XVII PERIEGESI – Tirana – Atene

(30 Agosto – 10 Settembre 2017)

I luoghi: Tirana, Durazzo, Apollonia, Valona, Oricum, Himera, Saranda (Onchesmos), Phoinike, “Occhio Blu”, Girokastro, Adrianopoli, Butrinto, Igoumenitza, Dodona, Arta, Necromanteion, Leucade, Aegion, piana di Eleusi, Atene

Partecipanti: Alberto, Angela, Concetta, Cristina, Daniela, Eugenia, Franco, Giorgio, Isa, Laura, Nora, Primo, Riccardo, Sandro, Teresa, Virginia.

Mercoledì 30 agosto. Il gruppo, proveniente in parte da Pisa, in parte da Roma e da Bari, si ritrova a Tirana, all’hotel Tirana International, in piazza Scanderbeg. Un albergo stile Hilton con affaccio sulla piazza, cuore pulsante di Tirana e manifesto dell’Albania. Alcuni si ritrovano al ristorante dell’albergo per una grigliata di pesce, la sala del ristorante è bella, con ampia vista sulla piazza. Dal caldo italiano siamo passati ad un fresco che per noi, abituati a ben altro, sa quasi di freddo.

 

Giovedì 31 agosto. Ilmuezzin, verso le 5, sveglia tutti, o quasi. La colazione è in una bella sala, ma, in quanto a cibo offerto, risulta assai modesta. Si parte a piedi per il museo archeologico in piazza Madre Teresa. Si percorre il lungo viale che va da Piazza Scanderbeg al Politecnico, pieno di edifici dall’architettura lineare, tipica del nostro Modernismo. Vivido il ricordo dell’EUR, di Latina… Insomma: sembra di essere a casa. Il museo archeologico, uno dei primi dell’Albania, è tale e quale a quando fu inaugurato (1946). Dunque quasi un “archeo museo”, anche dal punto di vista museologico. I pezzi sono assemblati con un rigido criterio cronologico, senza didascalie, senza indicazioni di provenienza. Una giovane impiegata si prodiga a darci spiegazioni, affrontando un’ampia discussione con i periegeti più dotti e informati. Ai fini di ampliare le nostre conoscenze archeologiche sull’Albania risulterà più proficua la visita al museo di Durazzo.

Usciti, sulla via del ritorno ci ristoriamo a un bar all’aperto, dove Riccardo ci legge un suo pezzo sull’origine dei Dori. Segue una discussione in cui quasi si convince che non sono, anch’essi, fenici. Torniamo in albergo e dopo una breve pausa usciamo per il pranzo. Alcuni scelgono il Ristorante “La Piazza”, nella via dietro il Museo di Storia. Ambiente ovattato, un po’ kitch, ma molto tranquillo. Si mangia internazionale, non male. Si spende meno di 10 euro a testa.

Una piccola siesta e alle 16.30 ripartiamo per la visita al Museo di Storia dell’Albania, proprio accanto al nostro albergo. Il primo piano è interessante con tanti reperti che vanno dal Paleolitico alla caduta dell’Impero Romano. Ci sono spiegazioni anche in inglese. Si percepisce un certo nazionalismo.

Ci rechiamo poi alla Moschea di piazza Scanderbeg, molto gradevole, con interno affrescato con simpatiche, semplici e schematizzate, scene di paesaggio.

Per la cena qualcuno resta in albergo, altri si avventurano in città. In tarda serata piazza Scanderbeg comincia ad animarsi di musica e suoni, sembra stiano montando dei palchi per uno spettacolo musicale le cui prove si protrarranno fino a tardi. Sono i festeggiamenti per la grande festa religiosa e nazionale che richiama pellegrini e visitatori da tutta l’Albania.

 

Venerdì 1 settembre. Alcuni di noi, i più mattinieri, hanno potuto vedere dalle loro finestre, la piazza riempita di persone che hanno fatto insieme la preghiera dell’alba.

A bordo del pullman con autista che parla solo albanese ci dirigiamo verso Durazzo. Durante il viaggio Primo introduce la giornata, poi incominciano una serie di contributi collettivi: Daniela ci parla di Cesare a Durazzo nelle fonti antiche, segue un acceso dibattito sulla figura di Cesare. Riccardo parla con entusiasmo dei Dori, su cui ha fatto delle ricerche notturne, forse per arrivare all’idea che fossero protofenici.

