiamo ben collocare topograficamente. Al primo e secondo piano ci sono poi i reperti provenienti dalle altre colonie e subcolonie greche. Sempre splendidi e un po’ inquietanti i pinakes che raffigurano il ratto di Persefone, provenienti soprattutto da Locri Epizephiri.

Nei sotterranei del museo è accolta la mostra su Dodona che noi abbiamo visitato al Museo dell’Acropoli di Atene 3 anni fa.

È stata una giornata molto densa. Ci ritroviamo per la cena, tutti insieme, in un ristorante scoperto e provato da Eugenia. Ma la cosa non funziona. Siamo troppi, ci sistemano, con difficoltà, su due tavoli; intasiamo ristorante e cucina. Solo per la comanda passa una mezz’ora. Le prime cose arrivano dopo un’ora. Isa prende in mano la situazione e fa in modo che finito di consumare quanto ordinato si chieda il conto. Facciamo anche un po’ di confusione nella raccolta del denaro.

Giovedì 6 Giugno. Vado con Nora, di buon mattino, a fare i biglietti per l’aliscafo. Ci sono poi i saluti di chi interrompe il viaggio (Claudio e le due Antonelle). L’aliscafo è puntuale e ci trasborda in un battibaleno fino a Messina. Al porto ci aspetta il Sig. Cucinotta con il nuovo pulmino, più nuovo e più comodo dell’altro. Troviamo anche Concetta che si aggiunge al gruppo. Subito ci rechiamo al Museo Civico recentemente riallestito. Ne avevo letto un gran bene ed effettivamente molte opere sono assai meglio disposte. Ma mi aspettavo uno spazio archeologico che invece ora manca completamente, fatto salvo il materiale lapideo accatastato nel giardino. I vetri sono sporchi, ovunque. E mancano i bagni, salvo un paio di lìcitte all’esterno, anche sporchi. All’interno i capolavori sono invece ben valorizzati. Antonello (“Madonna in trono, con annunciazione e santi”) e i due Caravaggio: la inquietante “Resurrezione di Lazzaro” e la “Adorazione dei pastori” con una Madonna sfinita dalla fatica e dal parto. Ci sono poi alcune icone antiche, molto belle, e tanti quadri di livello più modesto. Ovunque (sui quadri, sui affreschi staccati, sul materiale lapideo…) i segni del terremoto del 1908.

Ripartiamo per Siracusa. Sul bus Sandro ci parlerà di Caravaggio, in modo dotto e appassionato. Arriviamo a Siracusa in pieno pomeriggio e ognuno si sistema nell’hotel che si è scelto autonomamente.

Verso sera visito, all’interno di quello che era stato il primo museo archeologico della città, proprio sulla piazza del Duomo, l’esposizione dedicata alla copia londinese della “Crocefissione di Sant’Andrea”, sempre del Caravaggio. L’originale sembra essere quello ora custodito a Cleveland. A fianco della copia due opere di Mario Minniti, l’amico/ospite/amante di Caravaggio in Siracusa. Entrambe le opere del Minniti sono di fattura accettabile. Come del resto la copia del Caravaggio.

Per la cena ci frantumiamo in vari gruppi. Con alcuni sono da Seby che, negli ultimi anni, è diventato un punto fisso. Io mangio delle sarde a beccafico con insalata di finocchi e arance, nella più tipica tradizione sicula. Omaggiamo Dioniso con un Grillo della casa che si rivela buono.

Venerdì 7 Giugno. Come molte altre volte, almeno una parte del gruppo, si ritrova alle 10 al tempio di Apollo. Da qui andiamo a piedi fino al Museo Paolo Orsi. Io visito la sezione dedicata specificatamente a Siracusa. Al museo Orsi si sta tenendo anche un convegno della scuola di terapia gestaltica concorrente di Riccardo.