Durazzovisitiamo il museo archeologico che si trova in un edificio moderno, ben curato, interessante. Gentile e disponibile l’unica custode/bigliettaia. Il secondo piano del museo è ancora in riallestimento. Al piano terreno ci sono reperti provenienti dall’antica Epidamno/Durachiume dalle zone circumvicine.

Dopo il museo visitiamo l’anfiteatro, tutto circondato da costruzioni civili brutte e ingombranti, che sembrano prendersi a spallate l’un l’altra per dare un occhio nella cavea. In alcuni vomitorium, in epoca tardo antica, fu ricavata una chiesa di cui ancor si leggono bene le tracce. Fa impressione l’erosione del mondo antico: i palazzi sopra l’anfiteatro, abusato e spogliato, trasformato in cava; poi al suo interno una nuova vita che si inserisce, quasi teneramente, ma ne scardina anche la struttura più intima. La concretizzazione di una metafora.

Un gestore scorbutico finisce per allontanarci dal piccolo bar di fronte alla struttura antica dove sicuramente avremmo soggiornato a lungo, in preda ad animate discussioni. Si riparte per Apollonia. Lungo la strada una sosta ad una stazione di servizio. Poi il nostro autista ci porta a un ristorante di pesce di Fier, che appare però come una cupa e “lurida topina” (Orazio). Si prosegue pertanto fino al sito archeologico di Apollonia, che sorge su una colina che ha di fronte una pianura acquitrinosa. Si intravede in lontananza il mare. La linea di costa un tempo era assai più vicina e la città sorgeva vicino alla foce del Vouissa, che faceva anche da porto. Fu il suo interramento la causa principale dell’abbandono. Complici anche le plurime distruzioni dei Goti che qui razziarono per anni dopo la catastrofe di Adrianopoli (372 d.C.). E pensare che qui sorgeva una famosa scuola di retorica che richiamò anche il giovane Ottaviano, che qui ricevette la notizia dell’assassinio di Cesare. All’interno del sito archeologico vi è un ristorante assai semplice, con panche all’aperto e servizio molto sommario, ma il luogo ha un sapore periegetico e – complice la lentezza dell’oste – ci tratteniamo a lungo nella bella giornata di sole a parlare all’ombra dei quercioli. Il cibo non è eccellente, ma la spesa davvero irrisoria, 3 euro a testa.

Archeologi francesi stanno scavando il sito. Sono state messe in evidenza parti delle mura, l’agorà con odeon e il bouleterion, alcuni quartieri civili, la così detta “fonte delle ninfe”, che è a nord, alle pendici dell’acropoli, assai lontano dal luogo di arrivo. Finiamo purtroppo per non arrivarci, complice il caldo che si fa sentire nonostante una gradevole brezza. In un’altura all’interno dell’area c’è un secondo ristorante, in posizione amena, e dall’aria più accogliente. Ci fermiamo solo per bere e proseguire i dibattiti. Il bigliettaio (un archeologo) all’ingresso non ci aveva informato di questa seconda opportunità, parla un po’ d’italiano e ci fornisce delle informazioni utili in merito a luoghi che visiteremo domani; è un po’ ambiguo sulla necessità o meno di pagare i biglietti d’ingresso – che poi comunque acquisteremo – e suscita in Primo una forte diffidenza e antipatia.

All’ingresso ci sono i templi di Apollo e Artemide, che visitiamo per ultimi. Delle strutture templari antiche restano solo miseri lacerti, anche perché, sul tempio e mentre la città si spopolava, sono state costruite varie chiese e un convento. Le più antiche ci sarebbero sfuggite se non fosse stato per l’osservazione di Sandro che nota come una coppia di sposi sia andata a farsi le foto all’interno di un portone al piano terra della struttura che al primo piano ospita il museo. Ci affacciamo anche noi per osservare i resti di un pavimento mosaicato, forse di una villa tardo imperiale, su cui fu costruita una prima chiesa in epoca tardo antica. Più a lato una seconda chiesa, con tetto a capanna, con tre absidi – uno nel presbiterio e due nei transetti – e sulle pareti affreschi ben conservati, forse risalenti al tardo medioevo. Al centro dell’ampio recinto conventuale, che probabilmente insiste sul temenos della struttura templare antica, c’è una chiesa bizantina costruita con materiale di spoglio. Restaurata con fondi della comunità europea, è ancora officiata, con una bella iconostasi di un pittore del XVII° secolo e all’interno si respira la bella atmosfera sacrale propria delle chiese ortodosse e che invita a fermarsi e a meditare. Splendido e ricchissimo il museo, al primo piano di quello che doveva essere lo spazio residenziale del convento antico. Nella struttura sono raccolte le trouvailles del sito, ordinate in senso cronologico. Particolarmente bello il vasellame protocorinzio, testimonianza dei legami di Apollonia con la madrepatria. Abbondante anche la ceramica apula, di epoca ellenistica e romana, a sua volta testimonianza del periodo romano in cui gli scambi avevano voltato direzione: non più dalla Grecia propria verso queste colonie, ma dalla vicina Puglia e dall’Italia, ormai centro di potere indiscusso.