Pranziamo alla Pasticceria Marciante. Il ritrovo è alle 4 per il consueto “caffè letterario” sul terrazzo del Roma. Si parla de “Le Troiane”, ma poi anche di “Elena”, i due spettacoli che ci aspettano al teatro greco. Arrivano anche Liliana Dell’Osso e Paola Guglielmi, due care amiche pisane. Si discute di Elena e poi anche della bellezza, del fascino, dello stupro, del “codice di base”…

Finita la discussione proseguiamo a piedi fino al teatro greco ove vengono rappresentate “Le Troiane” che abbiamo visto più volte nei nostri viaggi nel mondo antico. La prima volta fu nel 2006 a Siracusa (III viaggio), presente anche Plinio. Non fu un granchè e anche Plinio concordava. E ancora a Tyndaris con Ivana Monti, e non fu male. Ricordo anche la rappresentazione al Moat Theatre (Melina Mercouri) di Rodi, in neogreco, prima di imbarcarsi per Cnido e la Licia (XII° Periegesi). È un’opera bella, anche se non la migliore di Euripide. Mi piace sempre pensarla in una trilogia ideale dedicata alle donne troiane. E dunque con Ecuba e Andromaca.

Lo spettacolo è accettabile, ma la regia tiene il tono complessivo in una continua concitazione che praticamente azzera, ad esempio, tutto il lirismo dei cori. Maddalena Crippa (Ecuba) è notevole. La regista tenta qualche operazione “straniante” (alla Brecht). Lo fa nel dialogo fra gli dei e con l’inserimento dell’araldo (Paolo Rossi), ma non le riesce molto. Soprattutto si perde la riflessione sulla origini del Male che percorre tutta l’opera e che, probabilmente era il fil rouge di tutta la trilogia composta da un “Paride Alessandro”; un “Palamede” ed appunto Le Troiane, unica rimasta (ma se ritrovassimo Palamede: pensate che festa!).

Nell’attesa dell’inizio dello spettacolo Riccardo si è materializzato sugli spalti (επιφαινεται Διονισος).

Alla fine grandi discussioni che continueranno anche nei giorni seguenti ed uno strascico anche sui socials.

Per cena molti vanno da Seby, io ceno con un piccolo gruppo al ristorante dell’Algilà. L’ambiente è molto ricercato, ma non si mangia granchè bene.

Sabato 8 Giugno. Ci ritroviamo alle 9.30 al “Museo del cinema” in via Alagona, un angolo inesplorato di Ortigia nel quartiere della Giudecca. I locali ci sono stati cortesemente imprestati dal Dott. Romeo, un fisiatra in pensione, ma anche un appassionato di cinema. Nel suo museo ci sono varie attrezzature cinematografiche e una cineteca di oltre settemila film. Molti ancora nelle classiche “pizze” di celluloide. Il Dott. Romeo ci racconto un po’ la sua vita e la sua passione.

Il convegno ha per titolo “Elena e il suo doppio”.

Introduce Riccardo parlando della multisemanticità di Elena e focalizzando molto sul tema della “colpa” di Elena. Un tema gli è molto caro e non da ora. Tutti ricordiamo l’ipotesi di un convegno a Lentini per cui contattammo anche il sindaco trovandone la piena disponibilità.

Segue la mia relazione sugli snodi critici del percorso (mitico) esistenziale di Elena. L’indagine viene condotta con criteri medici, come in un caso clinico.

Il contributo di Liliana è invece su una Elena moderna come Marilyn Monroe su cui, tre anni fa, ha scritto una monografia. Segue una folta discussione a cui, alla comitiva periegetica, si aggiungono varie altre persone. Un momento di pausa per un caffè per le vie di Ortigia baciata dal sole e dal primo caldo estivo. Poi il convegno riprende con la relazione di Isa sulla fortuna critica e letteraria di Elena. Cui segue un nuovo dibattito che, questa volta, si allarga fino a toccare il mondo antico, le religioni misteriche, il rapporto col Cristianesimo…

Finiamo che sono quasi le due. Uno snack, una pausa e poi ci ritroviamo, almeno alcuni, nel solito atrio al primo piano dell’hotel Roma per parlare dell’opera che andremo a vedere stasera. Discutiamo la trama di “Elena” e il suo nucleo di senso. Poi andiamo a piedi fino al teatro.