Si è indecisi se andare ad Amantia, ma si è fatto tardi e tutti sono concordi nell’evitare. Il tempo sta passando. Quelli di noi che hanno partecipato alle prime periegesi sottolineano come una volta un’occasione “impossibile” come questa avrebbe galvanizzato Riccardo (e non solo lui) a proseguire, a forzare, a andare oltre. Viene ricordato l’episodio in cui a Porto Cheli, in Argolide (V° Periegesi), ormai al tramonto, Riccardo insisteva per prendere il traghetto per dare un’occhiata all’isola di Spetze; non fu accontentato, ma ciononostante tornarono a Tholon che era quasi mezzanotte.

Si riparte per Valona (Vlore) dove arriviamo di sera, passando per brutte strade prima e per una comoda autostrada poi. Alloggiamo all’hotel “Partner”, moderno, ben accessoriato, senza coibentazione: né acustica, né luminosa. Per cena andiamo al “Gabbiano” (il nome albanese è molto più complesso). È un ristorante di pesce, dai tempi lentissimi: un’ora di attesa per la prima portata, ma il cibo è buono.

Sabato 2 settembre. Ci dirigiamo subito la Museo Storico di Valona, a pochi passi dall’albergo dove abbiamo soggiornato. Qui troviamo oggetti che documentano la storia della città: dal Neolitico ad Henver Hoxa. Una gentile custode ci spiega i vari reperti con grande, e garbata, valorizzazione nazionalistica della vicenda storica degli Illiri, di cui gli albanesi attuali si sentono i diretti (e unici?) discendenti. Illiri che, nella ricostruzione agiografica, non avrebbero mai invaso nessuno e che sarebbero stati, invece, invasi da tutti.

Procediamo poi verso Oricum, passando per un tratto di costa (siamo nel golfo di Valona) devastato da un’edilizia brutta e scellerata. Lungo il viaggio Daniela ci parla ancora di Cesare, delle legioni, della formazione quadrata, arrivando fino a Napoleone, alla stele di Rosetta, a Champollion…

Arrivati ad Oricum abbiamo difficoltà a trovare il sito archeologico. Tratti in inganno da una segnalazione ci dirigiamo verso l’interno, ma ben presto ci accorgiamo dell’errore e torniamo indietro. Per arrivare alla città antica bisogna attraversare una lingua di terra che separa il mare da una laguna interna. Il sito è su una piccola collina che fa da chiave di accesso, sia della laguna che della baia. Fu qui che Cesare sbarcò con le sue legioni nella guerra contro Pompeo. Qui, nella geografia della così detta “Odissea Adriatica”, i compagni di Odisseo avrebbero mangiato le vacche del sole, ipotecando per sempre il proprio destino. Il sito archeologico si trova all’interno di una base militare dove ci permettono di entrare previa identificazione e pagamento di un biglietto. Sul luogo troviamo all’opera una missione svizzero-albanese. La città antica sembra essere stata distrutta durante le guerre civili romane e da allora abbandonata. Al momento solo alcune piccole aree sono state scavate. La ricerca archeologica è, di fatto, agli albori. In verità c’era stato un precedente sovietico albanese degli anni sessanta che aveva fatto più danno che altro. Con abbagli drammatici: ad esempio quello che, con i primi scavi, era stato considerato un teatro, ad un più attento esame sembra esser un ninfeo. Scambiamo qualche parola con due giovani archeologhe che stanno scavando nella zona dell’acropoli della città antica. Sono alla ricerca di una chiesa bizantina che sembra (lo attesterebbero le fonti scritte) essere sorta laddove prima insistevano le strutture templari antiche. Alla fine ci ritroviamo tutti insieme sotto un grande fico a parlare di Dori (Riccardo) e della possibile nuova periegesi verso l’isola di Keros, nelle Microcicladi.