Lo spettacolo, con la regia di Livermore, è molto carico di effetti volti a “fare spettacolo”, ad avere una presa forte e diretta sul pubblico. Ma il tema che Euripide affronta non è di facile presa, né di facile resa scenica. Non è facile rendere l’evanescenza del reale, per cui quello che appare non è e ciò che non è si compie. Ma è proprio qui che Euripide voleva insistere. Del resto l’“Elena” era inserito in una trilogia che comprendeva anche “Andromaca” (persa) e probabilmente anche lo “Ione” (conservato). In tutta la trilogia questo è ciò che Euripide indaga, con un susseguirsi continuo di travestimenti, simulacri, disvelamenti, raggiri… Livermore non sembra preoccuparsene granchè cercando invece il colpo d’occhio dato dall’orchestra ridotta ad una grande pozzanghera in cui gli attori sguazzano, mentre onde marine sono proiettate sullo sfondo scenico, come al cinema. L’Elena ci dovrebbe poi trasmettere anche l’idea di una storia iniziatica di caduta, occultamento e rinascita: molto orfica. Che fa pensare alla storia di Lucio nell’Asino d’oro, o alla storia (nella storia) di “Amore e Psiche” o al “Romanzo di Calliroe” (Caritone di Afrodisia). Tutte storie di perdizione e riscatto che preludono alla Gnosis. Sì perché, nel dramma di Euripide, Elena sa fortemente di Dioniso. È Dioniso, il dio che, nel dramma, sta continuamente dietro le quinte, anche se non appare mai. È lui che gli dà profondità e lo carica di rimandi inquietanti che, nella regia di Livermore, appaiono completamente persi. Le ultime drammatiche parole del coro, nell’Esodo, vengono recitate ripetutamente in greco. Cosicché, naturalmente, nessuno capisce. Eppure sono di una statuaria significatività:

Il divino assume molti aspetti e inattese sono le risoluzioni dei celesti; certe cose che si profilavano in un modo, si concretizzano in un altro, l’impossibile si fa realtà grazie ai numi. È così che si è risolta questa vicenda

Alla fine dello spettacolo raggiungiamo (molti a piedi) il ristorante “Eight o’clock” di via Tripoli, dove siamo ormai ospiti abituali. Isa ha organizzato tutto, minuziosamente, con lo scopo di farci ritrovare tutti insieme. Nonostante questo ingente lavoro organizzativo ci sono vari disguidi. Del resto siamo una ventina e queste cene comuni somigliano ormai più a pranzi di nozze che non ai simposi cui ci eravamo abituati nelle prime periegesi.

Domenica 9 Giugno. Al mattino leggo i giornali sul sagrato del duomo, poi entro in chiesa, ove trovo una bella atmosfera claustrale. Nel silenzio le tracce del tempio della dea dagli occhi scintillanti si fanno sempre più insistite. Ricostruisco il tessuto della città antica: l’oikos dietro il tempio di Athena, la ierà odos che partiva dal tempio di Hera e conduceva fino a quello di Apollo e poi a quello extraurbano di Zeus, l’Artemision. I frontoni dei templi rivolti a oriente.

Infine un salto a rimirare “Il seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio” in Santa Lucia intramoenia.

La macchina che ho prenotato è puntuale alle 13, all’ingresso del Roma. In viaggio verso l’aeroporto, con Carlo e Concetta, parliamo della buona riuscita di questo viaggio, ove tutto è filato liscio, abbiamo visto tante belle cose, abbiamo scambiato tante opinioni. Il viaggio ha avuto un epilogo nelle opere al teatro greco. Entrambe non allestite in modo esaltante.