Riprendiamo il viaggio verso l’una, con Riccardo che si esibisce in una delle sue corse sotto il sole. Approdiamo ad una specie di ristorante sul mare, molto, moltotrash: struttura edilizia non finita, tavoli di plastica, battigia con barche in disuso, un po’ di sporcizia diffusa. Anche il mare, qui poco profondo e senza grande ricambio, non è proprio pulito. Facciamo un bagno nonostante tutto, ma non ci attardiamo in acqua.

Si riparte dopo le 15.00, ma Giorgio ha perso il cappello, Riccardo non trova il telefonino e tornaimo indietro. Poi verso Himara e Saranda. La strada va in salita fino ad un passo ad oltre mille metri. È qui il confine orografico fra l’Epiro storico e l’Illiria propria. Oltre questo passo ci sono popolazioni (nella fattispecie i Caoni) che parlavano dialetti greci e dai greci erano considerati periferia, ma non estero.

Superato il passo si discende, ma prima ci fermiamo ad una specie di punto panoramico dove c’è gente che si getta col parapendio. Davanti a noi una costa che ora si è fatta decisamente bella, anche se insidiata e spesso devastata da una edificazione intensa e dissennata. Il viaggio è lungo e siamo un po’ affaticati. Non si propone nessun tema di discussione collettiva e proseguiamo in silenzio, ognuno nelle sue riflessioni.

Himera fu un insediamento corinzio nella terra dei Caoni. Ora è una brutta località balneare, non ci sono indicazioni di siti archeologici. Sembra che della colonia greca non resti nemmeno il ricordo. Ci fermiamo ad un bar e poi riprendiamo il viaggio fino a Saranda, ove arriviamo ormai all’imbrunire. Attraversiamo il centro, che si propone in dimensione decisamente iperturistica. La città è sorta sulla antica Onchesmos dove il mito vuole che Enea sia approdato e forse qui Anchise morì e fu sepolto. Virgilio preferirà fare avvenire questi fatti a Erice. Il nostro albergo (“Bahamas”) è fuori mano, ci si arriva per una strada sterrata. Si rivela abbastanza squallido, sia di fuori che dentro. Ceniamo al bordo della piscina. Modestamente. La sera fa abbastanza freddo.

Domenica 3 settembre. Il tempo è cambiato, ora piove, il mare è cupo e non si vede più l’isola di Corfù che ieri era lì, nitidissima. Riccardo oggi ha deciso di restare in albergo per portare avanti le sue cose.

Il programma prevede una visita a Onchesmos (l’attuale Saranda), poi Phoenike, il così detto “occhio blu”, pranzo a Girokastro, quindi Adrianopoli.

Saranda visitiamo i resti della basilica paleocristiana nella piazza centrale, quindi proviamo con il museo archeologico che però è chiuso. Si riparte per Phoinike, in cima ad una collina recentemente attraversata da un incendio. La percorriamo in lungo e largo. Non ci sono rovine impressionanti, ma le testimonianze di una città ellenistica che fu anche capitale del regno dei Caoni e dove fu firmata la pace che mise fine alla prima guerra macedonica. Si riparte per l’“occhio blu”, bellezza naturalistica, molto propagandata dalle agenzie turistiche, posto paesaggisticamente notevole, ma invaso da turisti che si fanno foto e fanno il bagno “rigorosamente” proibito dai cartelli multilingue. Un luogo ameno, che non sarebbe male visitare in un contesto più intimo.

Si riparte per Argirocastro (Girokastro) dove arriviamo alle 14. 00: alcuni pranzano alla locanda “Ocaje”, altri ad un ristorante più in basso. Non si sta male. Ci vengono portate pietanze greche (varie μεζες) tutte accettabili: κοριατικα, γεμιστας, κεφτες, μουσσακας…. Saliamo dunque al castello dove, tra i pezzi bellici, c’è anche un nostro tank, uno di quelli tristemente noti come “scatole di sardine”. Dal castello è bella la vista sul paese vecchio che ora viene restaurato con cura, secondo un modello “assisiate”.

Si riparte alle 16.30 per fermarci al sito archeologico di Adrianopoli. Città romana, fondata in epoca antonina. Non facile da trovare, ancor meno da raggiungere, ma grazie alle indicazioni dell’archeologo di Apollonia ci siamo riusciti. Facciamo un buon chilometro a piedi, passando sotto l’autostrada. Ci dà preziose indicazioni una signora, “conduttrice di greggi” che ci parla in greco, tenendo a ribadire che, anche se siamo in Albania, lei è greca. Del resto noi siamo in Albania a cercare la Grecia. Ritroviamo i resti del teatro; ben conservata la scena, la orchestra, vari gradini della cavea. È l’occasione per alcune performancesteatrali, quasi un obbligo quando entriamo in un teatro antico. Prima si esibisce Alberto nei panni di Dioniso, poi fa anche Orfeo e, non contento, recita anche la parte del coro. Primo si limita ad alcune strofe della “Sera Fiesolana” di D’Annunzio. Non c’entra niente, ma è sera e, diciamo, il contesto …. si addice. Anche Sandro si esibisce con un bellissimo testo da lui scritto in dialetto del suo paese di origine.

Ripartiamo che sono le 18.00. Questo pezzo di Albania fu teatro di sanguinosi scontri fra i nostri soldati e le truppe greche. Quelle a cui dovevamo “spezzare le reni” e che invece, con un’accanita controffensiva, ci misero in seria difficoltà, rivelando la scelleratezza del nostro intervento e il pressappochismo della nostra preparazione militare. Tutto pagato con tanti morti della nostra meglio gioventù di allora. Teresa aveva il padre a combattere, proprio qui. Tornati in albergo, alcuni vanno a cena a Saranda, altri restano al ristorante dell’albergo.

Lunedì 4 settembre. La colazione sul terrazzo è un po’ problematica: è freschino, molto di più che nei giorni precedenti. Si parte puntuali alle 9.00 alla volta di Butrinto.

Durante il percorso Daniela ci legge quei passi dell’Eneide (libro VI) che propongono Butrinto come la “nuova Troia”, in cui Enea incontra Eleno, ormai marito di Andromaca. Arrivati al parcheggio non ci accorgiamo che l’ingresso al sito archeologico è proprio lì. Attraversiamo con la chiatta e poi percorriamo un bel tratto a piedi, prima che una coppia in motocicletta ci avverta di quanto siamo fuori rotta. Si deve tornare indietro.

Il sito archeologico di Butrinto è interessantissimo. Gli scavi hanno messo in mostra varie emergenze della città antica e delle sue evoluzioni. Ovunque cartelli esplicativi cercano di dare ragione di quanto si vede. Infine un bel museo sull’acropoli, ben tenuto ed ben ordinato.

Ci ritroviamo alle 13.00 all’uscita. C’è chi desidera rientrare subito in albergo e chi invece preferisce restare a mangiare all’hotel Livia, proprio accanto agli scavi. Si resta dopo aver messo le proposte ai voti. Non si mangia bene e si spende molto (naturalmente in rapporto al contesto): 1400 leche (11 euro).

Si rientra in albergo verso le 16.00 per un pomeriggio di mare, ma tutto il tratto di costa è ora spazzato da un vento di maestrale che va rinforzandosi fino al tramonto, quando gira al libeccio. Non fa voglia di fare il bagno e al tramonto si fa decisamente fresco.

Si cena insieme, ma non c’è fervore di scontri o passione di rimandi classici. Come se il fresco avesse dato una raggelata al fervore antichistico.

Martedì 5 settembre. È molto rinfrescato e soffia un vento del nord. Oggi un nuovo autista albanese affianca il nostro che ci ha portati fin qui. È un tipo sveglio, parla inglese. Ben presto arriviamo alla frontiera con la Grecia. Le operazioni filano via spedite. Facciamo una piccola sosta al primo bar in terra di Grecia. Poi direttamente verso il museo archeologico di Igoumenitza. Si passa prima accanto al sito archeo di Gerani che sarebbe bello visitare. Siamo ora nell’Epiro meridionale (naturalmente parlo dell’Epiro storico), nella terra dei Tesproti, riconosciuti, già in epoca classica, come greci a tutti gli effetti.

Quello di Igoumenitza è un bel piccolo museo, organizzato in modo didattico. Anche troppo. Meno ricco di quanto si pensava. Molta cortesia da parte dell’unico custode-controllore, che ci regala anche dei libri (in neogreco) sui siti archeologici della Tesprozia. Ci consiglia anche il ristorante “Alekos” e veloce il nostro autista angloparlante ci porta proprio lì davanti. Ci sediamo in riva al mare, su una piattaforma, ma del contiguo ristorante Symposio. Il nome è di buon auspicio. Infatti si mangia bene, ottima insalata greca con un buon pane “conzato” e un buon tzaziki. Finalmente ci gustiamo anche della buona mythos.

Si riparte dritti verso Dodona. Il sito archeologico è chiuso, ma il custode è mosso a pietà e ci apre. Andiamo subito alla sacra quercia che, rispetto alla nostra visita del 2009, è cresciuta ed è stata anche potata. Il luogo è di grande fascino, le fronde sacre stormiscono al fresco vento del pomeriggio epirota.

Cerchiamo di decifrarne i messaggi. Riccardo appare molto ispirato. Non contento della quercia ripete l’ascolto anche sotto un’acacia. Chissà, forse lì la voce di Zeus si deve sentire meglio, perché prende tanti appunti. Visitiamo un po’ in fretta anche il teatro, il tempio di Dione, la basilica paleocristiana, il bouleuterion, il pritaneum, la stoà.Gli scavi non sono cambiati molto rispetto a dieci anni fa (2009, IX Periegesi).

Poi ci dirigiamo verso Arta passando lungo un corso d’acqua e per una valle ombrosa e incassata fra alte montagne. Ci fermiamo in un posto ameno lungo la strada: alti platani e un bel fiume dalle acque trasparenti.

Alle 18.30 siamo all’hotel Byzantino. Questa volta l’hotel è bello, accogliente. Valida anche la piscina di cui alcuni approfittano subito. A bordo piscina si discute della nuova periegesi in un clima molto collaborativo.

Si cena in albergo al bordo piscina. I tempi di attesa sono lunghissimi e nel frattempo si fa freddo. Ci vestiamo il più possibile con quello che abbiamo. I filetti di tonno ordinati sono troppo cotti. I prezzi sono alti: 18 euro. Per il dessertci ritiriamo all’interno della struttura in una grande aula con soffitto a carena di nave che, più di una struttura bizantina, rassomiglia molto ad una struttura turca.

Mercoledì 6 settembre. La colazione non è molto ricca, ma ci sono dei buoni dolcetti e un ottimo miele.

Ci dirigiamo subito al museo archeologico di Arta. Molto ben organizzato, con una marcata alluredidattica che però non disturba. È l’occasione anche per considerare le molte emergenze storiche della zona. Primo scopre che vicino, a Strongyli, c’è una villa romana che gli piacerebbe visitare. Ci rinuncerà vedendo che il tempo stringe, ma ne resterà dispiaciuto. Visitiamo, le emergenze antiche nella città di Arta che, col nome di Ambracia, fu capitale del regno dei Molossi. Qui Pirro aveva la sua reggia e qui morì dopo le campagne d’Italia. I nostri autisti ci lasciano sul lato ovest della città, da lì proseguiamo a piedi fino ai resti del tempio di Apollo, che doveva essere imponente, almeno a giudicare dalle vestigia. Poi visitiamo i resti del così detto “Piccolo Teatro”, ove sono in corso lavori di sistemazione delle emergenze archeologiche. Proseguiamo per la via centrale, pedonale, piena di gente e negozi, fino ad arrivare laddove, sul lato nord, appare un pezzo di antiche mura della città di Ambracia. Lì vicino c’è la piccola chiesa di San Mattia, un gioiellino di raccoglimento, tutta affrescata, ma con affreschi completamente anneriti dal fumo delle candele. Un sagrestano di altri tempi, servizievole, si fa in quattro per farci vedere i dipinti, compresi quelli del paradeisos, dove c’è un bel Cristo Pantocrator, appena leggibile. Ci dirigiamo dunque verso il castello da cui godiamo di un vista panoramica della città. Facciamo appena in tempo a dare un’occhiata anche alla chiesa di Santa Teodora che è uno splendore di affreschi. All’interno colonne e capitelli di riporto che danno una vertigine del tempo.

Si riparte per il Necromanteion. I nostri autisti trovano il modo di capire che vogliamo andare a Leukada. Per fortuna Primo se ne accorge in tempo, ma pur sempre quando ormai siamo arrivati a Nicopolis. Torniamo indietro. Fatti pochi chilometri vediamo un bello stabilimento balneare sul mare e lì ci fermiamo. Si chiama “Nicopolis” e non delude. Facciamo un bel bagno. Poi si mangia qualcosa al bar sulla spiaggia.

Proseguiamo per il Necromanteion dove arriviamo che sono quasi le 17.00. Lunga conversazione prima della visita. All’inizio l’argomento è il necromanteion e il culto die morti, poi diventa un confronto di idee, soprattutto fra Primo e Riccardo, sui tipi di conoscenza, sull’importanza della logica e della ragione rispetto alla conoscenza che scaturisce dall’“invisibile” e dall’“irragionevole”. Il clima periegetico è quello di un tempo. Così mi piace. Alla discussione segue una visita accurata del sito cercando di ricostruire il lungo viaggio che portava all’incontro con l’aldilà ed ai morti evocati, nella sala appunto delle evocazioni. Alla fine Daniela ci legge l’undicesimo canto della Odissea.

Dopo una breve sosta a un bar lì vicino ripartiamo. L’imbocco del golfo di Ambracia ora si attraversa con un tunnel. Franco prende la parola e ci parla di Pirro. Arriviamo a Leucade ormai all’imbrunire. Alloggiamo al “Star Ionion Hotel”, proprio di fronte al porto. Il tempo di farsi una doccia ed eccoci pronti per la cena.

Il centro è pieno di gente, abbiamo difficoltà a trovare posto in un unico locale e ci dividiamo. Mangiamo tutti bene e torniamo in hotel soddisfatti.

Giovedì 7 settembre. La colazione è assai modesta, ma con un buon yogourt e una gradevole musica di sottofondo. Il museo archeologico si rivela molto più interessante del previsto. È arricchito dalla cosiddetta “donazione Dorpfield”, donata dagli eredi dell’archeologo Dorpfield, a cui si devono le documentazioni sul primo elladico a Leucade. Si riparte alla ricerca delle testimonianze della antica Niziros, la capitale, in tempi classici, di Leucade. Non troviamo niente e facciamo vari giri a vuoto. Durante il viaggio Cristina e Daniela ci informano sulle ultime trouvaillespapiracee e sui tentativi di ricostruzione del corpuspoetico di Saffo. Daniela traduce e commenta il “Mi sembra simile a un dio”. Riccardo legge la traduzione del Foscolo. Percorriamo l’isola fino all’estremo sud, fino al capo “bianco” da cui l’isola trae il nome “Leucade”, o salto di Saffo, secondo la leggenda che vuole che da qui la poetessa si sia gettata in mare. Siamo alla ricerca del tempio di Apollo, almeno di alcuni lacerti di questo, che però non riusciamo trovare. Al suo posto ora c’è un faro, forse costruito semplicemente sopra. Qui iniziano le congetture sulla sede del catapontismos, sui sacerdoti di Apollo, sul farmacose il volo obbligato. Davanti a noi un paesaggio di una belleza mozzafiato: Itaca “petrosa”, gli isolotti intorno a Leucade… Intorno un mare limpido, profondo, trasparente…

Ci dirigiamo ora alla spiaggia di Porto Katsisi, con un arenile di ciottoli, sotto bianche rupi calcaree. La spiaggia è molto affollata, ma senza rumori molesti e ci si può stare gradevolmente e alle bancarelle si può acquistare un ottimo yogourt alla frutta, col miele. Vi sono delle difficoltà nel trovare la strada giusta e così, inaspettatamente, ci troviamo molto in alto per una strada stretta e lunga che apre a panorami sul lato est dell’isola, bellissimi. Il lungo viaggio dà ci anche l’occasione di parlare dei prossimi impegni periegetici. Viene proposta l’isola di Keros e si accenna alla Georgia, ipotesi che sembra prendere il sopravvento. Facciamo una piccola sosta su una spiaggia del lato sud dell’isola. Alcuni fanno il bagno, altri bivaccano al sole. Proseguiamo il viaggio passando anche nella baia in cui Dorpfield ha trovato tracce di insediamenti risalenti all’elladico I (fra il 3000 e il 2300 a.C.).

Si rientra in albergo verso le 19.00. Eugenia si sta occupando della prenotazione dell’“Edipo a Colono” del prossimo venerdì all’Odeon di Erode Attico. Si cena sul mare, vicino al museo archeologico, al ristorante Zeugli. Abbiamo due tavoli di otto, non si mangia male.

Venerdì 8 settembre. A colazione Isa ci comunica che il sito archeologico di Faragola è stato fatto saltare, forse con una bomba. Riprendiamo il viaggio costeggiando il golfo di Ambracia fino ad Amfiolochi, poi attraverso l’Etolia, fino alla nuova autostrada e al ponte di Poseidone, sul golfo di Corinto. Sul bus Riccardo riporta l’attenzione sui Dori e sui Protofenici. Che poi sarebbero, a suo dire, i Micenei.

Ci fermiamo ad Aegion. Visitiamo il museo archeologico dove eravamo stati con la prima periegesi, nel 2001. Nel ricordo di chi c’era già stato pareva molto più ricco di cose. Sono solo tre stanze con reperti che spaziano dal neolitico all’età romana. Nel libro dei visitatori, sempre lo stesso da venti anni, ritroviamo la nota dei periegeti del 2001. Non deve essere un museo molto frequentato. Apprendiamo anche notizie di Eliki e dell’archeologa greca (Dora Katziocoulis?) che lì scavava.

Usciti dal museo ci mettiamo a cercare l’albero di Pausania e ci facciamo un sacco di foto. Non è possibile mangiare al bar dove fecero sosta nel 2001 i periegeti di allora e ripariamo nel ristorante contiguo che si chiama “Mepa Allos”.

Ripartiamo che sono quasi le 16.00. Si procede con le votazioni fra le due ipotesi periegetiche (Cicladi e Georgia) che avevano preso corpo ieri e che vengono ulteriormente sviscerate. Contrariamente alle previsioni vince l’ipotesi Cicladi. Di fronte il Parnaso, l’Elicona, più in là la sagoma del Citerone “fatato”. Sulla nostra destra l’Acrocorinto, il sacello di Afrodite… Si attraversa l’Istmo e arriviamo in breve nella piana di Eleusi. Qui si lascia Riccardo che prosegue per il tradizionale pellegrinaggio misterico.

Ad Atene siamo all’ Hotel Acropolis Hill, un buon albergo, proprio sul versante meridionale della collina delle Muse. Da qui doveva partire il braccio meridionale delle Grandi Mura di Temistocle. Dalla terrazza dell’albergo si ha una bellissima vista sull’acropoli. Sta scendendo la sera ed è un vero spettacolo vedere Atene che, a quest’ora, cambia colore, si imbrunisce prima, si illumina poi di varie, garbate, luci artificiali.

Ci attende lo spettacolo al Teatro di Erode Attico. Bel colpo d’occhio e tanti ricordi. Stasera si dà “Edipo a Colono” di Sofocle, in un allestimento scarno ed essenziale, che lascia molto spazio al parlato. Il testo sofocleo viene rispettato, sembra scupolosamente. Peccato che la lingua non sia per noi intellegibile. Si associa anche Riccardo reduce da Eleusi. La serata finisce da Diogenes, un luogo che ormai è diventato per noi un cult. Il servizio è veloce. Siamo in albergo che sono quasi le 2.00.

Sabato 9 settembre. Alcuni partono ed è il momento dei saluti. Altri visitano il Museo dell’Arte Cicladica. Visita accurata pensando alla nuova periegesi: la XVIII°. Poi ancora a piedi verso il Museo Archeologico Nazionale, fermandosi per pranzo da “Titamos”: ottime sardine, birra Vergina (buona), piacevole la compagnia. Dentro l’archeologico visitiamo la sala cicladica, la mostra Odysseische vorrebbe trattare il tema del viaggio, dell’arrivo e della partenza, ma che lascia Primo scettico. Sempre affascinante la sezione dedicata a Santorini. Si ripercorre la strada per l’albergo: la porta di Acarnon(davanti alla sede della Banca Centrale di Grecia), poi Monastiraki, il viale Apostolou Paolou. È stata restaurata la fonte della Pnice, che un tempo veniva detta Kalliroe. Cena ancora da Diogenes. Ritornando si apre una articolata conversazione sui viaggi in Sicilia (le periegesi siciliane). Poi un ouzo sul terrazzo dell’albergo guardando il Partenone.

Domenica 10 settembre. È il giorno del ritorno per la maggior parte del gruppo. Il volo Ryanair da Atene per Roma è deviato su Napoli a causa di un forte temporale. Il rientro alle rispettive mète (Roma, Firenze, Pisa, Bologna) sarà un po’ avventuroso, ma tutti ce la fanno.

È stato un bel viaggio, denso di luoghi e di fatti, condotto in armonia e con un corale contributo collettivo. Viaggio di studio ed esperienza di vita: da ripetere.